Milano

Per cambiare la realtà bisogna riconoscerla: il “modello Milano” piaceva quasi a tutti

19 Luglio 2025

Adesso che non è più un Modello vale la pena di riparlare di Milano e provare, ancora una volta, a guardare la vicenda milanese di queste settimane da lontano, dall’alto. A non cedere alla tentazione che il dettaglio dell’inchiesta, delle intercettazioni, di accuse che andranno provate in giudizio, faccia dimenticare la questione squisitamente politica che da ben prima poneva la traiettoria del successo di Milano celebrato per un decennio, e poi abbastanza velocemente mutato in pianto. È la storia di una città e della sua area metropolitana che sono, da sempre, il cuore dell’economia e del business nel nostro paese. Questo fenomeno, che affonda radici nella storia italica da ben prima che l’Italia fosse, ha avuto un’accelerazione negli ultimi decenni. I fattori che hanno concentrato ulteriormente ricchezza, e quindi potere, accelerando le diseguaglianze, sono a loro volta tanti. Sono fattori specifici della realtà italiana e regionale, da un lato, e spesso però fanno rima con quanto si verifica e succede dentro e attorno a tutte le aree metropolitane di successo dei paesi capitalisti.

Nel caso della Milano di questi decenni, ha contato sicuramente un progressivo inaridimento di diverse e storicamente importanti aree industriali limitrofe, che avevano rappresentato un terminale di investimento e di occupazione intensiva. Vale per la Torino che era stata della Fiat, e per la Genova della cantieristica navale e dei rispettivi indotti: insieme a Milano costituivano un triangolo industriale la cui geometria si è sicuramente polarizzata verso il capoluogo lombardo. Questo ha avuto un riflesso chiaro in uno dei termometri sempre precisi dello stato di effervescienza e salute di un’economia, che è la demografia. Mentre Torino, Genova e ampi pezzi della provincia del Nord perdevano abitanti, a Milano si verificava un fenomeno opposto, di stabilità ascendente del numero dei residenti, e con una sempre crescente prevalenza delle “famiglie senza nucleo”, termine tecnico che definisce i residenti che vivono da soli. Anziani vedovi, separati e divorziati e, in numero sempre crescente, i single. A tacere d’altro, questo è anche dei tanti fattori di pressione sul mercato e sui valori immobiliari.

Proprio mentre queste e altre trasformazioni sociali ed economiche avevano origine e acceleravano, a Milano nasceva e da Milano si irradiava la più importante discontinuità politica dell’Italia repubblicana, con l’inchiesta di Mani Pulite. Chiusa in fretta l’esperienza del monocolore leghista di Marco Formentini, la normalizzazione di quella rottura ha di fatto portato, pochi anni dopo, a una lunga egemonia del centrodestra sulla città. Dieci anni di Albertini, cinque di Moratti, quindici di berlusconismo egemone nei numeri elettorali e nella mentalità. Ma anche quindici anni nei quali la composizione demografica di Milano continua costantemente a cambiare, e non è un fattore trascurabile per poter spiegare perchè, nel 2011, proprio nella storica capitale dell’Italia politica e imprenditoriale di Silvio Berlusconi, l’inattesa vittoria di Giuliano Pisapia segna l’inizio di un’epoca per la città, e spalanca la strada alla fine di un’era politica a livello nazionale. Ironia della sorte, o sapienza della storia, il vero simbolo della “nuova Milano”, del raccontato “Modello Milano” che per circa dieci anni è stata la cifra del centrosinistra di governo, è lo skyline di Porta Nuova. Quello segnato dalla torre di Unicredit, dal Bosco Verticale, sorto sulle aree che furono di Salvatore Ligresti, poi sviluppate da Manfredi Catella. Uno sviluppo promosso e voluto dalla Giunta Moratti, di cui ha beneficiato l’immagine nazionale e internazionale della Milano di Pisapia ed Expo, ed ora epicentro di inchieste e polemiche, arrivate a maturazione dopo anni di sempre invocati ma mai davvero chiariti “ripensamenti”.

Questo “modello Milano”, è bene dirselo in modo da capire cosa sia davvero questo passato in vista di qualsiasi futuro, non è stato solo a beneficio di fondi, immobiliaristi e costruttori. È stato anche benessere – sì, in forma di crescita di valore immobiliare e rendita – di una vecchia e nuova classe media di residenti a Milano, di vecchi e nuovi proprietari di immobili, figli e nipoti di “milanesi” più o meno originari, e giovani e famiglie che a Milano sono immigrate in questi decenni per studio e lavoro. Gente che ha messo su casa e vita, che ha fatto il mutuo o ha investito eredità. Ovviamente parliamo di una minoranza privilegiata nel paese ma che a Milano è ampiamente sovrarappresentata rispetto al resto dell’Italia. Per lo più “nuove generazioni” urbane, simili a quelle delle città europee anche per esperienze, inclinazioni, antropologie. Persone che si sentivano e si sentono naturalmente più rappresentate dalla Milano dei diritti di Pisapia, o dal Sala di Expo che non da Salvini. Piccole masse non particolarmente politicizzate, alle quali le naturali e legittime richieste di purezza politica che vengono spontanee ai militanti suonano abbastanza astruse. Infine, persone che – cosa vera anche per il vecchio elettorato di centrosinistra, in gran parte – hanno avuto molto da guadagnare dall’aumento dei prezzi delle case, se è vero che parliamo di una città nella quale più del 75% dei residenti, cioè degli elettori, è proprietario di casa. Funzionale e assonante con questo interesse è, ovviamente, vivere in una città dinamica, come si dice, capace di attrarre business e turisti, aperta ai diritti e tollerante. Tutto questo piace – e rende, ovviamente di più, in proporzione – alla grande finanza immobiliare, ai fondi. Tutto questo, altrettanto ovviamente, accentua e accellera l’esclusività di una città, e cioè la rende più escludente nei confronti di chi non ha rendita da portare, o deve vivere del suo lavoro e dei salari italiani, tra i peggiori d’Europa e fermi da anni. Fenomeni veri a prescindere, e che hanno mostrato costi sociali più elevati dopo la pandemia, con le scariche di inflazione che hanno portato a erodere salari per mangiare, e fatto aumentare le rate dei mutui quando la BCE ha alzato i tassi di interesse drasticamente e molto velocemente.

Quando si parla di un futuro diverso – ed è doveroso farlo, al di là delle inchieste giudiziarie, perchè una città di soli ricchi e rentier è banalmente una città che non funziona, a tacere del fatto che è un luogo ingiusto – è bene tenere presente che da questo arriviamo e, in fondo, questo siamo. Il fatto che giustamente, doverosamente, ci si renda conto che questo modello non andava idolatrato – cosa che si è fatta per anni – bensì questionato e corretto per tempo, non significa che non godesse di sufficiente consenso e che non piacesse. Anzitutto agli elettori e agli eletti di questa città. Cambiare paradigma è più difficile che proclamarlo e in democrazia, dopotutto, i voti sono ancora indispensabili. Molti di quelli che hanno pagato e pagano il conto del modello Milano in questa città non votano o non votano più. Non solo perchè si astengono, soprattutto perchè non ci abitano più, o non se la sono mai potuta permettere. È una questione, un’altra, che andrebbe messa a fuoco subito. Il cambio di paradigma, se inizia, inizia da qui.

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