Lidia Poet. Solo fantasy e niente storia
Spopola dunque la nuova serie di Netflix, La legge di Lidia Poet.
Opera di immaginazione allo stato puro e che prescinde del tutto dalla vera storia della protagonista cui si ispira.
Perdendo così un’occasione per raccontare l’Italia post unitaria che era assai maschilista, ma ancora di più immersa in un’ignoranza abissale (e le cose erano inevitabilmente intrecciate).
Le cifre erano impietose: la percentuale di analfabeti spaventosa, da sei anni in su: cioè 74% nel 1861 (sei anni dopo la nascita della prima avvocata d’Italia).
Lidia Poet aveva avuto la possibilità di studiare e di amare i libri perché era nata in una piccola porzione d’Italia in cui le cose andavano esattamente all’opposto e le percentuali di alfabetizzati erano quelle degli analfabeti del resto della penisola.
Quest’Italia originale era dislocata nelle valli del pinerolose da secoli vissute dalla minoranza protestante valdese.
I Valdesi avevano da sempre molta attenzione nei confronti dell’istruzione: era legata alla radice religiosa e culturale a cui essi appartenevano che necessariamente riconosceva un ruolo importante alla capacità di leggere: la lettura consentiva l’accesso diretto ai testi biblici e anche la famiglia più povera possedeva una Bibbia, libro di religione, di lettura e di studio.
La testimonianza di una rete di scuole primarie nelle valli valdesi si ha fin dal XVI secolo ma erano organizzate in modo rudimentale: spesso l’aula era la stalla, il libro di testo la sola Bibbia, l’insegnante una persona qualsiasi che sapesse leggere e scrivere. Nel XIX secolo avrà luogo un progresso straordinario, dovuto per intero alla figura di John Charles Beckwith. Un generale britannico, ferito gravemente nell’epica battaglia di Waterloo, perse una gamba e fu costretto a lasciare la carriera militare. Nel 1827 scoprì l’esistenza della minoranza protestante italiana. Si recò nelle valli valdesi partecipando alla vita della popolazione (lo chiamavano affettuosamente gamba di legno), dedicandosi soprattutto alla scuola e vi rimase fino alla morte.
Sicuro della fondamentale importanza dell’istruzione, si dedicò alla riorganizzazione del sistema scolastico, fece costruire le scuolette o scuole di quartiere: le aule erano ambienti adatti allo studio, in alcuni luoghi, con una stanza per l’alloggio dell’insegnante; si avvalse di insegnanti qualificati pensando anche alla loro retribuzione. Per la realizzazione di queste piccole scuole riuscì a far pressione sulle autorità comunali affinché inserissero nei loro bilanci il capitolo dell’istruzione.
Queste scuole non avevano come fine l’evangelizzazione, ma l’istruzione. Provvide dunque alla costruzione e istituzione di nuove scuole, ma diede anche il suo contributo al rinnovamento didattico delle scuole valdesi: le dotò di materiali importati dall’Inghilterra, organizzò per i maestri corsi di aggiornamento presso la Scuola normale (magistrale) di Losanna e introdusse l’uso dell’italiano essendo la popolazione valdese francofona.
In quegli anni, lo scrittore Edmondo De Amicis compì un viaggio nelle valli valdesi e ne abbiamo un resoconto accurato nel volume Alle porte d’Italia.
Giunto nei pressi dei boschi di Pra del Torno fece un incontro.
«E tutt’intorno, nè un rumore, nè una forma, nè una voce umana. Non c’era che una ragazza di dodici o tredici anni, una piccola vaccaia, scalza, con un cenciuccio di vestito, seduta in terra davanti al tempio, che leggeva un libro. Guardai il titolo: era una Histoire de l’église vaudoise; un volume di formato grande e elegante, stampato a Parigi. Ne presi appunto con piacere sul mio taccuino. Era la prima contadinella italiana che vedevo leggere».
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