Sì a una commissione parlamentare sui derivati. E che se ne parli!

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23 Novembre 2014

Oggi Andrea Greco su Repubblica riporta la notizia di una richiesta di indagine parlamentare sui derivati di stato, presentata da Giovanni Paglia, deputato di SEL, e appoggiata dal Movimento 5 Stelle. La proposta segue la vicenda dell’articolo 33, evidenziata per primo da Lorenzo Dilena su Gli Stati Generali, che prevede la possibilità da parte del Ministero dell’Economia di stipulare accordi di garanzia bilaterale sulle posizioni in derivati. La proposta è sacrosanta, soprattutto per il silenzio nel quale è stata confinata. Per questo, più che sul contenuto del provvedimento, di cui si è già parlato, qui vogliamo parlare della comunicazione: la comunicazione da parte del Ministero, da cui traspare in maniera preoccupante un problema di competenza in materia di derivati; la comunicazione della stampa, che ha in larga misura ignorato la questione. Se non fosse per Repubblica, non ne trovate traccia, almeno nei grandi giornali. Grandi fustigatori di costumi, Savonarola della carta stampata e “bounty killer” della casta hanno troppo altro da fare che guardare dentro il Ministero dell’Economia.

La gestione del debito pubblico è un capitolo importante della “spending review”, e i derivati ne rappresentano un paragrafo importante. Se foste una famiglia costretta a tirare la cinghia tagliando la spesa per il vestiario e per l’educazione dei figli, non vi verrebbe la curiosità di sapere quanto pagate di interessi in banca sul vostro debito? E se vi dicessero che dei soldi dovrannod’ora in poi essere immobilizzati per garantire il vostro debito, non vi verrebbe da chiedere: ma dopo significa che devo tagliare anche il cibo?  o, non è interessante: la spesa per interessi è solo 80 miliardi l’anno.

E’ vero che il Ministero quest’anno almeno ha parlato. Nella legge di stabilità dell’anno scorso è passato un articolo (allora il numero fortunato per le banche era il 16) in cui si definivano le norme sui derivati degli enti locali, e istruzioni per rimettere “a norma” quelli esistenti. Nonostante un fiume di emendamenti, da destra, da sinistra, da sopra e da sotto, l’articolo passò senza frizioni e nel silenzio della stampa. A noi consulenti di ANCI-Ifel, l’ufficio studi dell’associazione dei Comuni, che avevamo proposto un emendamento ignorato come tutti gli altri, non è rimasto altro che descrivere con un esempio come una banca che ti ha già fregato piazzandoti un derivato, ti può ri-fregare con la scusa di “rimetterlo a norma”. Speriamo solo che sindaci e assessori al bilancio si siano presi una copia di questa pubblicazione interna dell’associazione e la aprano prima di prendere decisioni sui derivati.

Stavolta il Ministero ha parlato, ma sarebbe meglio che fosse stato zitto. Prima di parlare della dichiarazione, facciamo un gioco per capire cosa sappiamo di contratti derivati. Ognuno di voi pensi a un possibile modo di comunicare la notizia. Non sapete (come noi non sappiamo) perché viene messa nella legge di stabilità la norma per cui potete immobilizzare fondi a garanzia dei derivati invece di spenderli, ad esempio, in investimenti pubblici. Non sapete se l’avete scelto voi o se ve lo hanno imposto le banche. Magari le banche vi hanno fatto notare che molti dei derivati sono soggetti al rischio di “estinzione anticipata”, per qualche “break-out clause” come quella che costò il pagamento di 2.6 miliardi di euro a favore di Morgan Stanley. O forse le banche vi hanno convinto, magnificando i vantaggi del CSA, il contratto con garanzie reali. O forse vi hanno minacciato dicendo che se  non lo fate non sottoscrivono il debito.

Insomma, comunque sia, dovete indorare la pillola. Cosa dite? Io avrei detto una cosa del tipo: “la possibilità depositare una garanzia consente al Ministero di accedere ad accordi sulla gestione dei contratti che, ad esempio permettendo di compensare esposizioni di segno opposto, consentirà di ridurre il rischio di credito per entrambe le parti senza aumentare il costo”. Voi direte: magari questa compensazione non sarà possibile. Ma chi se ne frega?  Tanto poi non farete vedere un contratto che è uno. Almeno fate capire che sapete di cosa state parlando.

Invece ecco la motivazione del Ministero: “adegua la gestione del debito ai nuovi orientamenti regolamentari favorendo un più agevole collocamento dei titoli di Stato”. Ma che c’entra? Il collocamento dei titoli di Stato dipende dalle aspettative del mercato sulla probabilità di insolvenza della Repubblica italiana e dalla perdita attesa in questa ipotesi. Ai dati del 30 settembre il mercato prezzava una probabilità di default entro dieci anni del 29% e, in caso di default, una perdita del 48%. Cosa cambierà se solleverà, per esempio venti miliardi di esposizione alle banche nei contratti derivati, magari emettendo venti miliardi in più di titoli di Stato e depositandoli in garanzia? Cambierà qualcosa nelle prospettive future di insolvenza della Repubblica italiana? Se fosse così sarebbe drammatico, perché vorrebbe dire che i derivati della Repubblica italiana sono una mina capace di provocarne il fallimento.

La frase in realtà pare una mezza verità. L’agevolazione del collocamento più che una opportunità del Ministero pare una minaccia delle banche. La vicenda e la giustificazione fanno trasparire, come spiegazione più plausibile, uno stato di dipendenza del nostro Ministero dalle banche. E’ un ricatto che, va riconosciuto onestamente, toccherebbe a chiunque si trovasse oggi a via XX settembre a gestire la montagna del debito pubblico, e la necessità di presentarsi al collocamento per importi elevati. Ritengo che un’indagine parlamentare consentirebbe di appurare questo scenario, di cui tra l’altro chiunque si sia trovato a trattare chiusure o ristrutturazioni di partite rilevanti di derivati di enti locali potrebbe dare testimonianza.

Resta il problema del non dire, del Ministero, e del non chiedere di gran parte della stampa. E’ una posizione rischiosa, che può indebolire il Ministro Padoan in un momento difficile. Sulla stampa, infatti, campeggia a reti unificate la sua lettera a Bruxelles in cui giustifica l’aumento del rapporto debito/PIL con la recessione, il versamento al fondo Salva-stati, e il saldo dei debiti arretrati della PA (altra vicenda che non sappiamo quanto alla fine sia stata a favore delle banche piuttosto che dei creditori finali). Bruxelles ha approvato. Il silenzio per ora ha funzionato. Ma cosa accadrà quando in futuro il debito continuerà a crescere se da Bruxelles chiederanno al Ministro: professor Padoan, i soldi da depositare a garanzia dei derivati pensavate di trovarli sotto i cavoli?

TAG: Derivati di stato, Giornalismo economico, Ministero dell'Economia
CAT: Bilancio pubblico, Enti locali

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