Milano
Milano in rosso-nero. Anzi, in grigio-rosa
Un mondo completamente ribaltato nel giro di una ventina d’anni. Una tendenza che si sta diffondendo in quasi tutti i paesi occidentali, in maniera particolarmente significativa.
Un nuovo colore diventa ovunque predominante: era grigio, oggi è rosa.
Le tendenze politiche consolidate a Milano negli ultimi 15 anni sono in linea con quelle del mondo: i più ricchi e istruiti votano a sinistra, quelli che lo sono meno a destra.
Non si entusiasmino, i tifosi milanisti: il rosso e il nero sono soltanto i colori-simbolo delle giunte che si sono succedute nella metropoli meneghina. Nello specifico, quelle scelte direttamente dai cittadini, dalla prima elezione diretta del sindaco, nel 1993, ad oggi. Per correttezza temporale, si dovrebbe peraltro parlare delle tendenze politiche di Milano come di nero-rosso o, se volete, visto che le diverse giunte di destra e di sinistra sono state sempre piuttosto “tiepide”, una Milano in grigio-rosa.
Quel primo anno post-tangentopoli fornì un risultato del tutto inaspettato e che non si sarebbe mai ripetuto nei decenni successivi: la vittoria di un sindaco leghista (Formentini), vero underdog contro un candidato forte e famoso, per meriti propri ma anche molto conosciuto per retaggio familiare, Nando della Chiesa. Fu, quella elezione, una sorta di prequel, una anticipazione di quando sarebbe accaduto negli anni seguenti, con l’assoluto predominio di uomini e donne legate al nuovo centro di gravità permanente della politica italiana, Silvio Berlusconi.
Così Milano, che dal dopoguerra era sempre stata demarcata dalla presenza di giunte più o meno vicine al centro-sinistra o alla sinistra, con sindaci social-democratici o socialisti (da Bucalossi a Pillitteri, passando per Aniasi e Tognoli), venne a trovarsi nelle mani della parte politica opposta, quella del centro-destra che faceva capo a Forza Italia, insieme alla Lega e alla destra.
I voti poi, e la partecipazione, come erano suddivisi a livello territoriale? Ancora in quegli anni restava viva la classica strutturazione della vecchia politica: aree centrali a destra e aree periferiche a sinistra, con tassi di affluenza alle urne via via più elevati andando verso i quartieri della cintura ex-operaia. Un assetto evidente e prevalente in tutte le maggiori città italiane e anche europee, che è durato fino ai primi anni di questo secolo, e persiste nelle città di antica tradizione social-comunista, come a Bologna, dove ancora recentemente – sia pur in forma più alleviata – le aree maggiormente benestanti votano relativamente più a destra rispetto a quelle più disagiate.
A Milano, negli anni tra il 1993 e il 2010, il divario dei voti a favore del centro-destra nel Municipio 1, quello centrale, oscillava tra il 15 e il 20% in più rispetto al suo appeal nelle periferie. La distribuzione dei consensi appariva simile alla configurazione tradizionale degli ultimi decenni.
Ma qualcosa, dapprima impercettibilmente poi con sempre maggior vigore, stava mutando radicalmente: prendeva piede in Italia, alla stessa stregua di tutti i principali paesi occidentali, un cambiamento difficilmente immaginabile del mercato elettorale.
Nel capoluogo lombardo il punto di svolta, il classico political turning-point, coincise con l’occasione delle amministrative del 2001: Letizia Moratti contro Giuliano Pisapia. Vale a dire la sindaca uscente del centro-destra, cognata del presidente dell’Inter e molto amica di Berlusconi, contro un avvocato già eletto parlamentare, seppur come indipendente, nelle file di Rifondazione Comunista, capace di sconfiggere da underdog Stefano Boeri, appoggiato dal Partito Democratico.
Presentandosi di nuovo come sfavorito al confronto con Moratti, Pisapia riuscì nell’impresa di vincere sia al primo turno che al ballottaggio, diventando il primo sindaco di centro-sinistra nell’epoca della elezione diretta. In quella occasione, l’astensionismo, in costante crescita anche a Milano, si arresta improvvisamente, permettendo l’inaspettata vittoria e, nel contempo, si registra un primo importante mutamento rispetto al passato: centro-destra e centro-sinistra si equivalgono nei consensi, senza significative differenze tra centro e periferia.
Da quell’anno in poi, fino alla situazione attuale, il capoluogo lombardo percorre la stessa strada delle altre più importanti metropoli, sia italiane che occidentali (Torino e Roma in Italia, Londra, New York, Berlino, Parigi, e così via nel resto del mondo).
L’elettorato più benestante e più istruito continua sempre più a votare per partiti e candidati di centro-sinistra, quello meno istruito e più povero si rivolge sempre più ai partiti di centro-destra, populisti, sovranisti e anti-europeisti.
Così, negli ultimi anni, guardando le tendenze politiche di Milano, il gap tra centro e periferia si trova con valori del tutto invertiti: nell’area centrale milanese si passa dal +20% per il centro-destra del 2001 al +20% per il centro-sinistra del 2024.
Un mondo completamente ribaltato nel giro di una ventina d’anni. Una tendenza, peraltro, che si sta acuendo ultimamente in quasi tutti i paesi occidentali, in maniera particolarmente significativa.
Un nuovo colore diventa predominante, passando dal grigio al rosa.
Università degli Studi di Milano
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