Progressismo d.o.c.

20 Gennaio 2021

“La tolleranza del liberalismo ha termine quando si mette in questione l’ordinamento proprietario. La proprietà privata è sempre stata al di sopra del principio democratico…ma la comprensione del fatto che il diritto è al servizio di interessi di carattere sociale (un’idea che era ancora ovvia per il primo liberalismo) viene oggi rimossa dalla coscienza. Lo stato e il diritto vengono così ipostatizzati in realtà autonome e separate…I torturatori e i massacratori dei campi di concentramento erano nella loro grande maggioranza cittadini “normali”, padri di famiglia esemplari, plasmati dal codice morale della piccola borghesia: pulizia e decoro, fedeltà e obbedienza, dovere e puntualità”

Reinhard Kuhnl

 

Ci sono cose di cui il progressista non può fare a meno.

Una è l’indignazione civile – con il suo contorno di umanitarismo.

L’altra la retorica sulla ignoranza – altrui – e sulla cultura – propria.

L’indignazione civile è il suo corroborante.

La persuasione dell’ignoranza altrui, il suo antidepressivo.

Fatta fuori la componente sociale, che portava i partiti tradizionalmente “progressisti” ad indossare il berrettino frigio del difensore istituzionale degli interessi dei meno “fortunati” (sempre, naturalmente, nei limiti di quel senso dell’equilibrio per cui al padrone che ruba si fa la ramanzina e al disperato che rompe una vetrina si spaccano le ossa) ed essendosi ormai trasformati quegli stessi partiti in baluardi dell’intoccabilità dei privilegi attestati, non rimane altro che agitare come bandiere i vecchi ma gloriosi stendardi dell’illuminismo.

Libertà (dell’imprenditore di sfruttare e del lavoratore di lasciarsi sfruttare)

Fraternità (tra lo sfruttatore e lo sfruttato, purché ciascuno rimanga al suo posto)

Uguaglianza (grazie alla quale, come diceva Anatole France, sia al senzatetto che al benestante è severamente proibito dormire sotto i ponti).

Da un lato si susseguono gli inviti a viaggiare, leggere, studiare perché a quanto pare il fascismo non è più, come insegna la storia, il frutto maturo del liberismo alle corde, ma solo “frutto di ignoranza”; con alti lai sul diffondersi della lebbra antiscientifica che sfociano, talvolta, in corbellerie sulla opportunità di rivedere il suffragio universale: facciamo che i vecchi non votano, facciamo che chi non legge almeno due libri l’anno non vota, facciamo che chi non ha viaggiato e non conosce uomini e cose non vota, facciamo che chi non ha visitato almeno venti musei non vota ecc. ecc.

D’altro canto non passa giorno senza un vibrante appello a consumare in modo ecosostenibile, a rispettare l’ambiente che è “di tutti”, a mangiar sano e a fare movimento, per non sovraccaricare quel sistema sanitario che, dice, “paghiamo tutti noi”.

Nemmeno una parola sul fatto che viaggiare, studiare, leggere e mangiare in modo “ecosostenibile”, curare al meglio il corpo e lo spirito, sono tutte cose che costano, cose che solo quelli come lui possono permettersi. Ma questo non può sorprendere, visto che la complicità con il crimine sociale è oggi la più semplice e naturale delle condotte. Ci si rende complici senza neppure la sgradevole consapevolezza di farlo. E’ una complicità divagante e bonaria, una nebulosa empatia con lo status che accetta la quotidianità come evento naturale, cui – a meno di essere spostati – non ci si può non adeguare. Un confortevole torpore mentale che si autodefinisce “realismo” e tiene a distanza la semplice possibilità di porsi domande circa gli ingranaggi che, di quella quotidianità, regolano i diabolici meccanismi. Una complicità nutrita dalla liturgia pasquale del “voto democratico” che, della democrazia, celebra solo passione e morte rimandandone ad libitum la resurrezione. Una complicità che fornisce perciò anche gli abiti della festa che permettono a chi li indossa di qualificarsi “progressista” e benefattore dell’umanità.

E’ questa, oggi, la religione di quella “classe media moderata” nella quale si annida il peggio: la persuasione di essere “Giusti” e di essere nel “Giusto”.

Una persuasione che alimenta la più ferina intolleranza con il pastone della filantropia.

E’ costume di questi esemplari umani intrallazzare con ogni astrazione in grado di dirottare il pensiero dal qui e dall’ora, trafficare con ogni generalizzazione che implichi un “impegno civile” – tanto più ostentato quanto meno capace di discernere la causa dai suoi effetti; qualsiasi cosa che consenta di mettere nello stesso sacco la badante rumena e la diva di Hollywood, lo stilista milionario e il sottoproletario che fa marchette al cesso pubblico, trasformandoli tutti in “sorelle” e “fratelli”. Purché finita la manifestazione di protesta civile ciascuno, dopo un caloroso abbraccio, se ne torni appagato a casa sua: badante e marchettaro in tugurio, diva e stilista in villa con piscina.

Chi potrebbe opporsi alla uguaglianza tra un omosessuale ed un eterosessuale? Chi all’uguaglianza tra uomini e donne? O tra portatori di handicapp e normodotati? Chi al fatto che il milionario e il clochard abbiano identico diritto di voto, di pensiero e di parola? Nessuno che non sia un turpe oscurantista, ignorante, brutale e privo del lume della ragione…e dunque ecco identificato – e insieme esaurito e reso inoffensivo – il nemico in una grottesca caricatura, degna solo di indossare un copricapo di pelo con le corna e inneggiare all’olocausto. Dunque da decenni comici, cantanti, attori, produttori di salame e di prosciutto, milionari di ogni tipo fanno della uguaglianza formale la loro bandiera – loro… che sono il frutto marcio della ineguaglianza.

Ma non ne troviamo neppure uno che pronunci una sola parola su cosa significhi, in un mondo in cui tutto soggiace alla legge del mercato, uguaglianza REALE.

Perché questo significherebbe mettere immediatamente in discussione i loro privilegi.

In quarant’anni abbiamo così conquistato il diritto alle quote rosa e perso il diritto alla pensione, conquistato il diritto alle unioni civili e perso il diritto alla dignità economica…ma se lo fai notare, l’anima bella casca dalle nuvole: “Ma che c’entra?”

Perché pensare ad una relazione tra le due cose, per il filisteo, equivale sempre a darsi la zappa sui piedi. E nove volte su dieci questo filisteo appartiene alla dorata falange dei progressisti. Quelli che si commuovono davanti al “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo.

Eppure gli stessi che s’indignano per la violazione di ogni nebuloso “diritto civile” si metterebbero poi a ringhiare – o peggio – appena qualcuno mostrasse di voler mettere mano al loro reddito per riequilibrare un po’ le cose (eventualità assai improbabile dal momento che quei governanti che dovrebbero farlo appartengono alla loro stessa specie).

Nonostante questo, però, la loro complicità nel crimine socioeconomico che ogni giorno, tortura e uccide, non affiora mai in superficie e la loro coscienza può rimanere immacolata. A renderla invulnerabile ci pensa la cotta di maglia di quella mezza cultura diffusa che dà sempre, a chi la detiene, la persuasione inossidabile di essere il sale della terra. Perché per rendersi conto di quanto si possa essere complici sarebbe necessario un grado di lucidità, cultura e intelligenza oramai proibitivo per il benestante progressista che difficilmente, oggi, potrà mai recuperare quella levatura morale e intellettuale che un tempo dava a un grande intellettuale come Gerard Manley Hopkins, la lucida consapevolezza dei suoi privilegi di classe e di ciò che ne consegue:

“E’ spaventoso che la parte più grande, e più necessaria, di questo mondo ricchissimo, viva, nel mezzo dell’abbondanza – una abbondanza di cui essa è artefice – una dura vita senza dignità, senza educazione e senza speranze. Essi ci annunciano che non guarderanno quel che demoliranno, quello che bruceranno: il vecchio ordine, la vecchia civiltà debbono essere distrutti. Prospettiva PER NOI terrificante, è vero: ma che cosa ha fatto PER LORO quella vecchia civiltà?”

TAG: Cultura, giornalismo, politica
CAT: costumi sociali, società

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