
Milano
Letture: “La città possibile: idee e pratiche per un futuro urbano più giusto”
Il volume Città possibile, con la prefazione di Ada Colau, propone un’agenda per città più giuste e partecipative. Un invito a recuperare trasparenza e senso collettivo, superando i progetti calati dall’alto e le narrazioni immaginifiche della finanza urbana
La pubblicazione Città possibile. Idee e pratiche per una politica urbana trasformativa (Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2025) arriva in un momento storico in cui molte città italiane, e Milano in particolare, vivono turbolenze profonde sul fronte delle trasformazioni urbane.
Gli scandali giudiziari e le polemiche legate a decisioni cruciali – come il futuro dello stadio di San Siro – hanno riportato alla luce i nodi strutturali del nostro sistema decisionale: un deficit normativo e procedurale che lascia ampio spazio a logiche opache e che, di fatto, consegna la regia delle trasformazioni urbane a finanza e rendita immobiliare.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: caro casa, caro affitti, gentrificazione spinta, over tourism.
Fenomeni che non solo aggravano le disuguaglianze sociali, ma erodono anche il senso collettivo delle trasformazioni urbane, ridotte a processi governati dall’alto e impermeabili al confronto con i cittadini.
In questo scenario di fragilità urbana – istituzionale, sociale ed economica – il volume curato dalla Fondazione Feltrinelli rappresenta un’occasione preziosa: un insieme di riflessioni e proposte per riformare politiche e approcci, e per ridare centralità alle domande fondanti di ogni processo di pianificazione: per chi si fa il piano e con chi si fa il piano.
La forza del libro sta nell’offrire uno sguardo ampio e integrato. I saggi raccolti – firmati, tra gli altri, da Andrea Filippetti, Marcello Natili, Walter Massa, Paola Pucci, Ezio Micelli e Gaetano Manfredi – affrontano temi che spaziano dal rapporto tra politiche europee e sviluppo locale fino alle pratiche urbane di rigenerazione e innovazione sociale.
Un contributo significativo è affidato ad Ada Colau, ex sindaca di Barcellona, che nella prefazione richiama la sua esperienza di governo municipalista.
Colau sottolinea come le città possano diventare laboratori di democrazia radicale, capaci di opporsi alla speculazione immobiliare, di difendere il diritto all’abitare e di guidare la transizione ecologica. La sua voce, radicata in anni di conflitti urbani e di politiche innovative – dal modello dei “superblocks” alle piattaforme digitali per la partecipazione – offre un esempio concreto di come sia possibile costruire un’altra idea di città, più giusta e inclusiva.
Il filo rosso che unisce i contributi è chiaro: le città possono e devono diventare protagoniste delle transizioni giuste, a condizione che tornino a essere spazio pubblico di decisione democratica.
Non bastano visioni tecnocratiche o gestioni ordinarie: servono processi inclusivi, in grado di mettere in relazione amministrazioni, cittadini, imprese, saperi e società civile.
Solo così è possibile rispondere all’esigenza di fondo: costruire città più eque, più sostenibili e più resilienti.
Per Milano e per molte altre città italiane, queste riflessioni offrono stimoli diretti.
Recuperare trasparenza e senso collettivo nelle decisioni significa uscire dalla logica del “progetto calato dall’alto” e aprire la pianificazione a forme di co-decisione reale.
Significa anche interrogarsi sul rapporto tra sviluppo urbano e diritto all’abitare, tra attrattività internazionale e qualità della vita quotidiana, tra interessi immobiliari e beni comuni.
Troppo spesso, infatti, il progetto “finanziario” si appropria del discorso pubblico utilizzando strategie di disaccoppiamento dei fini: si orienta la narrazione su profili emozionali o immaginifici, si ricorre a rendering fuorvianti che mostrano scenari idealizzati, si enfatizzano valori come l’“esclusività” o la promessa di una nuova identità urbana, mentre si nascondono gli effetti reali sul tessuto sociale ed economico. Così le trasformazioni finiscono per essere percepite come inevitabili, mentre in realtà rispondono a logiche di rendita più che a un progetto condiviso di città.
In questo senso, Città possibile non è solo un volume di analisi accademica, ma una bussola politica e culturale.
Ci ricorda che pianificare la città non è un esercizio tecnico per pochi addetti ai lavori, ma un processo collettivo che deve tornare a rispondere a due domande semplici ma decisive: a chi giovano le trasformazioni urbane e chi partecipa a definirle?
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