Violenza sulle donne: ci sono troppi alibi

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30 Settembre 2017

Qual è l’immagine, l’idea che gli uomini in Italia hanno delle donne?
E le donne che immagine hanno delle donne?
E’ per queste due domande che passa il rapporto tra i due sessi, violenza di genere, purtroppo, compresa.
Ogni giorno arriva qualche notizia che riguarda la sofferenza delle donne, dalla brutalità con cui vengono trattate (quanti omicidi ci saranno ancora?) alle discriminazioni sul lavoro, ai salari più bassi, alle umiliazioni quotidiane che tengono conto più di come appaiono rispetto a come sono e a quanto valgono.

Come direbbe qualcuno che parla bene, è il paradigma culturale a essere sbagliato. Un paradigma basato sui soliti stereotipi, per cui quando accade qualcosa di tremendo come uno stupro, c’è sempre una corrente pronta a pensare che la donna se la sia cercata: lo sguardo era provocante, la gonna troppo corta, l’età nascosta bene.

Quello che manca è il rispetto delle donne, della loro anima e della loro forza.

Come può essere possibile che ci siano ragazzine giovanissime che si prostituiscono (a Napoli e ai Parioli) e non ci trovino niente di sbagliato (almeno sembrerebbe)?
O madri che spingono le loro figlie a essere lascive nei confronti dei maschi (potenti o mezzecalzette che siano)? Perché tanto è così che funziona. Perchè l’uomo è cacciatore o cazzate del genere.
Il bisogno non sempre c’entra. La cultura invece sì.

Tutti i quotidiani on line (anche i più importanti) nella colonna di destra propongono (non mi viene un altro verbo) immagini di donne, più o meno famose, sempre in pose e abiti seducenti; enfatizzando lo spacco di quella o il decoltè dell’altra, piuttosto che la forma da urlo o il primo bikini della stagione, la pancia piatta dopo la gravidanza o le attività in palestra.
Quando le donne normali, non le “casalinghe di Voghera”, hanno una vita appena appena differente.

Ma, quel che è peggio, è voler far passare per notizia ciò che notizia non è. Si esalta quel modello di donna (con l’ombelico all’aria) come modello di successo: la pilotessa, la soldatessa, le top anni 90, la commessa, la hostess etc..(come i film anni 70 con Edvige Fenech) perché hanno ottenuto milioni di visualizzazioni. Visualizzazioni che il quotidiano tenta di cannibalizzare, per avere a sua volta, qualche click in più.

La cosa grave è che il maschio (soprattutto italico), continua ad abboccare a questo genere di trappole. Forse perché viviamo in un paese di tradizione cattolica, in cui a tutti è garantito il perdono se dovesse cadere in tentazione e cliccare sulla pic. L’assoluzione va a braccetto con l’alibi della libertà di espressione, del fatto che sono foto artistiche, che basta girare in rete per trovarle etc..

Non è questione di essere bacchettoni, il non detto, l’implicito, il richiamo sessuale sono odiosi; al limite c’è più onestà in un film porno che in certe foto o in certe comunicazioni pubblicitarie spacciate per innovative.
L’immagine femminile è sempre stereotipata e anche per prodotti, a grado di seduzione zero, come i detersivi troviamo delle lady like all’Alessandra Moretti che non sono certo rappresentative dell’universo delle donne italiane.

In definitiva sappiamo quali (e dove) sono i tatuaggi di Belén ma non sappiamo se nostro figlio è vaccinato (parlo dei maschi ovviamente).
A saperlo, invece, sono le mamme, le mogli, ovvero coloro che mandano avanti la baracche. Ma quasi mai trovano voce. Peccato, perché come direbbe Jake Blues dei Blues Brothers “loro sono la spina dorsale di una grandissima rhythm ‘n blues band“.
Sono quelle che muovono l’Italia, senza troppe menate e senza cercare troppi click. Sono, però, le stesse donne che trovano la violenza in casa, che vengono uccise dai loro compagni, i quali pensano di possederle, di essere i loro padroni. Sono gli stessi che dopo che hanno commesso questi crimini odiosi cercano sempre un alibi: “era consenziente” oppure “l’amavo, non sopportavo l’idea di vivere senza di lei”. Non è vero.

Tutte le donne devono essere rispettate dai loro compagni, dai loro figli, dai loro colleghi, dalle altre donne e dai media. Andrebbe insegnato nelle scuole e in famiglia il rispetto nei confronti dell’altro, dal genere al colore della pelle, dalla lingua alla religione.

E’, però, difficile perché viviamo in un momento storico in cui la ferocia, l’aggressività, la determinazione, la spregiudicatezza, la competizione, la prevaricazione sono diventati valori nella società (se non ci credete provate a leggere qualche inserzione per ricerche di personale su Linkedin). Non si parla mai di rispetto se non in Gomorra.
Questi valori, uniti alla strumentale paura dello straniero, creano un cocktail esplosivo che si può arrestare solo con l’educazione e la cultura.
Ma bisogna farlo in fretta. E non si vede questo grande sforzo da parte delle istituzioni.

Le donne si sentono meno di quello che dovrebbero, non perché hanno poco da dire o perché parlano a bassa voce, anzi. Ma perché hanno pochi spazi per dirlo, per farsi sentire. Sono le donne con titoli di studio più alti, più istruite quelle che hanno accesso ai media.
Ben vengano le iniziative ma è necessario fare di più. Coinvolgendo innanzitutto gli uomini, e fermando quelli che vengono denunciati.

“Bisogna ridare dignità e rispetto alle donne” è un concetto inaccettabile nel 2017, perché il verbo ridare presuppone che siano stati tolti. E invece, nel passato, sono sempre stati rari.
Non bisogna ridare, quello che si deve fare, prima di tutto, è non togliere.

Noi maschi possiamo dire ti amo a una donna per volta, ma possiamo, sempre, rispettarle tutte.

TAG:
CAT: costumi sociali

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