L’ultimo film di Ozon e la sexualité

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29 Aprile 2015

Illustrazione di Federico Monzani

Qualche anno fa io e Luca Servidati, che scrive su questo giornale, abbiamo avuto l’idea di rifare Comizi d’amore, il film in cui Pier Paolo Pasolini, nel 1964, indagava la sessualità degli italiani mettendone in luce i tabù relativi all’omosessualità e a tutto ciò che fuoriusciva dagli schemi consolidati della società piccolo borghese e borghese, nonché da quello che rimaneva della cultura contadina e operaia.

Poi la disgregazione delle culture di classe; l’allontanamento benefico da una struttura sociale omeostatica; la libertà di espressione dell’individuo; la globalizzazione.

Il mondo di Comizi d’amore non esisteva già più quando Michel Foucault scrisse la volontà di sapere nel 1976, un testo magistrale sulla costruzione culturale della sessualità. Poi Judith Butler con Gender Trouble, uscito in italiano con il titolo Scambi di Genere (1990), e tanti altri; da lì un intero campo dedicato, i Queer Studies.

Il tentativo di rifare i Comizi andò buco perché gli intervistati rispondevano tutti allo stesso modo, sintetizzabile in: “ognuno è libero di fare ciò che vuole”. L’abbiamo interpretato come una normale conseguenza della forma di governo democratica e dell’avanzare dell’uguaglianza come concetto ideale e non reale, come insegnano Carl Smith e Theodor Adorno.  Il nostro errore, abbiamo capito essere il “linguaggio” ossia il modo di interrogare la realtà; cambia la cultura antropologica e con essa deve cambiare anche il criterio con cui fare teoria.

Furono diversi i registi, non che noi lo fossimo essendo laureati in filosofia, che tentarono di rifare il film pasoliniano, ma nessuno riuscì a produrre qualche cosa di rilevante. Il problema stava per tutti nel “linguaggio” a mio avviso, producevano contenuti banali e per nulla interessanti; non dicevano del loro tempo, più di quello che si ascolta superficialmente nelle discussioni da bar.

Abbandonate le interviste dopo una settimana, ne è uscito Voci di Sassi appunti per un film su Matera; un breve documentario dedicato alla città lucana con un intervista a Enrique Irazoqui, Cristo nel Vangelo di Pasolini; ci siamo divertiti, anche se l’amaro in bocca è rimasto per non essere riusciti a rispondere alla domanda: ma qual è il modo giusto di ottenere un quadro della sessualità nel mondo contemporaneo? Che cos’è oggi la sessualità?

A queste domande ha ben risposto Francois Ozon con il suo ultimo film Una nuova amica ora nelle sale cinematografiche. É vero, non si tratta di un documentario, ma importa che abbia usato il “linguaggio” giusto. Bisogna giocare con il “linguaggio” diceva durante una conferenza Pippo Delbono, un altro grande della scena artistica contemporanea: “non è che Checov, non è che Moliere, non è che Pirandello, assolutamente dei grandi rivoluzionari; però adesso è diventato un accontentarsi di qualche cosa. Noi abbiamo bisogno di ricostituire le cose, dobbiamo confrontarci su che cosa siamo adesso e quello è un discorso di linguaggio“; guardate Sangue (2013) e capirete di cosa sta parlando. A tal proposito non posso fare un torto e non citare Xavier Dolan con Lawrence Anyways (2012) e più in generale con tutta la sua produzione cinematografica. La loro educazione emotiva è superiore, e questo traspare, educa diseducando.

In Una nuova amica, Ozon, che ha una strana malattia – in senso buono naturalmente – riesce a dire qualche cosa di inedito sulla sessualità: accettiamo, cerchiamo e siamo attratti dalle situazioni più strambe; la sessualità diviene sempre più un prurito, un intensificarsi dell’eccitazione sui corpi e fra i corpi; la sessualizzazione del reale aumenta in un continuo vociferare del mentale che accetta sempre meno limiti alla libertà.

Tutto ciò per ora è nascosto dietro la possibilità voyeuristica offerta dal web, dove ognuno trova sfogo ai propri desideri e riesce a liberare l’energia libidica necessaria all’equilibrio psicofisico. In questo senso, se mi è permesso azzardare un’ipotesi, assistiamo ad un raffreddamento dei corpi e dello scambio sessuale in parte già soddisfatto. I pensieri desideranti, qualsiasi essi siano, rappresentano fisiologicamente un aumento di energia che abbisogna di essere sfogata; il supporto tecnologico, fruibile in ogni momento, esercita in parte questa funzione.

Ma non c’è tecnologia e nemmeno freddezza nel film di Ozon. Quello che colpisce è il sentimento di estraneità che provocano alcune scene; destano stupore, disorientano e sbalordiscono.

Nel suscitare ciò riescono nel loro intento maieutico perché mettono alla prova i paradigmi etici entro i quali viviamo. Allora sì il genere, non senza difficoltà, si svela cinematograficamente (non filosoficamente) come costrutto culturale. Sta qui l’importanza di un film come quello di Ozon; spinge verso una direzione che è inevitabilmente di crescita interiore perché esprime l’avanguardia del nostro mondo culturale.

Allora la ricerca del giusto “linguaggio” è fondamentale all’arte; così come la prerogativa di parlare del proprio tempo spingendolo sempre un po’ più in là. Guardando Una nuova amica si ha l’impressione di essere davanti a qualcosa che stimola la riflessione in quanto ci rappresenta. Nel caso di Comizi d’amore invece, quel qualcosa non ci rappresentava più, ed è per questo che le parole mentre le usavo, “mi si sfacevano in bocca come funghi ammuffiti”.

TAG: Enrique Irazoqui, Foucault, Francois Ozon, Lawrence Anyways, Pasolini, Pippo Delbono, sangue, Una vera amica, Voci di sassi appunti per un film su Matera, Xavier Dolan
CAT: Cinema, Filosofia

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