Italia fuori dal Mondiale: il segno di una resa invincibile

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14 Novembre 2017

<<L’Italia calcistica è per la prima volta, da tempo immemore, fuori dalla fase finale di un Mondiale. La squadra non è riuscita a battere la Svezia nel doppio confronto. Non c’era riuscita, arrivando seconda in un girone dominato dalla Spagna, squadra alla quale davamo sonore lezioni di calcio . >>

Cosi lo psicologo – psicoterapeuta Fabrizio Mignacca commenta la sconfitta calcistica di ieri.

<<Il sintomo è la manifestazione della malattia. Preso singolarmente non ha gran senso ma inserito in una fenomenologia specifica e complessa, prende un valore distinto. Non vuol dire nulla. È una inezia, una competizione sportiva fine a se stessa. Eppure se valutiamo l’importanza che il calcio ha nella vita degli italiani si nota come questa sconfitta e mancata qualificazione è, come titolava una sua storia Andrea Pazienza, “il segno di una resa invincibile”. Questo è l’unico paese al mondo dove esiste una specie di università del calcio in cui i futuri allenatori si “laureano”(??) attraverso una tesi finale sugli aspetti del gioco (pagherei per assistere a questi momenti formativi). Detta così pare un delirio, ma è vera.>>

Esistono tre diverse testate giornalistiche nazionali quotidiane che trattano di sport. Per il 90% trattano di calcio. Innumerevoli riviste settimanali e mensili che neanche l’avvento del web ha scalfito (ridotto sicuramente, ma sono ancora lì).

<<Il calcio è il pane di centinaia di persone, oltre che ai baldanzosi ragazzi che corrono dietro la palla in canotta e mutandoni. Non è solo un fenomeno economico, è soprattutto un vanto nazionale: il movimento calcistico che l’Italia ha vinto 4 mondiali. Calcolate che il Brasile ne ha vinti 5 e la Germania ne ha vinti 4 (arrivando dopo l’Italia), ma il Brasile e la Germania hanno una popolazione molto più vasta di quella presente sullo stivale. In proporzione ai numeri, il movimento calcistico Italiano potrebbe avere un giro di affiliati doppio rispetto agli altri. Metteteci pure che calcisticamente, nessun italiano è compreso tra i primi 5 giocatori del mondo di tutti i tempi. È una ragione di squadra, di caratteristiche, di passione. Il movimento calcistico italiano è sempre stato il migliore perché gli italiani, quando hanno passione, sono i migliori del mondo. Non c’è neanche un confronto. La scienza, il diritto, la letteratura hanno raggiunto vette che sono impossibili da parificare. Per oltre mille anni la cultura ed il progresso dell’umanità ha avuto una sola lingua. Quando si parla di genio italico non si parla necessariamente di esaltazione della razza, ma di quel retaggio che pone l’idea degli italiani come contributo unico all’umanità: da Leonardo a Marconi passando per Dante a Colombo, fino alle intuizioni di Olivetti. Nessuno può vantare una ricchezza di contributi alla storia del progresso umano. Quando c’è passione, c’è progresso e quando Italia si unisce a passione, c’è storia. Questo è il fatto.>>

<<Il calcio, nella sua umile futilità, riluce della passione degli italiani: il calcio in Italia unisce. Come al solito abbiamo una nutrita opposizione costituita da chi ha bisogno di indignarsi per le molteplici bandiere spuntate fuori dopo l’estate 2006 ed orgogliosamente sbandierate. Ma bisogna riflettere sul fatto che nessuno è mai riuscito ad unire questo popolo più della maglia azzurra dei calciatori: ne Garibaldi, ne tantomeno Mazzini che, chiuso nella sua stanzetta ha scritto l’Italia, ma non l’ha mai vista. Durante la festa della vittoria del mondiale ho potuto vedere una ragazza che si buttava in mezzo alla strada, a rischio della vita, per raccogliere un vessillo tricolore caduto per sbaglio, assolutamente incurante delle continue macchine che passavano ad alta velocità: Roba da Tridentina nella ritirata di Russia. Questa è l’Italia. E questa è la sua resa. Se anche l’unico motivo di unione tra le diverse anime del paese è riuscito a dare luce alla nostra italianità, allora siamo alla fine di questa breve storia.>>

A parte le analisi tecniche calcistiche perchè, ieri, l’Italia ha perso?

<<L’eliminazione dalla fase finale del mondiale è sintomatico di una nazione che non sta più insieme, che non ha voglia, che ha perso la passione anche per le futilità, per il gioco, per ciò che ci rendeva, assurdamente, fratelli. Alcuni grideranno facendosi Censori, “o Tempora, o Mores, un gruppo di strapagati ragazzotti ci teneva insieme? Altre dovrebbero essere le priorità…” lo scriveranno su Facebook e si indigneranno con gran dignità. La risposta è che non ci sono poi tante cose che ci uniscono e d’altro canto insieme non ci siamo mai voluti stare. Avevamo i comuni, i regni, i ducati, le signorie e andavano bene, si vivacchiava. Si andava avanti. Di esempi di unità abbiamo quello fallimentare della monarchia parlamentare pre-fascista o il tremendo ventennio che ha funestato con una guerra mondiale finale, le sue due decine di barbarie continue. L’Italia unità è il risultato di uno stato costruito sulle contrattazioni di Cavour, non a caso Conte Camillo Benso, e sugli sbarchi di 1000 invasati. Non certo una concertazione plebiscitaria. Si possono addurre mille responsabilità e tutte estremamente ragionevoli, ma come notava Mack Smith nel suo saggio “Storia d’Italia”, il Bel Paese è l’affare di una oligarchia che a forza di giochetti e belle parole ha unito chi non aveva necessità di stare insieme. È chiaro che il mito risorgimentale e gli sbandierati moti del ’48 sono episodi epici contornati da zone di grigio assurdo e terrificante. Fa ribrezzo pensare alle 5 giornate di Milano ed alla consultazione sull’indipendenza della Lombardia di qualche mese fa. Milano, simbolo di resistenza e di indipendenza dell’Italia da tutti gli stranieri invasori (quasi sempre di stampo teutonico…), diventa il capoluogo di una regione che vuole essere indipendente. Il Veneto, che è sempre stato il simbolo di una voglia invincibile di completare quello che era diviso da millenni fa lo stesso. C’è qualcosa che è andato storto. Ci rimaneva la nazionale di Calcio. Andati tutti, ci rimaneva solo lei. La pluri-decorata maglia azzurra. Forse non ha contribuito avere un commissario tecnico di oltre 70 anni. Forse non giova avere un presidente (ultrasettantenne anche lui) che, oltre ad inanellare una serie di gaffe spaventose, è un politicante di gran talento, ma di scarso spessore internazionale. Forse non giova avere in squadra tre (e dico tre) giocatori che hanno vinto il mondiale 11 anni fa. Paolo Maldini, come altri grandi giocatori (Cabrini o Scirea ad esempio)   del passato avevano lasciato spazio ai giovani, per responsabilizzarli alla maglia azzurra. Ma noi siamo una nazionale che si permette di giocare con degli ex giocatori , che giocano soltanto perché il livello del campionato italiano è molto basso, allenata da un vecchio e diretta da un reparto geriatrico.>>

Perché, secondo te, i grandi si ritiravano dalla nazionale?

<<Perché gli altri sentissero il peso di una responsabilità, che non era quella di giocare a palla, ma di dare una soddisfazione a milioni di connazionali. Quando l’Italia vince con la Germania (li abbiamo sempre presi battuti sonoramente) i nostri connazionali in terra tedesca avevano un motivo in più per andare a testa alta. Quando Capello segna all’Inghilterra in Inghilterra e porta a casa la prima vittoria azzurra in terra britannica, si scrive la storia delle tante volte che gli albionici ci chiamavano “camerieri” sui giornali. Non c’è nulla di male a fare il cameriere, tant’è che è una delle arti più antiche del mondo, ma gli inglesi lo usavano come dispregiativo e denigratorio. Dietro questi gol, queste azioni, questi atti che sembrano futili, c’è l’orgoglio di tanti connazionali che hanno avuto la forza di resistere contro il pregiudizio e contro la violenza. Se per 90 minuti 11 persone possono renderti orgoglioso e farti partecipare alla gioia di essere italiano, per una volta, allora ben venga. Pertini lo ricordano tutti, come l’imbarazzo del re Juan Carlos che lo vede esplodere quando i ragazzi dell’82 piegano la Germania. Pertini pensa anche alla guerra mondiale ed all’umiliazione che abbiamo subito, pensa al terrorismo che divide la sua nazione, pensa a Moro ed alle stragi di Stato e pensa a chi è davanti al televisore e che per 90 minuti di pura futilità si sentirà meglio e abbraccerà uno sconosciuto accanto a lui senza dover pensare a tutto quello che lo condanna. Lo fa impazzire e salta il presidente, salta godendo nella sconfitta della Germania. Così come abbiamo saltato nella semifinale del 2006. Il calcio è un sintomo, il sintomo di una resa invincibile, come scriveva disegnando Andrea Pazienza.>>

La resa di una nazione che non si riconosce più in niente

<< Esatto, una nazione in cui c’è uno scollamento anagrafico che si è sovrapposto ad uno economico e sociale, un paese in cui sopravvivere ha sostituito il vivere, un paese in cui l’analfabetismo secondario è il vanto del potente e la cultura e la crescita una vergogna da nascondere, un paese che da sempre esporta persone in un flusso emigratorio continuo, un paese in cui l’epica del necessario e dell’emergenza si è sostituita alla programmazione ed alla crescita sostenibile, un paese di parole senza costrutto e di promesse nel quale è luogo abbassare la testa o dare una testata per sopraffare, un paese che ha sostituito il confronto democratico con lo slogan a portata di click, un paese in cui le disuguaglianza portano all’uso del sotterfugio per ricevere un servizio, un paese in cui il “conosci qualcuno che” si è istituzionalizzato in una pratica non più nascosta, ma chiaramente dichiarata, un paese di intellettuali di parola e non di azione, un paese in cui la rabbia sputa la bile dell’intolleranza e dell’ignoranza, in cui un titolo fa notizia e la notizia è un titolo, un paese in cui la diffusione dell’informazione è suddita del preconcetto e della disperazione, un paese che chiacchiera invece di parlare, un paese in cui l’assistenzialismo crea figli e figliastri, in cui non si ha, anche contribuendo di più, il medesimo diritto di accesso alle strutture, un paese che si è arreso. Si è arreso sotto il peso delle iniquità e di quattro capitani di ventura allo sbando. Al fine a deporre la chioma, non è la vittoria ma la schiava Italia che Dio la creò…>>

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CAT: calcio

Un commento

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  1. dionysos41 6 anni fa

    E se confessassi che di questa sconfitta godo? Un popolo che ha fatto del calcio la sua bandiera si arrenderà finalmente a guardare in faccia la realtà del declino, della disfatta economica, culturale, anagrafica? la smetterà di dare credito agl’imbonitori, a destra e a sinistra? Ci credo poco, ma lo spero.

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