
Milano
Radical Flows: ambizioni urbane in cerca di direzione
L’accoglienza acritica di molteplici proposte esterne può essere interpretata sia come segno di vivacità e apertura culturale, sia come indicatore di una regia pubblica assente e priva di visione urbanistica.
Tra il 22 e il 27 maggio 2025, in concomitanza con la presentazione ufficiale presso l’Ordine degli Architetti di Milano, l’iniziativa Radical Flows ha ricevuto un’ampia copertura mediatica. Diversi organi di stampa e canali universitari hanno evidenziato obiettivi e approccio del progetto, che si propone di attivare sette “hub” di sperimentazione urbana nelle aree universitarie della città.
Tuttavia, al di là della retorica, è lecito interrogarsi sulla natura effettiva di questa proposta e su ciò che essa realmente rappresenta nel contesto milanese. Radical Flows si presenta come un’operazione di rigenerazione urbana culturale e territoriale, ma rischia di tradursi in un’ennesima piattaforma di rappresentazione più che di trasformazione.
Una narrazione disciplinare che guarda all’indietro
Dal punto di vista tecnico-disciplinare, Radical Flows ripropone in forme aggiornate una concezione classica e autoreferenziale della figura dell’architetto come principale agente della trasformazione urbana. Una visione che tende a relegare le dimensioni sociali, ecologiche e politiche a un ruolo secondario, quando invece dovrebbero essere centrali.
In una città come Milano, dove la qualità dello spazio pubblico è stata sistematicamente marginalizzata in favore della densificazione edilizia, dove i cortili interni diventano spesso superfici edificabili e le autorizzazioni scorrono con meccanismi poco trasparenti, risulta difficile comprendere quale sia la reale innovatività di un progetto che non sembra affrontare in modo strutturale la relazione tra costruito e vivibilità urbana.
Partecipazione o autorappresentazione?
Sul piano professionale, l’iniziativa rischia di configurarsi più come uno spazio di promozione autoreferenziale che come un autentico laboratorio di sperimentazione urbana. I linguaggi e i riferimenti adottati – quasi esclusivamente accademici – sembrano pensati più per consolidare reti di riconoscimento interno alla professione che per aprire un confronto aperto con le istanze reali della città. Il risultato è un panorama consolidato, con protagonisti noti, chiamati ancora una volta a raccontare la città senza doverla abitare veramente, né politicamente né socialmente.
Nomi, curriculum e retorica progettuale
È inevitabile notare come i soggetti coinvolti nel progetto siano spesso gli stessi che hanno preso parte a stagioni urbanistiche milanesi controverse, dalla formulazione del PGT sotto la giunta Moratti (Masseroli), fino alle operazioni più recenti sugli scali ferroviari e al progetto del Villaggio Olimpico. In queste esperienze, la retorica dell’innovazione ha spesso fatto da copertura a operazioni di segno opposto, segnate da una riduzione del ruolo pubblico nella costruzione della città e da processi scarsamente inclusivi.
Un’amministrazione in attesa di idee altrui
Dal punto di vista politico-istituzionale, Radical Flows riflette una condizione critica della governance urbana milanese: l’assenza di una progettualità autonoma, coerente e dotata di visione di lungo periodo. La proliferazione di proposte esterne, accolte spesso con entusiasmo e senza un filtro critico adeguato, non è necessariamente indice di apertura culturale, ma può anche rappresentare il sintomo di una regia pubblica debole, priva di una strategia urbanistica solida e capace di orientare realmente i processi di trasformazione.
In questo senso, la nascita di iniziative come questa documenta con chiarezza l’attuale fase di passività progettuale dell’amministrazione, la quale, più che promuovere, tende a recepire, e più che guidare, finisce per inseguire.
È significativo che l’accoglienza istituzionale di Radical Flows sia stata, questa volta, piuttosto tiepida. Forse è il segno di una nuova cautela, forse il riflesso del clima generato dalle recenti indagini della magistratura.
In ogni caso, si tratta di una prudenza auspicabile.
Conclusione: la città ha bisogno di altro
Radical Flows non è né radicale né privo di contenuto, ma appare privo della radicalità di cui oggi ci sarebbe più bisogno: quella della responsabilità pubblica, della capacità di visione e della volontà di costruire uno spazio urbano più equo, verde e democratico.
In assenza di queste condizioni, anche le migliori intenzioni rischiano di ridursi a un esercizio retorico, più orientato alla visibilità che alla trasformazione.
È importante sottolineare che le considerazioni espresse in questo testo non intendono colpire i promotori dell’iniziativa, né le istituzioni accademiche coinvolte, ma si rivolgono in particolare a quella parte del ceto politico milanese che, in prossimità delle scadenze elettorali, si mostra spesso incline a lasciarsi attrarre da scorciatoie progettuali, che promettono innovazione ma ripropongono modelli ormai logori.
Oggi Milano ha bisogno di altro: di una regia pubblica consapevole, trasparente, e capace di orientare le trasformazioni verso l’interesse collettivo. Delegare nuovamente la forma della città a dispositivi comunicativi e progettuali estemporanei, che operano fuori da qualsiasi processo decisionale democraticamente strutturato, rischia di essere non solo un errore tecnico, ma una responsabilità politica grave.
Forse più che di “Radical Flows”, sarebbe il caso di iniziare a parlare di “Critical Directions”.
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