Milano
Ripartire da decentramento e municipi per ripensare l’urbanistica a Milano
Le recenti inchieste sull’urbanistica a Milano suggeriscono il bisogno di approcci nuovi. Un nuovo ruolo dei municipi e del principio di decentramento potrebbero contribuire in modo positivo al necessario rinnovamento.
Uno dei risvolti che emerge dalle recenti vicende legate all’urbanistica milanese riguarda la scarsa considerazione che c’è stata per i pareri dei municipi. I commenti e le inchieste giornalistiche come quella pubblicata su Panorama qualche giorno fa sui pareri dei municipi manipolati o ignorati e sul mancato ascolto di rappresentanti eletti dal territorio avvenuto in diverse occasioni , invocano la lesa partecipazione democratica. Difficile non essere d’accordo e lo dico a malincuore.
Ho avuto l’onore e l’onere di ricoprire il ruolo di Assessora all’Urbanistica nel Municipio 3 di Milano dal 2016 al 2021 e di questo tema sono stata testimone diretto. Le note torri di Crescenzago si trovano in quel municipio e ben prima che fossero al centro delle indagini della magistratura sono state oggetto di una delibera municipale nel 2018, votata all’unanimità dai consiglieri di tutti gli schieramenti politici (DELIBERAZIONE N. 8 del Consiglio di Municipio 3 del 25 Giugno 2020). Si è trattato di una delibera volontaria di iniziativa consigliare e non di un parere dovuto o previsto dalle regole per la raccolta dei pareri municipali – comunque non vincolanti -sulle trasformazioni urbanistiche, poiché, formalmente, non c’era da esprimersi su cessioni di spazi pubblici o opere realizzate a scomputo oneri di interesse pubblico(tipicamente parcheggi o spazi pubblici). Come se l’impatto sulla città dello stesso intervento non fosse di interesse pubblico (di queste tecnicalità abbiamo scritto qui). La delibera non criticava le torri in sé, confidando nella validità della verifica di conformità degli uffici tecnici comunali sui volumi da realizzare, discutibili ma presunti a norma.Chiedeva con forza però degli studi di impatto sull’area, una valutazione dei servizi necessari ai nuovi abitanti insediati e delle compensazioni – ciò che in altri termini sarebbero i documenti necessari ad un Piano Attuativo – oltre alla possibilità di orientare gli oneri di urbanizzazione ai bisogni del territorio. Il parere negativo dato dal Municipio 3 a quell’intervento, che ha di fatto trasformato con una procedura semplificata un edificio di pochi piani in due torri residenziali, non era una bocciatura sulla base di posizioni pregiudiziali ma l’esercizio di una valutazione tecnicamente informata. A quella delibera non è seguita alcuna risposta significativa, né alcuna modifica del progetto. Purtroppo, la mancanza di reazioni ai pareri votati con delibera dai municipi richiesti o volontari non è stata un caso isolato. Al contrario, la sensazione di rimanere inascoltati è spesso stata presente nelle interazioni municipio-comune. È il gioco della politica, baby, si potrebbe dire. Tant’è.
I municipi milanesi, nonostante le promesse di maggiore autonomia e potere, hannoavuto sempre un ruolo marginale nel governo della città fin dalla riforma istitutiva dei municipi non del tutto compiuta promossa dalla giunta del sindaco Pisapia nel 2016. E questo è stato ed è tuttora un errore di miopia piuttosto evidente. Perché il municipio è una istituzione “vicina ai cittadini”. Detto in maniera meno aulica, è in prima fila nella raccolta di malumori e mal di pancia dei cittadini. Ma questa prossimità al territorio fa sì che le segnalazioni e le lamentele che il municipio raccoglie siano fondate profondamente nella vita dei cittadini. Non si tratta solo di battaglie politiche strumentali come tanto spesso succede ad altri livelli. Riguardano la vita quotidiana, gli spazi in cui si abita. Non si può negare che talvolta siano figlie di odiose sindromi NIMBY, difensive e conservatrici dello status quo. Ma non è sempre così. Spesso derivano da una conoscenza minuta e puntuale, fatta dalle persone che abitano la città e che hanno voglia, tempo e generosità per parlare e fare sentire la voce. E soprattutto, che si rivolgono e dialogano con una istituzione. In città che si stanno sempre più svuotando di abitanti e si riempiono di persone che con la città hanno un legame molto labile, questo è un bene prezioso. Soprattutto quando i municipi, nell’esercizio della rappresentanza democratica, riportano segnalazioni e lamentele ai livelli amministrativi superiori, magari dopo averli già ricomposti e ricondotti a domande precise e trattabili. In un esercizio quasi sempre faticoso e “time-consuming”. Perché ascoltare le parti, sia da parte dei municipi nei confronti dei cittadini, sia da parte del comune dei municipi, necessita di tempo. E le città che non si fermano mai, solitamente di tempo ne hannopoco.
Anche riconoscendone il valore, però, il tempo non basta e neppure la volontà politica di operare un ascolto vero. In questi mesi di commenti sulle vicende dell’urbanistica milanese, si sono levate da più parti richieste di procedure autorizzative e processi decisionali meno opachi. Questi sono necessari anche per raccogliere efficacemente i pareri dei municipi, per dare spazio a chi monitora il territorio con l’attenzione a volte eccessiva di chi ci vive. Ma anche in questo ambito serve fare chiarezza su diversi aspetti. Occorre chiarire l’oggetto del parere o il suo ambito di applicazione (Su cosa si deve e può esprimere il municipio? Il regolamento dei municipi diceva sull’ “interesse pubblico”, ma definire cosa si intende non è così semplice. Sulle volumetrie? Dovrebbe essere il PGT a definirle. Sulla qualità estetica? Anche qui esistono delle dimensioni tecniche al riguardo che andrebbero rispettate);
Serve riflettere su quali sono le competenze necessarie (a seconda di come definiamo l’oggetto, il tema delle competenze tecniche o di altra natura diventa dirimente), come pure sulle procedure di raccolta dei pareri (in che modo ridefinire il percorso autorizzativo per accogliere adeguatamente il parere dei municipi e come fare in modo che il rappresentante dei municipi previsto nelle Commissioni paesaggio – organo in teoria tecnico il cui stesso destino è da ripensare – sia preso nella giusta considerazione tecnica e rappresentativa?). Serve, infine, definire il loro ruolo nel processo autorizzativo (i pareri dei municipi allo stato attuale non sono vincolanti e allora, se manca volontà di ascolto da una parte o la capacità di argomentare i pareri dall’altra, il rischio è che restino lettera morta, come spesso è successo). Il punto è che i pareri dei municipi si sono sempre collocati in uno spazio intermedio e sfocato tra espressione di una rappresentanza politica (e di interessi locali) e alcune valutazioni tecniche di merito, su cui è opportuno e utile fare chiarezza insieme a tutto il resto, trovando le modalità più efficaci e rispettose. Perché rinunciarvi sarebbe un’ulteriore semplificazione delle procedure di cui non abbiamo bisogno.
La bufera che si è scatenata sulle vicende urbanistiche milanesi, e su cui la giustizia – e auspichiamo anche la politica – faranno il loro corso, ribadisce con forza la necessità diuna riforma profonda delle procedure urbanistiche. E questo deve riguardare anche le forme di partecipazione delle istituzioni municipali alle modalità di approvazione degli interventi di trasformazione urbana. Soprattutto perché, in un momento storico in cui si vedono prevalere comportamenti antidemocratici, in cui l’efficienza, il profitto e la visione unilaterale diventano la norma, riportare l’attenzione sui meccanismi di bilanciamento dei poteri dentro le istituzioni, come parte della dinamica autorizzativa ein nome dell’interesse pubblico, appare una direzione di lavoro urgente e necessaria.
Devi fare login per commentare
Accedi