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Partiti e politici

Ma a far fuori Marino fu il Pd di Renzi, non i giudici

di Jacopo Tondelli
7 Ottobre 2016

Il tempo passa veloce, quando ci si diverte, e finisce con aiutare la malafede di qualcuno e la malamemoria di molti. Ultima di una sequela di assoluzioni importanti, oggi, arriva la doppia assoluzione di Ignazio Marino, ex sindaco di Roma giubilato anzi tempo, rispetto alla legislatura. Ironia della sorte, il fattaccio diventava irreparabile un anno fa esatto, e dopo un pressing politico durato per mesi ed iniziato almeno nella primavera precedente Ignazio Marino era costretto a lasciare il Campidoglio. Il 12 ottobre presentò delle dimissioni poi ritirate, ma il dado era già tratto primo di quella fine del mese in cui, effettivamente, davvero lasciò il Campidoglio. Oggi, nel giorno della sua assoluzione, si dà enorme importanza ai procedimenti penali per spiegare l’esito traumatico di quell’esperienza politica e amministrativa. Da molte parti si dice, in sostanza, che se non ci fossero state le inchieste e quelle accuse, Marino non sarebbe stato spinto a dimettersi. Data la sua piena assoluzione, si aggiunge, a “dimettersi ingiustamente”, aprendo le porte al commissario, prima, e all’amministrazione targata Raggi & Grillo, poi. Il ragionamento si colloca all’interno di un tempo lungo che descrive il rapporto malato che lega, in Italia, giustizia (meglio: campo dell’accusa), magistratura inquirente, politica e consenso. Lo stesso ragionamento si lega poi ai fatti di un tempo “breve”, quello di questi giorni, in cui uno dopo l’altro molti accusati eccellenti – Roberto Cota, ex presidente della regione Piemonte; molti imputati eccellenti per Mafia Capitale, tra cui l’ex sindaco Gianni Alemanno; poche settimane fa Filippo Penati, ex presidente della Provincia di Milano e uomo forte del fu Pd di Bersani – si trovano scagionati dalle accuse che contribuirono a sgretolarne il potere, o furono addirittura decisive nel decretare la fine di una carriera politica.

Nei casi elencati, e in molti altri, il cortocircuito tra indagini, pubblicazioni massive di atti giudiziari sui giornali e destini politici dei protagonisti è assolutamente evidente, e pone, una volta di più, l’annoso e mai risolto tema di un rapporto equilibrato tra politica e magistratura, tra giustizia penale, informazioni, diritti degli accusati, dell’opinone opinione pubblica e, in definitiva, dei fondamenti della democrazia. In molti casi ma, in vero, non in quello di Ignazio Marino. Le vicende giudiziarie lì esplodono quando il piano è già inclinato, e per volontà politica. Quando i fatti precipitano, infatti, e siamo appunto a un anno fa, Ignazio Marino non era ancora indagato per la vicenda degli scontrini, ma solo per quella della Onlus Image, dalla quale pure è stato assolto oggi perché il fatto non costituisce reato, e quindi sempre con formula piena. La sua iscrizione a registro degli indagati per la vicenda Image viene resa nota da Libero a fine estate, il 5 settembre 2015, ma il pressing politico su Marino è già iniziato da un pezzo. Per la precisione, almeno da Giugno, quando un Matteo Renzi reduce dalla prima battuta d’arresto seria da quando è premier (le elezioni amministrative regionali, con la batosta veneta ma soprattutto con la sconfitta ligure) dice a Porta a Porta che Marino non deve stare troppo sereno. È, quella di Renzi, solo una ripresa di un discorso che era già iniziato un anno prima, e che poi l’esplodere del processo di Mafia Capitale aveva portato a congelare perché far fuori uno dei pochi politici che con la maxi-inchiesta non aveva legami sembrava effettivamente troppo per tutti. Quando negli ultimi giorni di Ottobre Matteo Orfini, commissario del Pd Romano, convince a dimettersi 26 consiglieri comunali, insomma, non è peraltro ancora nota l’iscrizione al registro degli indagati di Marino per la vicenda degli scontrini, anche se la vicenda è già esplosa e a cavalcarla sono gli stessi giornali e gli stessi politici che, nei mesi precedenti, cavalcano le inchieste di Mafia Capitale senza mai dire, ad esempio, che tra gli indagati (oggi assolti) c’è anche il presidente della Regione Lazio Zingaretti. Le notizia che arrivano dalla procura servono dunque semmai solo a suggellare una decisione, tutta politica, già presa e faticosamente fatta digerire prima.

In questo caso, dunque, il Partito Democratico non è stato succube degli atti di accusa delle procure poco attento ai sacri principi del garantismo. No, in questo caso il Pd ha utilizzato le indagini per avvalorare un processo politico che aveva già ampiamente avviato. Non difese Marino da nessuna accusa o sospetto  giudiziaria perché, da mesi, era troppo impegnato ad accusarlo. Così andarono le cose, e l’assoluzione di Marino non assolve davvero nessun altro.

Gianni Alemanno Ignazio Marino Matteo Renzi
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