L’emergenza sanitaria in prospettiva storica: la lettera degli storici alla UE

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9 Aprile 2020

Carlo Spagnolo, Vito Gironda, Christian Jansen, Massimiliano Livi firmano una lettera aperta ai Governi dei paesi membri e alle istituzioni dell’U.E. da parte della comunità degli storici

In questi giorni stiamo discutendo molto di Europa e di manipolazioni del passato fatte per reclamare una monetizzazione della memoria della guerra o per negare aiuto ai paesi “viziosi”.

Il documento allegato nasce da una discussione tra i primi quattro firmatari sull’importanza di una presa di posizione degli storici contro la deriva antigermanica che si sta sostanziando con narrazioni non solo pericolose ma erronee. E questo non perché ci occupiamo di Germania, e sappiamo quanto il rapporto tra Italia e Germania abbia inciso sulla storia continentale, ma perché le distorsioni incidono sull’irrigidimento delle rispettive posizioni nella pubblica opinione.

Non prendiamo la parola a cuor leggero, ma per avvertire le massime cariche istituzionali di tutta l’UE che in assenza di scelte coraggiose e di un lungimirante e inedito intervento dell’Unione la crisi odierna potrebbe sfociare in una emergenza della democrazia.

Come storici vediamo con preoccupazione il frequente ricorso a stereotipi nazionali davanti a una emergenza che richiede analisi distaccate e visione di lungo periodo. Forse non tocca a noi fare da mediatori contro gli stereotipi che inevitabilmente ritornano in situazioni di crisi, e questa è una crisi seria: non soltanto quella sanitaria ma quella sociale ed economica che attende molti paesi europei quando l’emergenza passerà. Se il Pil cade del 2,5% per ogni mese di stop, si avrà nei paesi UE più colpiti dal virus una recessione di almeno il 7,5%; entro fine anno stime autorevoli parlano di una caduta del 10% del Pil in Italia. Dopo la recessione del 2008-2011, questa potrebbe essere letale e costringere i paesi più indeboliti a uscire dall’euro e avviare una crisi bancaria che coinvolgerebbe tutta l’Europa mediterranea e non lascerebbe indenni gli altri. Uno scenario troppo pessimista?

Chi ha studiato come le crisi possono trasformarsi in tragedie, in questa congiuntura dovrebbe cercare di portare l’opinione pubblica ad un livello più alto. I partner dell’UE si trovano davanti a scelte difficili e probabilmente irreversibili, insomma siamo davanti a quella che con qualche enfasi si può chiamare una “svolta storica”. Sembrano arrivati al pettine, assieme agli squilibri di una globalizzazione che ha privilegiato la finanza sull’economia reale, alcuni nodi irrisolti del Trattato di Maastricht e dell’Unione economica e monetaria. Le unioni doganali e gli accordi monetari senza una unità politica prima o poi finiscono. Se non si supereranno le asimmetrie strutturali, che l’emergenza sanitaria non può che aggravare, l’Unione potrebbe spezzarsi.

Qual è allora il nostro ruolo? Intendiamo mettere in luce che se la Germania riunificata non dovrebbe mai dimenticare le responsabilità storiche che nascono dal suo essere “centro” in Europa continentale, Francia, Spagna e Italia devono dimostrare di saper stare in piedi da sole e di essere all’altezza delle loro migliori tradizioni democratiche. Laddove questa prospettiva di equilibrio è stata persa di vista tutto il continente ne ha sofferto. Il declino dell’Europa è un fenomeno storico irreversibile, e i membri dell’UE devono rendersi conto che insieme dispongono di un mercato interno sufficiente a reggere e governare questo declino. Nel breve termine, singoli gruppi di stati possono forse uscire dalla crisi anche da soli, ma alla lunga si troveranno subalterni a grandi potenze militari. Se si spezzassero ancora una volta i fili dell’Europa (non solo dell’UE) precipiteremmo in una storia di conflitti che conosciamo troppo bene.

Due guerre mondiali e i fascismi dovrebbero averci resi edotti che le colpe del declino sono state europee. Dopo il 1945 il prezzo è stato la divisione del continente e la sua supervisione affidata a due superpotenze. La Repubblica federale tedesca non dovrebbe dimenticarsi di essere stata ricostruita dagli alleati per essere al servizio dell’occidente in una prospettiva di crescita democratica in chiave anticomunista. Il suo Stato di diritto è strettamente intrecciato con un’integrazione europea che, nata in quel contesto, ha cercato di trascenderlo. Nel 1989 si è persa, forse, l’occasione per un passo più coraggioso verso una vera costituente. Quanto ha contribuito a quell’esito l’insufficiente elaborazione storica del declino?

Se l’argomento moralista per cui la Germania dovrebbe oggi restituire le riparazioni di guerra che le sono state condonate dagli alleati non ha senso, specie se sostenuto da paesi ex-fascisti, altrettanto inadeguato è il rifiuto degli Stati “virtuosi” di riconoscere i vantaggi tratti dal mercato comune e la conseguente richiesta di una ulteriore austerity a paesi che subiscono tagli inaccettabili al Welfare da molti anni. Le lezioni della storia vanno tratte su un piano più generale: la memoria della complessiva sconfitta del continente avvenuta nel 1945 va assunta come perno di una obbligazione condivisa verso la democrazia, la giustizia sociale e la pace, a cui l’economia deve essere funzionale.

Oggi si tratta di guardare lontano, garantire degli standard comuni nei salari e nel Welfare, restituire prospettive di futuro alle giovani generazioni, insomma affidare all’UE compiti che gli Stati nazionali, nati in una risalente epoca storica, non possono assolvere, quali la sicurezza collettiva, la sostenibilità ambientale, le grandi infrastrutture delle telecomunicazioni e la ricerca di base su vasta scala. Molto è stato fatto e sarebbe colpevole disperderlo davanti a nazionalismi risorgenti.

Non si tratta soltanto di salvaguardare i creditori dai debitori quanto di pensare un futuro collettivo e dotarsi di strumenti per attuarlo. A tutti è evidente che i paesi debitori hanno delle gravi responsabilità nelle inefficienze dei rispettivi sistemi sanitari e fiscali ma dovrebbe essere altrettanto chiaro che non esiste nessuna colpa collettiva dei debitori, così come abbiamo imparato che nessuna generica colpa collettiva spiega i fascismi e le guerre. Quali colpe si vorrebbero imputare ai lavoratori dipendenti dei paesi debitori? E i paesi più ricchi non dovrebbero riconoscere le asimmetrie che li favoriscono, ad esempio un inferiore costo del denaro che falsa la competizione nel mercato unico? Perché si mantengono i salari così bassi persino nei paesi con elevatissimi surplus commerciali, deprimendo la domanda interna europea, e impedendo una solidarietà tra i lavoratori?

Gli storici possono invitare i governi e le istituzioni dell’Unione a guardare il presente con distacco e riconoscere che la crisi in atto è stata preceduta da molti segnali di allarme che sono stati disattesi. Le responsabilità morali dei governi non possono essere dismesse per le inadeguatezze di singoli componenti.  I fili della democrazia e dell’integrazione europea sono così strettamente intrecciati che se viene meno l’ultima, anche la prima sarà in pericolo. Anzi, lo è già.

Auguriamoci che a governare le scelte sia non la logica degli interessi immediati ma una visione di lungo termine delle sfere vitali dei cittadini che spetta alla politica interpretare. Laddove non sappia svolgere il proprio ruolo di compromesso creativo, essa si semplifica e diventa apocalittica.

Qui il link per sottoscrivere direttamente il documento: https://tinyurl.com/historyEU

TAG: storici, Unione europea
CAT: Beni comuni

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