il calcio femminile parte dalle Pulcine, parla l’allenatrice Ac Milan

15 Novembre 2022

Una storia come quella di Gaia Missaglia non può non essere raccontata: da sempre appassionata di calcio, dopo una vita di sacrifici per inseguire il suo sogno, oggi allena le Pulcine dell’Ac Milan.

Incontro una donna forte, determinata, che ha fatto della sua passione il suo lavoro. Una persona che per tutta la vita e grazie all’appoggio determinante della sua famiglia ha sempre guardato a un unico obiettivo: fare dello sport la sua professione e c’è riuscita raggiungendo i massimi livelli.

Il suo entusiasmo e la sua passione si ritrovano nelle parole con le quali descrive il suo percorso e il lavoro quotidiano che fa con le giovani calciatrici.

Hai iniziato a giocare a calcio quando avevi 10 anni, ma affermi che non è stato semplice. Da dove è nata la tua passione e quali sono state le difficoltà più grandi che hai incontrato?

Il mio percorso calcistico è iniziato quando avevo circa 10 anni, anche se in realtà sono nata con il pallone trai piedi e non sono mai riuscita a identificare l’esatto momento in cui è nata la mia passione per il calcio. Da piccolina ho provato tanti sport, ma la passione più grande è sempre stata il calcio. A 10 anni la mia famiglia è riuscita a trovare una società femminile, fortunatamente vicino a casa e da lì è iniziata la mia avventura. Le possibilità di 20 anni fa, non erano le stesse di oggi, per esempio la prima grande difficoltà è stata trovare una vera possibilità per iniziare effettivamente a giocare. Non era scontato essere accettate all’interno di società maschili, per fortuna l’allora Fiammamonza (oggi Ac Monza) aveva già all’epoca una squadra esclusivamente femminile per cui ho avuto l’opportunità di tesserarmi. Si trattava di un’Under 15, ciò significa che a 10 anni giocavo con ragazze di 15, nel calcio a 11. Diciamo che prima di tutto è stato sicuramente una palestra di vita. Eppure la passione era talmente forte che mi ha sempre spinto ad andare avanti e superare ogni avversità. Questo atteggiamento ha sempre fatto parte di me e spesso lo ritrovo anche nelle bambine calciatrici di oggi. Durante gli allenamenti hanno talmente tanta voglia di giocare e di raggiungere i loro obiettivi che non sentono il peso delle difficoltà. Altro valore aggiunto è senza dubbio avere alle spalle una famiglia che sostenga. Senza supporto dei miei genitori, sarebbe stato molto, molto complicato percorrere lo stessa strada. Per fortuna nel corso degli anni la situazione è ben migliorata: sono aumentate le società femminili, di conseguenza ci sono a disposizione più categorie e si è creato un percorso sempre più idoneo con fasce di età più calibrate. Al giorno d’oggi le bambine sono più agevolate e possono sognare molto più in grande.

Una cosa però l’avevi ben chiara volevi lavorare nel mondo dello sport e hai costruito tutta la tua formazione e carriera per arrivare lì. Ci racconti i passaggi fondamentali da quando hai iniziato a oggi?

Lavorare nel mondo dello sport è sempre stato, fin da piccola, il mio grande sogno. Devo ammettere che il calcio giocato mi ha aiutato parecchio da questo punto di vista: sono cresciuta nel settore giovanile del Monza e sono arrivata alle prime squadre tra Serie A e Serie B. Era impensabile poter vivere di calcio per una donna. È sempre stato un fantastico hobby tanto che ci si allenava la sera, chi dopo una giornata di studio, chi di lavoro. Nonostante nel weekend ci fossero comunque trasferte impegnative dato che si giocava su territorio nazionale. Ho fatto sicuramente tanti sacrifici e nel frattempo, studiavo e allenavo all’interno delle scuole calcio della zona, tra le quali proprio la Fiammamonza che è stata in assoluto tra le prime società a creare, da zero, settori giovanili esclusivamente femminili. Così mi sono laureata in Scienze Motorie triennale e magistrale e ho acquisito tutte le licenze specifiche che il ruolo dell’allenatore richiede, come per esempio la licenza UEFA B. Nel momento in cui si è aperta la possibilità che il calcio potesse diventare il mio lavoro, non ci ho pensato due volte e mi sono dedicata esclusivamente ad allenare, abbandonando con dispiacere il calcio giocato e scegliendo quindi di dedicare tutte le mie energie alla nuova professione all’interno di una società professionistica e gloriosa come l’Ac Milan. Ecco il mio sogno coronato nel migliore dei modi.

Hai allenato anche squadre maschili, quali sono le differenze principali che noti come allenatrice?

Per me è importante parlare di confronto piuttosto che di differenze e preferisco considerarlo a parità di livello e di età, altrimenti non sarebbe realistico. È banale che siano dei mondi completamente diversi: un bambino che gioca in una società professionistica è ben lontano da una bambina che gioca in una società dilettantistica e viceversa. Tendenzialmente si dice che le bambine siano molto più puntigliose, vadano dritte verso l’obiettivo, siano molto più attente e predisposte alla fatica. I bambini invece praticano un calcio più irruento, molto più fisico, infatti, sotto questo aspetto, le bambine vanno stimolate di più. Ad ogni modo è importante sottolineare che ogni bambino/a è un individuo diverso per questo non amo generalizzare. Le differenze prettamente fisiologiche invece si riscontrano maggiormente verso l’età adulta. Un’altra differenza è che il calcio maschile è molto più praticato. Il femminile è ancora un mondo in netta crescita. È fondamentale, a mio avviso, che aumenti il numero di bambine che si avvicinano al calcio: per aumentare la qualità bisogna aumentare la quantità sotto tutti i punti di vista. Le società dilettantistiche consentono un maggior numero di bambine tesserate, per dare a tutte la possibilità di giocare e allo stesso modo la selezione delle società professionistiche dovrà essere più rigida in tutta l’Italia. Una bambina calciatrice, infine, deve sempre dimostrare qualcosa, a differenza di un bambino che semplicemente gioca a calcio. Questa però è una barriera culturale. Ancora oggi le persone dopo aver assistito a una partita di calcio giocata da bambine rimango stupefatti.

La Federazione, 10 anni fa, ha imposto ai principali club di avere anche le squadre giovanili femminili. Tu hai iniziato a lavorare subito in quel settore, come si sono evolute le cose in 10 anni e quanto c’è ancora da fare?

Circa 10 anni fa la Federazione ha delineato delle linee guida da rispettare, con una programmazione a lungo termine, pluriennale. Numerose società hanno aderito, ovviamente alcune sono state più predisposte anche in termini di investimenti. Certamente il movimento è in crescita ma i numeri non bastano. E’ necessario inserire le persone giusto al posto giusto, il calcio femminile deve diventare meno casuale e più competente.

Insieme alla tua collega Francesca Gargiulo hai scritto un libro, una storia dove oltre alla passione per il calcio emergono tanti altri valori, legati allo sport, il sacrificio, l’amicizia e l’importanza di avere alle spalle una famiglia che ti sostiene. Qual è l’insegnamento che ripeti più spesso alle tue allieve?

Il libro è nato tra i vari lockdown, in particolare durante la mia gravidanza. Con Francesca, oltre a preparare attività per le bambine rinchiuse tra le mure casalinghe, abbiamo deciso di realizzare un sogno che avevamo entrambe e che abbiamo scelto di portarlo a termine insieme, appunto la scrittura del libro. All’inizio le idee non erano per niente chiare tanto che non sapevamo esattamente a chi indirizzarlo: agli allenatori, ai genitori, agli addetti ai lavori… In seguito a vari tentativi ci siamo convinte di dedicarlo alle bambine che allenavamo, una sorta di regalo di fine anno per le Pulcine rossonere, poi per una serie di circostanze positive, il libro è finito sulla scrivania del Battello a Vapore ed è stato pubblicato a giugno 2022. Il nostro obiettivo principale è far conoscere un mondo sconosciuto, quello del calcio femminile giovanile, anche ai più scettici e far sì che le bambine calciatrici o che vorrebbero esserlo, si possano ritrovare all’interno del racconto. Il libro si ispira al nostro vissuto da calciatrici e a quello da allenatrici, quindi gli insegnamenti sono quelli che noi abbiamo dapprima imparato sul campo e riportato a nostra volta alle piccole calciatrici. Alle Pulcine mi piace chiedere di divertirsi ma non solo, perché sono convinta che il divertimento non sia sufficiente. È importante allenarsi forte e dare il proprio massimo in ogni momento. È bene imparare ad essere delle piccole atlete fin da subito ed è un enorme vantaggio creare in loro una mentalità vincente che si porteranno nella vita come persone. Altro insegnamento importantissimo è far capire quanto beneficio avranno ad aiutarsi, spronarsi e supportarsi a vicenda attraverso il rispetto e la fiducia reciproca. Credo che essere compagne di squadra sia tra le cose più entusiasmanti nello sport e nella vita quotidiana.

Spesso uno dei problemi nelle partite di calcio dei ragazzi, ma in generale negli sport è il tifo e la pressione da competizione che mettono i genitori. È lo stesso nel calcio femminile? Tu come cerchi di arginare un’eventuale incursione di questo tipo?

Purtroppo viene etichettata questa versione al calcio maschile perché spesso illude e crea ambizioni eccessive dovute in parte alla possibilità di guadagno e di visibilità proprie di questo mondo complicato. Non credo che comunque bisogna farne di tutte l’erba un fascio. Da questo punto di vista, il femminile, rimane un ambiente puro ed autentico. Il fatto che oggi ogni bambina può darsi come obiettivo quello di diventare una calciatrice professionista, cosa che fino a qualche anno fa era impensabile, rende il tutto ancora più magico. Forse per questo motivo non viene vissuto con ossessione, anzi si riesce ad intravedere una strada positiva. Non mi ritengo un’allenatrice che mette un muro tra me e i genitori, lo trovo controproducente.
È importante piuttosto creare una relazione con le famiglie, i genitori vanno educati e devono essere una parte attiva della scuola calcio. Entro i propri confini, con i giusti paletti e rispetto reciproco, remando nella medesima direzione, per la crescita delle bambine. I genitori non dovrebbero essere considerati ostacoli, bensì dovrebbero rappresentare un valore aggiunto. Questo, a mio parere, non dovrebbe essere valido solo per lo sport ma anche per la scuola e in qualsiasi altro ambito in cui è richiesta la relazione tra famiglia/bambino/società.

Sogno nel cassetto?

Tanti ne ho realizzati e tanti ne ho ancora da realizzare, alcuni sono in fase di costruzione, altri hanno un respiro più lungo, ma purtroppo non posso svelare di più. Non ho l’ambizione di arrivare in Serie A o chissà dove, il mio obiettivo quotidiano è il calcio dei bambini. Che soddisfazione osservare il percorso di chi è stata Pulcina e con cui ho condiviso tante ore sul campo: ora si trovano chi in prima squadra, chi in U19, U17, U15, ecc… C’è anche chi ha deciso di appendere le scarpette al chiodo con largo anticipo, realizzandosi attraverso altro e chi invece veste altri colori. Eppure vederle donne, cresciute e determinate a rincorrere i loro sogni, qualunque essi siano, per me è già una grandissimo sogno che si avvera giorno dopo giorno.

 

TAG: calcio femminile, milan, sport
CAT: calcio

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