Colloquio con Luchino Visconti

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10 Settembre 2023

Buonasera, Conte. Vorremmo fare una chiacchierata con lei per cercare di capire il suo punto di vista su questi ultimi tempi perché, vista la capacità analitica e visionaria che ha dimostrato di avere in tutti i suoi film e nei suoi lavori teatrali, la sua opinione potrebbe esserci di guida per orientarci.

Buonasera a lei, caro interlocutore. Lei mi sopravvaluta troppo. Sì, è vero, sono un osservatore e, oltre che per le aste d’antiquariato, mi piace andare in giro per mercati, proprio per osservare la gente comune. Ho imparato molto nei mercati. Osservo, osservo, certo. Ho molta malinconia, sono un sentimentale. Non mi piacciono questi tempi così superficiali, proprio perché pregni di una superficialità diffusa ormai cronicizzata. Non avrei mai immaginato che saremmo ripiombati nelle tenebre così presto. Pierpaolo (Pasolini) aveva proprio ragione, sebbene avessimo due maniere diverse di interpretare la realtà. Ripensandoci, non poi troppo, però. Entrambi fummo incantati da Maria Callas, tigre mediterranea che portava dentro di sé la tragedia greca, come se ne fosse l’incarnazione.

Perché non le piacciono questi tempi?

La volgarità, per prima cosa. Non perché io sia un aristocratico, assolutamente. Vedo molti aristocratici o presunti tali, come un certo falso Dimitri molto in auge in questo periodo, che sono immensamente più volgari di persone che non sanno leggere e scrivere. Queste ultime possono essere invasate, magari a loro insaputa, dalla Poesia e possedere le chiavi della bellezza senza aver studiato un solo rigo di storia dell’arte. Certo, l’alfabetizzazione può aiutare parecchio, ma l’indole è ciò che decide. Non mi piacciono questi tempi di ostentazione, di consumo di cose totalmente inutili e di pessima qualità. Lei potrà obiettarmi che non sono molti quelli che possono permettersi di vivere in mezzo alle anticaglie come faccio io. Ma io noto che ci sono troppe persone, oggi, che buttano via il divano impero della nonna per accogliere nelle loro case i sofà di grandi magazzini svedesi che poi sono fatti in Cina. Cina che, ormai, non ha più niente di affascinante di un passato storico e di cui conserviamo le reliquie in Occidente. I cinesi di oggi, che distruggono il passato del loro paese edificando città mostruose per poi lasciarle disabitate e abbatterle, sono solo in grado di riprodurre, senza inventare, dediti al commercio e basta, con rigide regole familiari che stabiliscono il destino dei loro giovani. Non sono liberi di fare ciò che vogliono ma devono seguire necessariamente il lavoro della famiglia. Certo anche i miei personaggi tratti dal Verga facevano lo stesso mestiere dei padri, è vero, così come gli aristocratici del Gattopardo, sempre parassiti della società. Ma almeno questi ultimi erano eleganti. Ecco, un’altra cosa che non mi piace di oggi: la mancanza totale di eleganza. Innanzi tutto nel vestire: come si conciano oggi i giovani, soprattutto le giovani, resta un mistero per me. La trovo una totale mancanza di rispetto verso sé stessi e verso gli altri. Devo anche dire che molti stilisti producono cose orrende. Anche nel prêt-à-porter per ricchi vige il pessimo gusto. Trovo che le persone meno abbienti a volte abbiano più decenza nel vestirsi, forse trovano più facilmente delle cose nei grandi magazzini che non sono chissà che ma più sobrie. Certo, oggi, pretendere che le donne vadano a fare la spesa vestite da Balenciaga è fuori discussione. Ma pensi com’erano assai più attraenti le donne allora. E come si va vestiti al lavoro, oggi, che squallore. Spesso anche in ciabatte infradito, in calzoni corti e in canottiera. Io trovo questo una profonda mancanza di rispetto. La spiaggia è una cosa, il lavoro un’altra.

Beh, certo, però è innegabile che la praticità sia la musa ispiratrice dei tempi moderni.

La “praticità”, dice? Può darsi, non voglio metterlo in dubbio e, in effetti, osservando, noto che le cose oggi si fanno più rapidamente, forse per “praticità”, come dice lei, ma mi lasci dire che il risultato è ben più sciatto. La praticità vera, che è una grande virtù, oggi è scambiata colla fretta. Si fa tutto di fretta, senza pensare, senza riflettere che magari, mettendoci un po’ più di tempo e analizzando meglio le cose, si potrebbero raggiungere risultati migliori. Studiando, forse. Oggi si studia poco e male e, a sentire certi ministri o sedicenti esperti della scuola, si studierebbe perfino troppo. Il risultato è questa “praticità” nel suo senso esteso, che invade tutto. Nessuno ha più la pazienza di ascoltare l’interlocutore così come nessuno ha più voglia di leggere un messaggio o un articolo che contenga più di un centinaio di caratteri, perché risulta “spratico”. Ma non tutto è la ricetta della pur ottima Pasta alla Norma, che si può definire in poche parole. Per cose un po’ più complesse ci vuole tempo per spiegare, coi giusti termini, e disponibilità a capirli, quei termini. La “praticità” nega tutto questo, oggi, non trova?

Ha ragione, Conte. Ma mi dica piuttosto perché…

Ah, scusi se la interrompo, dimenticavo, l’eleganza non è solo vestirsi male. Guardi come si esprime oggi la gente. Non solo la gente comune, ma anche i giornalisti, certi intellettuali – intellettuali, poi, mah… – che hanno fatto dell’insulto e della rissa il loro biglietto da visita, come parlano. Molti, nonostante l’alfabetizzazione obbligatoria che c’è stata nel secolo scorso, continuano a fare errori di concordanza, di coniugazione dei verbi, pensi ai congiuntivi che ormai sono considerati un orpello per snob (come me). E poi la povertà di linguaggio, la lingua assurda che usano i giovani e anche quelli meno giovani utilizzando la x al posto della preposizione “per”, o la k al posto della c dura, e altre amenità idiomatiche. Sembra di essere tornati indietro a sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene eccetera. Un medioevo babelico. La nostra bellissima lingua, così perfezionata da Petrarca, Ariosto, Leopardi, risciacquata nei social, altro che Arno, e ridiventata barbarie… Non le sembra molto inelegante tutto ciò?

Continuo a darle ragione, Conte. In effetti è l’altra faccia della medaglia della praticità.

Lei però continua a confondere la praticità colla fretta. Sono due cose ben diverse, come le spiegavo. Ma passiamo ad altro. Non è che io sia sempre un fan del passato. Il passato ci ha riservato due orrende guerre mondiali con relativi ed enormi spargimenti di sangue e distruzione di città e di beni artistici e architettonici che ormai sono polverizzati e restano descritti solamente nelle immagini e nei libri sopravvissuti. Oltre allo sfacelo di intere società. Piuttosto ho paura che quel passato possa ritornare perché non c’è stata la trasmissione della memoria, almeno, non abbastanza. La memoria è una lux aeterna che deve sempre restare accesa, sempre. E questa trasmissione passa anche attraverso una Cultura colla maiuscola, esattamente all’opposto dell’usa e getta, ossia il consumismo. A volte cercare il mobile antico piuttosto che il mobile IKEA è anche una scelta per dare una seconda vita a un oggetto ben fatto, forse più pesante e meno “pratico” del corrispondente moderno, ma che almeno non si rompe un mese dopo perché fatto di legno vero e non truciolare che basta un colpo o un peso poco oltre il limite per sbriciolarlo. E, paradossalmente, costa anche meno del mobile nuovo. Cosa non si trova gettato via per strada. Una notte, tornando a casa, ho recuperato una vetrinetta liberty deliziosa, semplicemente buttata via. È vero che necessitano anche di spazio, molti di questi mobili, e le case moderne sono sempre più piccole e tagliate male, o forse tagliate per famiglie diverse da quelle di una volta. Lasci stare me che abito in palazzi sconfinati ma le case borghesi dei primi del Novecento erano tagliate bene, con stanze ampie, soffitti alti, finestre grandi, entrava luce, aria, tutto, erano più salubri. Oggi, in molte case si può addirittura toccare il soffitto colla mano. E tutto è organizzato per buttare, non per riutilizzare. Anche le case moderne spesso sono fatte di sabbia e si sbriciolano dopo pochi decenni. Guardi le case in cemento armato, come si deteriorano facilmente i balconi, perdendo pezzi, e osservi le mensole scolpite dei balconi di antichi palazzi come a Ragusa, a Catania, a Palermo, che resistono da tanti secoli, a guerre, a terremoti, al tempo. Io trovo tutto questo perverso.

Però, se si riutilizza solo l’antico, non si dà modo di andare avanti nel design e di fare progredire anche l’arredamento o tutto il resto.

È vero quello che dice, ma è ovvio, non volevo disprezzare il moderno tout court. Io mi riferivo solo al moderno economico di bassa qualità che poi alla fine va solo a ingrossare l’altezza dell’immondizia nella discarica. E la maggior parte delle cose non è riciclabile, per volontà stessa dei fabbricanti, in tutto il mondo. Quanto è imbecille l’uomo di oggi, soprattutto avendone consapevolezza. Pensi alla quantità di fibre sintetiche che vengono disperse nell’ambiente e quanti animali muoiono mangiandole, soprattutto nel mare. E poi, magari, noi mangiamo quei pesci che le hanno assimilate, seppure in minima parte. Non le sembra terribilmente stupido?

Ha ragione, Conte. Ma, ai suoi tempi, ci pensavate a queste cose?

Ai miei tempi si veniva fuori da una guerra mondiale, e in Italia c’era stata l’autarchia per molti anni, e si faceva con ciò che si aveva e si riciclava tutto, delle lenzuola lise si facevano camicie colle parti migliori, si facevano le bambole di pezza; poi le corde,  si riciclavano per fare la seduta delle seggiole o ceste, perfino le scarpe estive; il legno di un mobile si riutilizzava per altri, i vestiti del più grande passavano al più giovane, si facevano i giocattoli di latta, così come oggi li fanno i bambini dei paesi poveri dell’Africa, e così via. Le scarpe spesso erano di cartone, certo non per tutti, noi eravamo ricchi, ma io pensavo sempre a chi non aveva i mezzi, feci pure il partigiano. Dopo la guerra fu molto dura ricominciare. Per fortuna, al contrario della Germania che combatté fino alla fine, noi ci arrendemmo e collaborammo, altrimenti sarebbe andata peggio. Non c’era una coscienza dell’ambiente, semplicemente non esisteva. E poi eravamo pochissimi rispetto alla quantità di umanità che c’è oggi. Il consumo era mille volte meno. I problemi vennero dopo, coll’idea di benessere e di consumo, appunto, portati dai vincitori. Locuste. Certo, c’erano anche tante belle cose portate dall’Oltremare, come Cole Porter e il Jazz, Tennessee Williams, che ho tanto amato, Greta Garbo, e Maria Callas, ma la maggior parte delle novità alla lunga si sono rivelate mortifere.

Lei non vede un grande futuro, quindi?

Che vuole che le dica, non proprio. Ossia, forse qualche cosa si potrebbe fare ma sono microcosmi, sono isole nell’oceano. È pur vero che molte isole formano un arcipelago, come diceva sempre la mia cara amica Franca Valeri, ed è anche vero che si possono costruire isole dove non ce n’erano, guardi cosa non fanno nel Golfo Persico! Ma la tendenza che emerge, purtroppo, è sempre la stessa, ovunque. La guerra sembra che sia sempre la soluzione dei maschi in preda al testosterone, che potrebbe essere utilizzato con molta più accortezza a letto con chi lo saprebbe apprezzare. Ricorda Belcore e Nemorino? Entrambi in preda al testosterone, per vie opposte ma simili. Alla fine vince l’amore e non la guerra, seppure per mano dell’astuzia femminile di Adina. Vabbè che L’elisir d’amore è pure un’opera buffa, cose che succedono solo in palcoscenico. Ma pensi come sarebbe divertente e sano se Venere scatenasse al fronte di due paesi in guerra un’epidemia di amore e se tutti i soldati fino a quel momento nemici si abbracciassero si spogliassero delle uniformi e facessero l’amore tra loro! Penso a quei bei giovani ucraini e russi che si sterminano, in questo momento. Quanto sarebbe più rilassante e produttivo fare l’amore.

Potrebbe essere la trama di un musical mitologico o di un porno gay militar chic. Il teatro e il cinema aiutano sempre tanto a captare dalla realtà degli spunti e poi rielaborarli.

Appunto, le vicende umane trasfigurate dai grandi autori come Dumas e Verdi, o Sardou e Puccini, o Da Ponte e Mozart, hanno il potere di farci riflettere sul bene e sul male, anche se sono frammenti di realtà, come si direbbe oggi, aumentata, perché il teatro, fin dai Greci antichi, esasperava le passioni umane amplificandole e le simbolizzava. Aristofane e Pitigrilli si sarebbero detti tante cose se si fossero incontrati oppure Euripide e Hoffmansthal. Trovo che alla gente, soprattutto ai giovani, dovrebbe essere interdetto l’uso del telefono per scopi social e bisognerebbe obbligarli ad andare di più a teatro e a leggere i classici. Un poeta siciliano, Ignazio Buttitta, scrisse una massima che dovrebbe essere scolpita su tutte le scuole, e non solo: Nella mente deve entrare il sole per asciugare l’umidità dell’ignoranza. Poi, trovo che ciò che oggi chiamano letteratura sia un piagnisteo continuo su vicende intime che di raro sono veramente interessanti. Un po’ meglio all’estero, ma la letteratura italiana attuale è veramente imbarazzante. Più che Premio Strega si dovrebbe chiamare Premio Ostrega. Una letteratura così inconsistente non ha assolutamente nulla da insegnare. E c’era anche quella, come si chiama, Tamarro o Tamaro, che pretendeva di sostituire Verga a scuola perché a lei, quand’era giovane e anche dopo, non piaceva… Ma si rende conto? Giovanni Verga! I Malavoglia, Mastro Don Gesualdo, Storia di una Capinera! La Cavalleria rusticana, e tutte le novelle… fosse capace lei di scrivere così! Ci riallacciamo a quanto sia inelegante oggi la lingua.

Insomma, caro Conte, vedo che veramente le va bene ben poco di questa modernità.

Parafrasando Angelica nel Gattopardo, sarebbe come bere l’acqua dopo aver assaggiato il marsala. E poi, me lo ha chiesto lei. Io le mie impressioni in genere le tengo per me proprio perché non c’è quasi più nessuno in grado di capire lo spessore dei discorsi. Da quando Costanzo ha invitato contemporaneamente nel suo salotto televisivo il Premio Nobel e il cialtrone di turno, la grande attrice e il coatto di periferia, tutto ha perso di valore. La banalizzazione del presente affonda le radici in quelle trasmissioni, tutto è intercambiabile, tutto può anche essere il suo contrario e avere la stessa valenza. Ciò ha riscattato le persone senza arte né parte che non avevano nient’altro da dire se non la propria ignoranza e volgarità, e qui ci riallacciamo a quanto detto all’inizio. E va avanti solo chi fa sentire più forte la propria volgarità. Si guardi intorno. Il cerchio si chiude.

Cambiamo un po’ tema. Che attrice le piace, maggiormente, oggi?

Giorgia Meloni. Deve avere visto così tante volte L’onorevole Angelina da immedesimarsi in Anna Magnani. La osservi attentamente. Fa le sue espressioni, soprattutto quando sgrana gli occhi e poi sorride di compatimento nei confronti dell’interlocutore che le pone domande giustamente imbarazzanti (per lei). A volte usa fraseggi simili, romane entrambe. Ovviamente la moderna è la brutta copia dell’immensa Magnani. Come l’ho adorata, anche se aveva un carattere difficile, ma l’intelligenza è difficile. Qui, nella squallida copia moderna, intravedo più furbizia che intelligenza, anche se l’astuzia può esservi, in qualche modo, associata. Ma non basta. E poi si circonda di personaggi impresentabili e che non la fanno crescere attorialmente, sembra la corte dei miracoli di Nôtre-Dame de Paris. Guardi la ministra del turismo cosa non riesce a dire e a fare di un paese straordinario come il nostro, in che mani è la nostra promozione. Povera Venere del Botticelli! È tutto una specie di feuilleton, tragico, perché riporta indietro di un secolo il nostro paese. Meno male che Anna non ha fatto in tempo a vedere questa nuova ascesa psicofascista, forse si sarebbe buttata in politica per davvero, odiava quel passato nefasto. E sono certo che avrebbe vinto le elezioni.

Ah, ah, ah! Maddai, Giorgia Meloni… davvero? No, no, un’attrice vera.

Se parliamo dei sopravvissuti allora di sicuro Ottavia Piccolo e Giulia Lazzarini. Molte altre se ne sono andate già via. Le giovani raramente fanno capire qualcosa quando recitano. Forse le imitatrici, la Cortellesi o la Raffaele, sono più chiare perché la parodia dev’esserlo. Io a volte devo chiedere a chi è accanto a me, guardando le serie tv che vanno per la maggiore, o anche al cinema, che poi sono gli stessi attori, quasi tutti giovani o ex-giovani, che cos’hanno detto. Non fanno capire niente, non articolano i suoni. E anche questo si riallaccia all’uso sciatto della lingua che si fa oggi.

Un viatico, per favore, è tutto così scoraggiante.

Un viatico. Si fa presto a dire. Più che di un viatico mi verrebbe voglia di dare un’estrema unzione. Ma l’esteta che è in me, almeno in una parte di me, mi spinge a citare alcune parole di Oscar Wilde: L’uomo colto è colui che riesce a trovare un bel significato alle belle cose. Per lui la speranza è una realtà. Quindi il rimedio sta nella cultura, come sempre.

Grazie, Conte.

Grazie a lei, buonasera.

 

 

TAG: Angelica, Callas, cinema, Cultura, Franca Valeri, Gattopardo, linguaggio, Luchino Visconti, Magnani, Meloni, psicofascismo, social, teatro
CAT: Cinema, Teatro

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