Torneranno i prati, la Grande Guerra secondo Ermanno Olmi

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16 Novembre 2014

L’identità si costruisce nel racconto, nella ripetizione dello stesso racconto. Il racconto si appoggia sul fondo della memoria, si rischiara e infine si solidifica. Così nasce l’identità. Così si tracciano i primi confini. Questo processo interessa la memoria individuale e la memoria collettiva, l’identità di un uomo e l’identità di una nazione. I nostri intellettuali hanno raccontato poche volte la Grande Guerra. E i suoi tratti fondamentali sono precipitati nell’oblio. Eppure, in questo evento epocale, vanno cercate le premesse del “secolo breve”: l’imperialismo americano, la politica economica interventista, la rivoluzione russa.

I nostri intellettuali hanno raccontato poche volte la Grande Guerra, una guerra vinta, perché dietro quella vittoria si nasconde la vergogna e l’orrore: milioni di figli strappati alle loro famiglie, gettati dietro una linea in un ammasso di estranei, costretti a uccidere senza una ragione ragionevole. I nostri intellettuali hanno trascurato e conseguentemente la nostra nazione ha dimenticato. La letteratura e il cinema, più della letteratura, hanno dedicato poche opere alla Grande Guerra. Due capolavori: La Grande Guerra di Monicelli e Uomini contro di Rosi. Poi un silenzio di quarant’anni interrotto da tentativi poco fortunati.

 Torneranno i prati si ispira al racconto di De Roberto La paura: un ufficiale ordina ai suoi soldati, disposti in fila all’ingresso di una trincea, di raggiungere un dosso, un luogo strategico per osservare e prevenire le mosse del nemico. Cinque soldati, uno dopo l’altro, lasciano la trincea, strisciano sulla neve e, raggiunto il dosso, vengono colpiti e abbattuti da un cecchino. La paura di chi sta in fila ad attendere il suo turno cresce progressivamente fino ad essere interrotta dalla rivolta di uno di loro che si conclude con suicidio.

Olmi inserisce il racconto in una storia più ampia: un maggiore raggiunge una trincea scavata in alta quota. Il maggiore consegna al capitano della truppa un ordine proveniente dal comando di divisione: “Le nostre comunicazioni con questo caposaldo vengono intercettate… Verrà attivato un nuovo collegamento: un punto d’osservazione avanzato.” Segue la carneficina raccontata da De Roberto. Il capitano, sconvolto dall’accaduto, rinuncia ai suoi gradi e viene sostituito da un giovanissimo tenente. Gli austriaci lanciano razzi illuminanti per riconoscere la postazione italiana. Un sergente, propone allora al tenente di schierare i soldati per affrontare faccia a faccia il nemico. Il tenente, incapace di prendere una decisione, tace. Gli austriaci riconoscono la trincea italiana e la sottopongono a un durissimo bombardamento. Arriva un secondo ordine dal comando di divisione: la linea nord orientale deve ritirarsi. Alcuni soldati scendono a valle. Altri restano a seppellire i morti.

 In Torneranno i prati l’azione è ridotta all’essenziale: gli episodi sono appena tratteggiati e vengono continuamente interrotti da ellissi temporali che rendono opaco lo sviluppo della storia. Il film non racconta: descrive. E il protagonista è la guerra. In diverse occasioni Olmi ha definito il cinema come “ricostruzione della memoria”. Più che alla letteratura, il regista si riferisce ai racconti del padre, coinvolto nel conflitto e alle lettere dal fronte dei soldati. In un’intervista Olmi puntualizza: “Non è un film realistico, bensì evocativo, perché si riallaccia allo stato allucinatorio dei ricordi.”

 Due sono gli spazi del film: la trincea e fuori la notte. I soldati vivono sottoterra, come dei morti. Le luci e i colori che li ritraggono riproducono le fotografie dell’epoca. Fuori dall’abitacolo, il candore della luna, la neve e il suo silenzio, gli animali della montagna e gli alberi protesi verso il cielo. La bellezza della notte rende l’orribile condizione dei soldati, malati, affamati, angosciati ancora più orribile.

 Le tregue, più che le battaglie, le tregue senza termine, spossanti, laceranti, l’attesa dei soldati, spaesati, soprattutto impotenti, furono il tratto dominante della Grande Guerra. Nel film il tempo è dilatato: la notte è senza fine. Torneranno i prati è una riflessione, forse una preghiera sulla condizione umana: siamo tutti condannati a morte. Olmi ricostruisce un sentimento del tempo che il nostro presente non vuole più accettare: l’attesa. I soldati sono tutti tesi-verso un’ora ineluttabile: l’ora della morte. Il rifiuto, la rivolta, le distrazioni non possono nulla e sono destinati al fallimento.

Come passare il tempo dell’attesa? Come passare la tragica notte interminabile? In Torneranno i prati passare il tempo significa passare-oltre-il tempo, entrare nell’eternità. La lettura cristiana della Grande Guerra che Olmi propone, rimanda a una parabola del Vangelo di Matteo: la parabola delle vergini stolte: le vergini che, dimenticando l’olio per le loro lampade, non vennero riconosciute dallo sposo. Non andarono a nozze perché non “erano pronte”. La vita in trincea, la disperata vita d’attesa è una faticosa preparazione. Alcuni, gli ultimi degli uomini, riescono a vivere-per-la morte, altri non riescono.

Al termine del film, un soldato si rivolge direttamente alla macchina da presa: “Qui sarà cresciuta l’erba nuova. E di quel che c’è stato qui, di tutto quello che abbiamo patito, non si vedrà più niente”.

La natura nasconde, nel corso del tempo, le tracce dell’orrore. Ma l’uomo, attraverso i racconti, può mantenerne viva la memoria.

 

 

 

 

 

TAG: Torneranno i prati
CAT: Cinema

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