#metoo, un anno dopo

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10 Ottobre 2018

È già passato un anno da quando con gli articoli di Ronan Farrow sul New Yorker è scoppiato il caso Weinstein che ha dato origine al “movimento” del #metoo. È tempo di doverose riflessioni anche se per i bilanci forse è ancora presto, l’opinione di chi scrive è che tutto sommato la società occidentale ne abbia tratto e ne trarrà beneficio.

In Italia l’abbiamo vissuta con un “filtro europeo”, in una variante non dissimile da quella dei cugini francesi, tutti un po’ preoccupati  di non reprimere le rinomate doti di seduttori dei maschi italici. Ma soprattutto siccome una delle protagoniste (in positivo e in negativo) era italiana siamo rimasti invischiati nei dettagli degli effetti sui vip preoccupandoci un po’ meno delle conseguenze sulla vita delle donne normali.

Penso che la valanga di storie e racconti collegate al #metoo abbia quantomeno raggiunto l’obiettivo di segnalare l’iceberg che galleggia nelle nostre società. Ci siamo accorte, e accorti, che qualche forma di violenza e/o abuso è molto diffuso, troppo tollerato e troppo poco denunciato. Quelle storie e quei racconti non saranno stati tutti veri, pochissimi con rilevanza penale, qualcuno sarà stato frutto di incomprensione, ma se guardiamo all’insieme i grandi numeri ci dicono che c’è un problema. Un problema di esercizio dell’influenza e del potere che spesso si manifesta attraverso la richiesta di prestazioni sessuali, ma non solo. A volte sono solo le battute e i commenti a una posa, a un vestito, che però se sono rivolte a chi non può risponderti a tono sono una piccola violenza. Ci sono un ventaglio di manifestazioni che sono assolutamente legali ma che forse non dovrebbero essere più tollerate.

L’aver portato in prima pagina questo tipo di discussione è l’indubbio merito di quello che è successo in questi passati dodici mesi. Nel vortice abbiamo avuto qualche eccesso e spero che a questi si rimedierà in fretta (penso a Louis Ck e a Kevin Spacey, ma ovviamente ce ne saranno altri) ma credo che questi casi non riescano a cancellare i benefici complessivi. Benefici che non sono offuscati nemmeno dalla scoperta che ci sono donne che abusano del loro potere, ogni tanto la parità esiste davvero.

Ora però dobbiamo imparare a gestire quello che abbiamo scoperto in questi mesi, e valutarlo per quello che deve essere: una spinta al cambiamento. Cambiamento che non misureremo con il numero di condanne o il numero di società quotate in borsa che adottano un “diversity protocol”. Le donne che denunciano, in generale, avrebbero preferito non arrivarci e quello che sperano di ottenere è un ambiente più sereno in cui lavorare e non un mondo dove al venerdì nessuno le invita più a bere una birra con i colleghi.

Non manca infatti chi mette in guardia contro “la caccia alle streghe”, i processi sui social media e la fine dei giochi di seduzione tra colleghi in un mondo che si avvia a diventare sessuofobico. Credo che nel breve periodo possa succedere, ma nel medio spero che sarà evidente che non si sta criminalizzando il sesso usato come si crede tra adulti consenzienti, ma un abuso di potere. Quindi è ovvio che chi ha più potere dovrà preoccuparsi di più degli effetti del suo comportamento, non mi sembra scandaloso. Oneri ed onori si diceva.

In sintesi la legislazione e i tribunali non ci risolveranno il problema, è una questione di norme sociali che vanno cambiate affinché le molestie accadano sempre di meno. Cambiare le norme sociali però richiede tempo e penso che sia importante non perdere di vista l’obiettivo anche quando accadono eventi da iperreazione che ci fanno storcere il naso. Per questo bisogna riflettere su come si accede e si esercita il potere e creare una cultura della responsabilità. Infine è innegabile che le donne crescano meglio professionalmente e lavorino più volentieri dove ci sono donne che contribuiscono a creare un ambiente  che tuteli e favorisca la diversità di genere.

 

bonus link: il one year later del NewYorker 

TAG: MeToo
CAT: costumi sociali

Un commento

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  1. beniamino-tiburzio 6 anni fa

    E’ una questione culturale. Ben detto. Però non si tratta solo di un uso della propria ” autorità ” per compiere un abuso. Si tratta anche di un uso di ciò che la società considera una qualità, sia morale che fisica, per compiere un abuso. L’abuso sessuale ( chiamato ” molestia “, quindi fuori dal campo della violenza privata ” tout court ” ) è solo una parte minoritaria, del più ampio e generalizzato fenomeno dell’ uso delle proprie qualità fisiche e morali, che la cultura della società umana ritiene postive, per compiere abusi ( chiamiamoli anche molestie ) da parte di soggetti che ne sono dotati contro soggetti che ne sono privi. Mi spiego meglio : pensate alle molestie, battute, ammiccamenti degli individui alti contro i bassi ; dei magri normali contro i grassi ; dei belli contro i brutti ; degli intelligenti contro i poco intelligenti e per finire dei sovraordinati contro i subordinati. E così arriviamo anche alle molestie sessuali da parte di uomini e ( numericamente meno ) di donne.

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