Setti: “Usiamo le sanzioni a Putin per una vera transizione energetica”

18 Marzo 2022

Le sanzioni alla Russia, in prospettiva, potrebbero mettere l’Italia con le spalle al muro sul fronte dell’approvvigionamento di gas e questo, secondo qualcuno, implicherebbe un rallentamento della transizione energetica. Ma non dovrebbe essere invece la nostra grande occasione?
Per scoprirlo abbiamo intervistato Leonardo Setti, chimico industriale dell’Università di Bologna e la cui ricerca si concentra sul recupero di energia elettrica da fonti rinnovabili. Così abbiamo scoperto un sacco di cose. Per esempio che anche volendolo pagare infinitamente, di gas non ce n’è abbastanza, e che l’uranio finirà fra 40 o 80 anni, quindi anche al netto delle scorie sarebbe inutile mettersi a fare ora delle centrali. Mentre con un piano di 3,5 miliardi le aziende potrebbero sfruttare i 9000 chilometri quadrati di tetti industriali disponibili in Italia e dimenticare una volta per tutte la voce “bollette” nel bilancio.


Come siamo arrivati fin qui, travolti dalle sanzioni che noi stessi stiamo mettendo alla Russia?
Quello che sta succedendo oggi ci fa capire come noi abbiamo sbagliato completamente le politiche industriali degli ultimi vent’anni. È il risultato di quel fallimento lì. In particolare, è il risultato di quell’azione che è stata fatta nel 2011 con l’ormai famoso Decreto Romani che bloccò le rinnovabili. Tagliò il Conto Energia e quindi a fronte di 9000 Megawatt di fotovoltaico che abbiamo installato nel 2011 e 7000 Megawatt che abbiamo installato nel 2010, nel 2012 abbiamo ne abbiamo installati solo 100 Megawatt. C’è stato quindi un crollo enorme e la crescita delle rinnovabili è stata bloccata. Il fotovoltaico nel 2011 arrivava a una potenza di 20 GW e ora è a 21. Dopo undici anni!

Perché è stata fatta questa scelta?
L’installazione del fotovoltaico a quella velocità stava facendo chiudere il termoelettrico italiano. Nel 2009 il termoelettrico lavorava 8000 ore l’anno, a fine 2011 lavorava 5000 ore e questo è stato il grande problema a livello italiano: perché la rinnovabile metteva in crisi tutto il termoelettrico e per salvarlo, sotto le pressioni delle note lobby, è stato bloccato il Conto Energia. A quel punto abbiamo fermato tutto. Ma come è stato bloccato il Conto Energia? Attraverso uno slogan che allora è stato usato in maniera impropria dalla politica e, per farla semplice, diceva: “Le rinnovabili pesano sulle bollette degli italiani per 30 euro l’anno e gli italiani non possono pagare dalle loro tasche gli incentivi al fotovoltaico e alle rinnovabili perché si impoveriscono”. Ora 11 anni dopo con il problema energetico attuale ci rendiamo conto che gli italiani spendo 300 euro in più nella bolletta elettrica, 900 euro in più nella bolletta del gas, 900 euro in più se hanno l’auto a metano perché il metano è triplicato… Insomma per risparmiare 30 euro ne spendiamo 2000 in più.
Se anche avessimo continuato a spenderne 30 ogni anno non avremmo fatto i 2000 di oggi. Quindi quello che accade ora è il risultato di quel fallimento.

Come sarebbe andata se non avessimo fatto quella scelta allora?
Se noi avessimo continuato col Conto Energia di allora – magari anche andando in calo perché nel frattempo il fotovoltaico si stava riducendo di prezzo quindi potevamo mettere un incentivo anche molto più piccolo – installando qualcosa come 9000 Megawatt di fotovoltaico all’anno come abbiamo fatto nel 2011 (e quindi erano numeri che sapevamo raggiungere: lo facevamo allora e avremmo potuto farlo negli ultimi dieci anni), oggi noi avremmo 90 GW di fotovoltaico. Con 90 GW di fotovoltaico ci saremmo risparmiati qualcosa come 30 miliardi di metri cubi di gas e oggi avremmo potuto dire alla Russia che dei suoi 28 miliardi non avevamo bisogno. Avremmo potuto in 10 anni staccarci dai rubinetti del gas russo e quello che stiamo vivendo oggi non lo avremmo vissuto. Se fossimo stati lungimiranti allora, adesso quello della Russia in termini energetici non sarebbe un problema nostro. Questa credo sia la parte importante di tutta la storia. Le sanzioni alla Russia non è che ci fanno male oggi, ci fanno male per gli errori che abbiamo fatto negli ultimi dieci anni. Questa è la questione.
E oggi è chiaro che le sanzioni ci fanno male perché se noi sanzioniamo la Russia e lei stringe i rubinetti noi abbiamo l’inflazione che va alle stelle, il gas comincia ad aumentare sempre di più, l’energia elettrica aumenta sempre di più. Poco fa ero a una riunione con un consorzio di imprese e si diceva: “l’unico modo oggi per mettere in sicurezza le imprese è mettere il fotovoltaico sui tetti, non c’è altra soluzione”. Ci accorgiamo ora che questo avremmo dovuto farlo undici anni fa, bisognava mettere in sicurezza le imprese 11 anni fa.

Ma ormai siamo qui… Cosa facciamo a questo punto?
I casi sono due. O lo stato dice, come sta dicendo, Andiamo a cercare il gas altrove, in altri paesi…

Colombia e Stati Uniti?
Non solo, perché quello deve arrivare con le navi. Piuttosto il Qatar, l’Algeria, la Libia. Noi possiamo andare lì chiedendo di mettere più gas nei tubi ma loro risponderanno: “Guardate che il nostro gas lo abbiamo già destinato ad altri, possiamo darvene al massimo 1 o 2 miliardi in più, ma voi avete bisogno di 28 miliardi”. E quei due miliardi non arriveranno certo al prezzo più conveniente.
Quello di cui anche Cingolani ora si sta accorgendo è che non c’è n’è di gas, sta finendo, è in esaurimento.

È una buona notizia.
Assolutamente!  Dicevo, la seconda possibilità è che aumentiamo la produzione interna, apriamo tutti i pozzi possibili immaginabili in Italia per produrre gas. Ma attenzione perché lì al massimo possiamo arrivare a 4 miliardi in più di produzione l’anno ma noi abbiamo sempre bisogno di 28 miliardi. In più abbiamo anche il problemino che i pozzi che oggi stanno producendo hanno già raggiunto il loro picco e quindi ogni anno perdono mezzo milione di metri cubi, stanno andando in esaurimento. Quindi se anche aprissimo nuovi pozzi resteremmo sempre tra i 4 e i 5miliardi di produzione interna, non la aumenteremmo. Quindi anche questa seconda non è una vera possibilità.
La terza possibilità è questa: noi rimettiamo un Conto Energia, e basterebbero 3,5 miliardi l’anno di euro per finanziarlo, e facciamo in modo che tutte le imprese mettano sui tetti impianti fotovoltaici il più velocemente possibile. Bisogna mettere insieme le associazioni di categoria, gli artigiani, tutti: tutti ci dobbiamo concentrare su questo. Perché il vero problema ora è che dobbiamo salvare le imprese. Se le imprese pagheranno l’energia come la stanno pagando adesso, da qui a settembre si mangeranno tutti gli utili e quando arriveremo a settembre le imprese non avranno più la possibilità di investire neanche 1 euro perché avranno già speso tutto.
Noi ora dovremmo fare un grande piano Marshall in cui definiamo 3,5 miliardi per incentivare il fotovoltaico e ne mettiamo il più possibile. Sappiamo già che di tetti industriali ce ne sono tantissimi, più di 9000 chilometri quadrati di tetti industriali, potremmo tranquillamente produrre 90 GW di fotovoltaico nei prossimi sette anni. Questo dovrebbe essere il nostro obiettivo, noi dobbiamo arrivare lì. Se arriviamo lì ci salviamo, se invece continuiamo a tentennare torniamo agli scenari di prima che non ci portano da nessuna parte. Io credo che ora dobbiamo focalizzarci tutti sul pensare che l’unico modo per uscire sono il fotovoltaico e l’eolico.

E perché invece questa situazione è vista come un rallentamento alla transizione energetica?
Perché noi negli ultimi cento anni siamo stati abituati ai sistemi centralizzati. Cioè siamo stati abituati a qualcuno che produce l’energia e noi che la compriamo. Un sistema centralizzato può fare due cose. O installa tubi e perfora pozzi, e quello è un sistema centralizzato, o mette su grandi centrali, alimentate da quei tubi che ha realizzato o da quell’uranio verso cui qualcuno vorrebbe andare.

Che essendo l’Italia un paese sismico è quanto meno discutibile.
Ma non solo! Il fatto è che la gente non si fa mai i conti in tasca, mentre dovrebbe chiedersi: ma di uranio nel mondo quanto ce n’è? Se andassimo tutti di centrali nucleari, di uranio ce ne sarebbe abbastanza? Visto che ce lo si chiede sul litio per le batterie – e di litio ce n’è tantissimo, è il venticinquesimo elemento che abbiamo in natura – ci stiamo ponendo anche il problema di quanto uranio c’è? L’uranio è otto volte più raro del litio. Per alimentare una centrale nucleare con 40 tonnellate di uranio arricchito, dobbiamo smantellare 8 milioni di tonnellate di roccia. Si immagini che abbiamo 440 centrali nucleari nel mondo, moltiplichi per 8 milioni di tonnellate: ecco quelle sono le montagne che noi smantelliamo ogni anno per alimentare le centrali nucleari.

E dove si trovano queste miniere di uranio?
Le miniere più importanti le abbiamo in Australia. Poi ne abbiamo in Canada. Ma il 40% dell’uranio, udite udite, lo prendiamo dal Kazakistan. Oggi quando sentiamo le tensioni tra Russia e Kazakistan che ha uranio, e gas, ci dovremmo chiedere come mai c’è un signore che si chiama Macron si muove subito. Perché una parte dell’uranio che usa per le sue centrali nucleari arriva dal Kazakistan e il Kazakistan non è in Europa, è tra la Russia, la Mongolia e la Cina quindi rendiamoci conto che, come si dice, se non è zuppa è pan bagnato. Non ne veniamo fuori. E di uranio ne abbiamo ancora per 80 anni e poi è finito. E se aumentiamo le centrali nucleari ne abbiamo ancora per 40 anni e poi è finito.
Le scorie sono solo una parte del problema: una parte importante ma c’è altro. Perché se poi non abbiamo abbastanza uranio come faremo? Il gas? Ma sarà finito anche quello.

Insomma, non possiamo fare altro che cogliere l’occasione…
Questa è una grandissima occasione! Se le imprese comprendono, come quelle con cui parlavo oggi, che la soluzione per tutto parte da lì: cioè fotovoltaico, eolico e sistemi di accumulo, noi abbiamo già fatto bingo.

Cosa si può fare per convincerle?
Bisogna farle capire che per loro è molto meglio investire in fotovoltaico che pagare delle bollette.
Oggi una bolletta è un costo variabile, a bilancio ce l’ha come una commodity, ma se aumenta incide sul bilancio stesso, toglie valore al bilancio. Quando hai fatto l’impianto fotovoltaico tutta quella energia non la consumi più e hai trasferito un costo variabile a patrimonio. E quindi a bilancio lo metti a patrimonio, non è più un costo variabile, quindi ti valorizza il bilancio, non te lo svalorizza, ti rimane come capitale.
In questo momento le imprese capiscono che forse è strategico andare verso il fotovoltaico e loro di superfici disponibili ne hanno tantissime.
Quindi quello che dico è che basta veramente poco e le imprese hanno già capito che ci sono stati degli errori. Ora capiscono anche loro che questo andava fatto undici anni fa, ora bisogna correre. Corriamo!

TAG: #russia, conto energia, energia nucleare, fotovoltaico, Kazakistan, Leonardo Setti
CAT: clima, energia

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