L’orrore hippie per i borghesi del riflusso

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29 Novembre 2021

Don Henley è uno dei musicisti più importanti del secolo. È il batterista degli Eagles e l’autore di “Hotel California”, che è una delle dieci canzoni più famose della storia del rock. Ma è anche un uomo tormentato, come molti di coloro che hanno fatto parte della Summer of Love del 1969, quell’estate in cui gli hippie, il movimento nero contro la segregazione, ampia parte del partito democratico e tanta altra gente comune scalava i monumenti e riempiva le strade, facendosi picchiare dalla polizia, per protestare contro la guerra del Vietnam e la segregazione razziale.

Era l’estate di Woodstock, dell’amore libero, delle più grandi canzoni mai scritte, dei più grandi musicisti mai esistiti, in cui, come scriveva Tom Petty, “il cielo non aveva limiti”. Gli anni successivi sono stati quelli del riflusso, raccontati in canzoni nostalgiche come quella famosa di Bryan Adams, ma anche di tanti testi critici sul proprio passato e sulla velocità con cui era stato dimenticato un decennio di assassinii contro la libertà, dai fratelli Kennedy a Martin Luther King – dieci anni conclusi con la scoperta che il presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, era il capo dei cattivi più cattivi al mondo, e persino la piccola borghesia americana cantata da Simon & Garfunkel e mostrata da Anne Bancroft e Dustin Hoffman in “Il laureato”, si accorge che l’America tradisce ovunque i sogni di libertà, portando la dittatura in tutti i posti in cui si presenta a promettere speranza e benessere.

L’estate del 1969, The Summer of Love

Nel 1982, il chitarrista di Tom Petty, Mike Campbell, si è comprato una nuova batteria elettronica per provare l’effetto delle sue composizioni prima di andare in sala di registrazione, ed aveva iniziato a scrivere melodie accompagnate dai beats che oggi sono ovunque, ma allora erano considerati, dalla generazione della West Coast, un sacrilegio. Sicché Tom Petty gli aveva detto che quella roba lì, la sua band non l’avrebbe mai e poi mai suonata.

In una sera di birra e panini, dopo aver passato ore in sala di registrazione con le rispettive band, Mike fa ascoltare il nastro della sua melodia a Don Henley. Lui trova il beat entusiasmante e promette di privare a scrivere un testo. Passa un anno. Poi, come racconta il batterista degli Eagles, una mattina: “Stavo guidando sulla San Diego Freeway e sono stato sorpassato da una Cadillac Seville da 21’000, lo status symbol dell’alta borghesia americana reazionaria – erano tutti tizi con i blazer blu con gli stemmi e i pantaloni grigi, ma avevano un adesivo dei Grateful Dead sul paraurti”. Una vergogna. Un simbolo di quell’estate sfoggiato da qualcuno che pensa esattamente il contrario e, probabilmente, non ha idea del significato di quel simbolo.

Don Henley oggi

Per Henley sono anni difficilissimi. Nel 1980 ha creato una fondazione per difendere le foreste dalla ferocia degli uomini, ma finisce nei guai: dopo una festa a casa sua, piena di gente, due ragazzine di 16 anni vengono trovate piene di cocaina, una di loro in fin di vita. La compagna di Don lo lascia, atterrita – ma l’esame dei capelli dimostra che il batterista, contrariamente a tanta gente della sua generazione, non consuma droga. Incontra una giovane modella, Maren Jensen, che ha appena fatto il salto nel mondo del cinema, e reciterà in “Battlestar Galactica”. Quando Henley scrive questa canzone, lei lo ha appena tradito per un giovane attore biondo e muscoloso.

In una notte di tristezza, Don scrive finalmente un testo per la melodia di Mike Campbell che racconta di una donna che ora esce con i ragazzi dell’estate, gli odiosi palestrati degli anni ’80. Ma lui, Don, esisterà ancora, con i sogni e l’amore per quella donna, che è non solo Maren, ma anche l’estate del 69, quando tutti quei cretini saranno oramai scomparsi. Il grido disperato dell’ultimo dinosauro che piange la sua stirpe estinta. Una canzone bellissima che non va dimenticata.

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CAT: costumi sociali, Musica

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