Ma il maschio vestito così è un orgoglioso incitamento all’omosessualità?

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23 Giugno 2015

È qualche mattina che nella parte centrale dei grandi quotidiani s’aggirano strani ragazzi colorati, piuttosto simpatici, tutti intorno ai vent’anni o anche meno, che in qualche modo intenderebbero indicare una strada, un percorso, un possibile sbocco al mare. Sfilano sorridenti a rappresentare il maschio che sarà, l’idea di un uomo finalmente allegro, smutandato e fiorito e spesso particolarmente femminile, che abbandona il gessato blu e relativa depressione per abbracciare un’idea positiva di mondo, di relazione, di socialità condivisa. La settimana della moda maschile porta con sè tutto questo e anche altro, ma anche un’inquietudine di fondo non risolta. Questo maschio vestito in siffatto modo è un orgoglioso incitamento all’omosessualità? È singolare che un interrogativo della stessa portata, ovviamente rovesciato, non affiori tra i nostri dubbi quando a sfilare sono le donne, per colorate e allegre ed eccentriche che siano, che continuiamo semplicemente a considerare donne nell’accezione più larga ed estesiva della parola, senza pensare neppure per un istante se esse siano lesbiche o eterosessuali, ma solo felicemente l’altra metà del cielo. Dunque è “solo” l’uomo il problema, c’è qualcosa di decisamente irrisolto solo in noi maschi, che guardando la moda costruita appositamente per la nostra felicità, ci porta a esclamare: «Ma chi caspita si veste così?»

Per molto tempo e forse anche in questo tempo, si è creduto di risolvere un po’ banalmente la questione con l’omosessualità dichiarata o comunque conosciuta di molti degli stilisti e che la sfilata non fosse che il momento finale di una ovvia sensibilità personale. Questo vorrebbe dire che il potere di rappresentazione di ogni sartino meraviglioso andrebbe ben oltre il vendere i suoi stracci all’umanità, estendosi anche all’imposizione di un pensiero, di uno stile di vita, di un certo modo di interpretarla. Tutto ciò forse può avere anche una sua parte di verità, ma non basterebbe a spiegare l’enorme dislivello di immagine tra la rappresentazione di quel maschio sulle pedane della moda e la depressiva visione del medio maschio italiano in uno qualunque dei tanti uffici che frequentiamo. Prendiamo la city milanese (o quel che ne resta), si troveranno ometti tutti eguali e profumati, ai quali non fa difetto il portamento, magari appreso nelle buone famiglie, ma ai quali manca completamente il “tocco”, che a persone sensibili è persino inutile spiegare. Ci si protegge con una divisa e la si oppone anche a qualsiasi maldicenza possa abbattersi sulla nostra onorabilità, persino quella – per carità – d’essere omosessuali.

Qualche tempo fa la questione venne dibattuta polemicamente per via di un’espressione di Giorgio Armani, un grande stilista ma anche uno tra gli omosessuali più discreti e silenziosi della sua categoria, atteggiamento che gli è costato l’accusa d’essere ipocrita. Il sarto piacentino disse in buona sostanza che l’omosessuale doveva vestirsi da maschio, essendo maschio al cento per cento, senza la necessità estrema e anche un po’ volgare, secondo lui, d’agghindarsi come una femmina. Ecco, se date un occhio alle sfilate di questi giorni, effettivamente noi maschi tendiamo particolarmente al femminile. Questa è una deriva o piuttosto la piena, pienissima, rappresentazione del nostro animo?

Ciò che la teoria di Giorgio Armani non spiega è perché ci debba essere, necessariamente, un abito da maschio (e conseguentemente uno da femmina), quale imperativo morale lo imporrebbe, e forse quale convenzione borghese. Per quale condizione sociale, insomma, dover restringere gli uomini nel campo stretto di un abito primo di tutto mentale e poi semplicemente estetico. E se non sia arrivato il momento che anche l’uomo decida in totale autonomia che maschio vuole essere, continuando a mantenere l’orgoglio di “categoria”, perché no. È questa forse la nostra vera debolezza, pensare che cambiando d’abito, o modificando anche parzialmente il nostro aspetto o anche le nostre abitudini, si venga sol per quello giudicati e additati al pubblico ludibrio, come sarebbe stato un tempo. E nel tempo, anche chi scrive ha mutato atteggiamento, quel momento di indispettito rifiuto, oggi, guardando una sfilata di “eccentrica” moda maschile, si è trasformato nel piacere allegro e sereno dell’evoluzione sociale, sapendo comunque che per molti rimane ancora uno scoglio insormontabile.

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CAT: costumi sociali

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