Derivati, perché il Tesoro tace la perdita massima attesa?

14 Marzo 2015

Mentre all’estero le banche chiudono le contestazioni con le autorità di vigilanza liquidando importi da manovre finanziarie (ultimo caso noto Morgan Stanley per un importo di 2,6 miliardi – ironia della sorte – lo stesso pagato da Mario Monti  con la medesima banca nel gennaio 2012), da noi l’Indagine conoscitiva sui derivati arranca ed anziché fare chiarezza sembra evidenziare quanta poca voglia ci sia (e forse anche “necessità”) di fare efficace trasparenza sull’operatività del Ministero dell’Economia e delle Finanze. E anzi il Ministero ha negato l’accesso ai 13 contratti con clausola di risoluzione anticipata che alcuni deputati del Movimento 5 Stelle avevano chiesto di visionare. Ricordiamo che il valore economico dei contratti era negativo di 36,87 miliardi a settembre e di oltre 42,65 miliardi di euro a dicembre scorso con flussi negativi cumulati per oltre 4 miliardi di euro calcolati fino al 2013. Importo quest’ultimo stranamente non fornito in audizione e calcolato ancora per difetto in quanto mancante della clausola addizionale di estinzione anticipata con MS citata,  dei flussi relativi degli IRS liquidati nel 2014 (sicuramente molto elevati) e delle due sicure clausole di estinzione anticipata pagate recentemente nel 2014 .

Il direttore generale del Tesoro Giovanni La Via, in replica a certe indiscrezioni che lentamente ma inesorabilmente prendono corpo dopo lustri di assoluto silenzio, afferma la necessità di un “giusto equilibrio tra trasparenza e capacità negoziale”. Parole sacrosante, ma completamente disattese nei fatti del passato e purtroppo, viste le premesse, anche del presente.

Delusi dalla prima audizione della dirigente responsabile del debito pubblico, Maria Cannata, che gestisce titoli del debito per 1.800 miliardi e 162 miliardi di derivati (numeri da far impallidire anche i potenti desk delle banche d’affari), è rimasta altresì delusa anche la speranza che la successiva avrebbe fornito risposte concrete alle tante questioni ancora aperte. I dubbi già chiaramente emersi sulle modalità operative della gestione dei derivati sui tassi di inflazione teresse  e i  pericolosi intrecci tra Tesoro e banche controparti, anziché sciogliersi sono aumentati al punto di dubitare sull’autonoma capacità negoziale e contrattuale di uno stato sovrano con le banche d affari.

La seconda audizione ha rappresentato  il trionfo dell’abissale asimmetria culturale, informativa e cognitiva tra chi con mal celato imbarazzo e difficoltà poneva le domande (di cui spesso non ne comprendeva il reale significato) e chi, cogliendo invece il rischio prospettico delle stesse, aveva gioco facile per depotenziarle. Con  un po’ di lungimiranza e buonsenso si doveva capire che non sarebbe potuto andare diversamente. Mettereste voi dei commercialisti a fare domande sulle migliori terapie della moderna pneumologia oppur oppure dei medici sulle detrazioni Iva nei servizi finanziari?

Sarebbe andato tutto diversamente se a porre le domande ci fossero stati professionisti della finanza derivata in posizione terza ed indipendente verso il Tesoro e le banche controparti. Invece, come in un copione già scritto, dopo un’oretta persa con il classico “fuori tema” (con domande “programmate” che poco avevano a che vedere al tema specifico), si è assistito ad una situazione non degna di una seria indagine parlamentare. Un valzer di domande poste frettolosamente, scollegate e tutte insieme, cui Cannata ha risposto con grande intelligenza tattica, selezionando opportunamente nella confusione generale, per non scoprirsi. Di fatto è mancato il contraddittorio. Dal disagio e imbarazzo della prima audizione ad una grande lezione di strategia della comunicazione fornita dalla alta dirigente.

Da tecnico che vede derivati dal 1992 di domande ne avrei poste parecchie alla stessa stregua di tanti altri esperti con i quali ci si sta confrontando su questi temi (colleghi consulenti indipendenti e CTU, gestori professionali,  tanti amici docenti di finanza..)  e da molto tempo ormai. Ma in un’audizione, davanti ai più alti rappresentati dei cittadini, sarebbero serviti dati e numeri segnaletici. Ad esempio fornire il numero di clausole chiuse senza dire cosa sono costate per chiuderle francamente serve a poco, così come fornire i valori nozionali complessivi senza spiegare i rischi connessi . Poiché sulle questioni tecniche torneremo in quanto sono moltissime, mi limito ad un solo concetto che credo sia stato strumentalmente travisato.

Parliamo dei 42,65 milardi di mark to market negativo per il Tesoro italiano. Ebbene cos’è il mark to market ? È veramente un qualcosa di cui “non c’è nulla di cui preoccuparsi” in quanto grandezza astratta, potenziale, teorica e quant’altro che si è sentito e letto in questi giorni ? Oppure come si legge nella pagina messa in frettolosamente sul question time dedicato del Tesoro: «È vero che un mark-to-market negativo è un rischio immediato o costituisce una perdita? Falso, è solo il valore ai tassi di mercato attuali del derivato. Diventa un “rischio” solo se esigibile in virtù di clausole di estinzione anticipata».  C’è da rimanere sbigottiti e i primi a sorridere sarebbero i risk manager e coloro che fanno la contabilità delle stesse banche controparti che con “il mark to market” si confrontano quotidianamente. Senza scomodare i principi contabili internazionali o anche il nostro codice civile, tutti sanno che parliamo di una grandezza economica e non finanziaria. E come tutte le grandezze economiche deve essere adeguatamente contabilizzata: in particolare, quando misura un rischio, va accantonata. E la procedura di accantonamento produce una componente negativa di reddito. Gran poco di astratto quindi, stiamo parlando di costi presunti o sospesi che impattano sul conto economico, e quindi sul patrimonio.

Ma c’è di più. Nessuno ha spiegato finora che, in finanza quantitativa, il “mark to market” altro non è che il valore medio della distribuzione di tutti i possibili risultati attesi da quell’investimento. In altre parole, una perdita attesa la quale poi potrebbe, anche azzerarsi (come al MEF si affannano a ricordare)  ma senza fare cenno sulle probabilità che ciò possa accadere, ma magari con le stesse infinitesime probabilità raddoppiare. Dipende da com’è fatta la distribuzione di probabilità legata ai contratti. Ora avete capito il vero significato della perdita di 42,6 miliardi. Speriamo solo di finire nella parte c.d. a destra della distribuzione (e perderemo meno) altrimenti, in caso contrario di più.

Sarebbe infine interessante chiedere al Tesoro il valore del cosidetto “shortfall” o perdita massima attesa statistica (pari al 95 percentile). Come tutte le banche ed i gestori professionali l’hanno certamente calcolata, ma perché la dottoressa Cannata non l’ha detto ai parlamentari?

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CAT: Bilancio pubblico

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