Paesaggio con serpente

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23 Ottobre 2020

Per tre minuti ho guardato il cursore in alto a sinistra della pagina bianca. Lui lampeggiava, io lo fissavo. Mi aveva quasi ipnotizzato.
Solo che sono uno scriba, e se non scrivo mi ammalo. Allora mi sono alzato e sono andato alla finestra. Non fumo, di giorno, e quindi non ho nemmeno il pretesto della siga, la pausa aspirazione che fa del vizio un fedele alleato. Solo uno sguardo fuori da condannato. Oltre i trenta centimetri murati dallo schermo.
Ho puntato i tetti delle case, le spume arrossate degli alberi, il grigio umido del cielo. E ho capito che la giornata di merda era irreversibile, senza sbocchi. Ma almeno avevo l’incipit.
Il Covid19 toglie spazio mentale, entusiasmi, curiosità. Non puoi far altro che leggere di quello, pensare di quello, parlare di quello. E scriverne, per forza. L’ottimismo non ha permesso. Per quello non c’è autocertificazione possibile. Nelle poche persone che incontro annuso la mestizia, la percezione del destino ineluttabile (abbiamo ormai imparato di quanto un “Guardate che se non…” sia già un preventivo). Incombe il nemico ritrovato.
Che poi Lockdown ha un bel suono ritmico, quasi dance, e forse per quello non usiamo Isolamento, più netto, senza sfumatura ludiche. Se diciamo invece Coprifuoco è perché Curfew è soffocato, e dalla pronuncia very english, ostile ai più.

In molti abbiamo monitorato il tutto attraverso la bolla delle persone conosciute, e se tra queste non c’erano malati o incasinati nella morsa del probabile contagio siamo stati un cicinin leggeri, pur senza mai staccarci da terra. Ultimamente io sono stato però assorbito dalla realtà. Un amico positivo ha iniziato con febbre e tosse, chiuso in una stanza della casa, poi è peggiorato, ha polmonite bilaterale, ricoverato. Il nostro amato Leopoldo, fìdanzatissimo della Pepe, aspetta oggi il tampone di suo papà con sintomi che alimentano il dubbio. Un altro amico stretto ha la figlia in quarantena perché la compagna di classe è positiva (più della metà delle sezione del suo Liceo sono in questa situazione). Il tampone alla ragazza sarà tra dieci giorni; che in molti casi sono dodici, quindici, diciotto: la lista d’attesa è nutrita e l’organizzazione confusionaria e congestionata. Fino a quel giorno anche lui è un potenziale untore. A meno che non sborsi il suo centone privato.
“Pà, non riesco a respirare… ” gli ha detto ieri la figlia. In realtà non ha alcun sintomo. Ma il solo immaginare di avere in corpo quel gommino mostruoso le resetta la ragione. L’ansia, le fa mancare il respiro.

Dare il proprio nome e cognome, e telefono, quando partecipi a uno dei rarissimi eventi ti tiene già in allerta, perché potrebbero telefonarti con la notiziona che il tizio seduto dalle tue parti è risultato positivo. Ed entrare così in un tunnel ramificato. Al di fuori del sintomatico o meno, poi, se hai un lavoro dipendente, te la cavi, altrimenti bestemmi in una lingua mista.

Ma siamo un po’ tutti, a mandare a fanculo qualcosa o qualcuno, pescando a scelta nel ventaglione dei colpevoli. La sfiga. Il riscaldamento globale. Gli allevamenti intensivi. L’ira di Dio. I cinesi che pensavi mangiassero i chihuahua, ma non i pipistrelli. La televisione. I comunisti, anche se non esistono. I fascisti, che invece non se ne sono mai andati. I negazionisti, che poveri, non ce la fanno ad andare d’accordo con la cruda realtà. Gli sciacalli, pronti a tutto, avidi di carcasse. Una classe politica e dirigente mai stata così buffa, senza competenze, da vignetta satirica; e per questo tragica.
Aggiungete le vostre. Le ultime che ho detto, sono le mie preferite.
A proposito di vignetta, ce n’è una che gira in rete, dove un ragazzo si rivolge a un tipo più anziano: “Ma sai che ho letto che il coronavirus…” L’anziano lo stoppa subito: “Senti: per mezz’ora soltanto… parliamo di figa?” Quel Senti iniziale, i puntini di sospensione e il punto di domanda finale, fanno intuire una risposta disarmata, supplichevole.
Mi ha fatto ridere. Finalmente. Non me ne vogliano le donne, parlar di figa significa divagare con un sano e sacro obiettivo, accorgersi della bellezza, stanarla. Significa non avere pesi sul gobbone, ma abbandonarsi ad Adamo ed Eva, la prima e più grande delle narrazioni. Nella parte iniziale.
Poi arriva il serpente. E si prega un vaccino.

TAG: coronavirus, crisi, Lavoro
CAT: costumi sociali

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