Omologazione culturale delle classi sociali

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3 Agosto 2018

La discriminazione culturale tra le classi sociali ha continuato a permanere per tempi immemorabili. In altre parole si sono attribuiti sentimenti e pensieri alle classi subalterne ovviamente inferiori a quelli più sofisticati di chi era qualche gradino più su. Il quesito di base (che però non importava a nessuno) era se il “proletario” avesse dentro di sé quel ricco patrimonio che migliaia di anni di sensibilità valoriali si erano accumulate in chi, per superiori possibilità economiche, poteva fruirne. La letteratura, la filosofia e la specifica psicologia dei segmenti sociali più elevati contribuivano a questa convinzione, aggregando le caratteristiche reali degli “inferiori”( reddito,tipo di lavoro, residenza ecc.) a quelle psicologiche, anzi spesso definite  di carente moralità. Ad onta degli appelli evangelici o simili, sull’uguaglianza umana, tale ideologia discriminatoria è andata avanti per secoli (anzi millenni).

Ma il boom del capitalismo industriale portava a troppi sconvolgimenti e quindi a fenomeni incontrollabili. Mentre in passato la dicotomia tra i potenti,gli aristocratici, e i sudditi, cioè i contadini restava irrigidita, nei nuovi secoli assistevamo alla proletarizzazione urbana operaia e, in parallelo alla formazione cospicua di una classe intermedia, il ceto medio composto da artigiani, commercianti e impiegati burocrati. Costoro, sotto gli occhi benevoli di chi deteneva il reale potere, si appropriavano  anche delle convinzioni ideologiche di una propria superiorità dei sentimenti rispetto al proletariato, ovviamente abbruttito. La letteratura  che nel passato aveva giustificato, soprattutto tramite il culto eroico, la classe al potere, ora apriva le porte all’intimismo piccolo borghese, per dare un contentino a questa classe. Anche i più rivoluzionari come il Flaubert di Madame Bovary o il duro lirismo di Baudelaire, andavano poi a finire nell’autocentrismo ossessivo di un Proust. I pochi tentativi letterari di un riscatto psicologico  delle classi inferiori tipo Hugo o il nostro Verga ( per non parlare di Manzoni), erano patetici e anche in malafede , un po’ come i tentativi rousseauiani degli ultimi anni 60-70 di un Pasolini o di un Olmi.Si potrebbe anche insinuare che la reale differenza non consistesse tanto nella presenza o assenza di sentimenti, quanto che le classi subalterne non avessero la competenza semantico-linguistica di esprimerle verbalmente, letterariamente , filosoficamente ecc..

Ma cosa sta succedendo ora, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale? Considerando sempre e solo essenzialmente l’Occidente, l’espansione economica e il conseguente arricchimento di tutte le classi sociali, arricchimento essenziale per il funzionamento di un’economia dei consumi, hanno portato ad un livellamento ideologico dei due segmenti principali (classe inferiore e classe media). Si condividono gli stessi valori e la stessa Folk Psychology  con identica assiomatica e  capacità di adattamento ad una dinamica economica e tecnologica continua.

Sia lo scambio conversazionale continuo tra le persone, sia l’esposizione ai media e soprattutto alla tv e ai social, agiscono  come strutturante ideologico in corpus abbastanza coesi, ed anche  come collante tra classi le cui differenze socio-economiche sembrano più attenuate ( anche se poi, nei cicli economici negativi, riemergono in modo rilevante).

Non dobbiamo quindi esserne soddisfatti? Non si realizza quell’ideale di  égalité promesso dalla Rivoluzione francese un paio di secoli fa? Il problema sorge appunto per il carattere assiomatico di qualsiasi ideologia sociale che innesta lo schema perentorio valoriale di tale Folk Psychology, in quanto tale perentorietà, andando aldilà della necessaria coesività sociale, conduce non solo ad atteggiamenti ma anche a comportamenti funzionali ad altri interessi.

È vero che in una società cosiddetta “liquida”, si formano continuamente nuovi raggruppamenti, magari su base generazionale o di genere, che producono nuovi valori e comportamenti ma questi vengono, in genere, assimilati nel corpus ideologico di base. Si pensi, per esempio, all’aspetto banale dei tatuaggi. Nati in gruppi considerati eversivi, come tentativo ribelle di modificazione del proprio corpo, con un richiamo nostalgico ad un mondo tribale e vitalmente selvaggio, oggi si sono sparsi sui normali corpi “adulti” che fruiscono così di un autoillusorietà ribelle ed emancipatoria.

Ma intanto altri raggruppamenti, quelli degli immigrati, premono per insediarsi, magari resistendo a modificazioni dei loro costumi, specie quelli familistici , per formare un esteso proletariato, ampiamente sfruttabile nei lavori più umili. Per loro una soluzione anche ideologica di integrazione interclassista, resta abbastanza problematica.

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TAG:
CAT: costumi sociali, Scienze sociali

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