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Arte

Raffaello: il racconto sontuoso di Sgarbi

di Biagio Riccio
21 Dicembre 2021

Dopo il saggio su Leonardo, “Il Genio dell’imperfezione”, Sgarbi propone ai suoi lettori un bellissimo ritratto di Raffaello: “Raffaello un Dio mortale”, la Nave di Teseo editore.

Come è nelle sue corde Sgarbi non si limita a descrivere il significato delle opere, ma delinea paragoni, interrelazioni con altri artisti, per farci comprendere quanto ancora sia rilevante il peso ed il valore dell’Urbinate. E questo suo sforzo non si limita ai pittori o scultori che furono contemporanei di Raffaello, ma vale anche per la pittura del ‘900.

Si pensi alla relazione fra Raffaello e De Chirico. Per De Chirico lo “Sposalizio della Vergine”, realizzato da Raffaello nel 1504, è “il quadro più completo e più profondo di tutta la pittura”, dove il tempio e il cielo “nascono all’improvviso, quando meno te lo aspetti” (lettera a Jean Pulham del 1912).

Scrive Sgarbi: “Lo Sposalizio della Vergine si rivelerà fondamentale per l’elaborazione della poetica metafisica del pictor optimus che si sviluppa negli stessi anni tra Milano, Firenze e, finalmente, a Ferrara. Si vedano affiancati lo Sposalizio di Raffaello e l’Enigma dell’arrivo e del pomeriggio, con l’analoga reinterpretazione del tempietto del Bramante e quel senso di sospensione e di “improvviso” del cielo e delle figure. Ma ancora più consonante con lo Sposalizio è la visione stilizzata del tempio nella Piazza d’Italia di de Chirico del 1913, ora all’Art Gallery of Ontario di Toronto”.

Sgarbi ci ricorda, citando Vasari, come Raffaello sia stato un Dio mortale: vuole affermare che grazie alla sua pittura, che universalmente viene riconosciuta come perfetta, Dio abbia continuato la creazione, perpetuando il suo amore per l’uomo e la natura. Dio, migliora “la natura” “attraverso artisti che hanno dentro di sé qualcosa di divino con cui continua la creazione del mondo”. E Raffaello è, perciò, un Dio mortale, perché questa perfezione la ripone nella sua pittura.

Raccontando la vita ed il percorso artistico di Raffaello -già nasce pittore nella bottega del padre- Sgarbi scandaglia la crescita rapida e geniale dell’ Urbinate, soffermandosi in modo particolare sul periodo romano, quando Raffaello è chiamato da Papa Giulio II ad affrescare le stanze vaticane.

Si innesca perciò il paragone con Leonardo e quello con Michelangelo. Da qui il riconoscimento della grandezza di Raffaello che supera tutti in pittura. Soffermandosi in modo particolare su la “Scuola di Atene” così scrive Sgarbi: ”Un capolavoro, il più bell’affresco del mondo…davanti a quest’opera sento che qui siamo veramente al punto più alto che la pittura abbia mai toccato per valori umani, filosofici e religiosi…un’architettura monumentale, straordinaria, che non è la Chiesa cristiana, ma il tempio del sapere, l’apoteosi dell’Occidente, in cui convivono mondo antico e mondo moderno, filosofi, poeti e artisti antichi e moderni”.

Ma è nella descrizione dell’uomo Raffaello che Vittorio Sgarbi, con un periodare sciolto ed elegante, si supera.
Raffaello, per dipingere, aveva bisogno di amore. E trova la sua musa in una fornaia di Trastevere Margherita, Ghita, soprannominata la “fornarina”. Sarà preziosa come modella per le Madonne di Raffaello, in particolare per la “Velata”. Raffaello se ne innamora perdutamente e sarà Agostino Chigi, ricco mecenate ad accorgersi della malinconia ed ipocondria dell’Urbinate, che solo quando, per intercessione dello stesso Chigi, avrà “gli occhi della Fornarina” darà il massimo del suo genio, saturnino senza il suo volto. Ce lo ricorda Giovanni Montanari nel libro “Guardami negli occhi”, editore Feltrinelli. Sono stati scritti diversi libri su questo amore; di particolare valore quello di Pier Luigi Panza: ”Un amore di Raffaello”, Mondadori editore.

Così è delineato lo sposalizio dell’Arte di Raffaello con l’Amore per la sua musa, immortalata nel famoso quadro a Lei dedicato: “La Fornarina”. “ Intorno al mio braccio sinistro, ben in vista, aveva dipinto un bracciale come segno di sua appartenenza. Era un bracciale blu e oro, come i colori del copricapo orientale. Mi aveva detto, un giorno, che anche lo stemma della sua famiglia aveva un fondo blu. Aveva usato il lapislazzuli o lo smaltino veneziano. Con un pennello dai crini finissimi stava scrivendo sul bracciale il proprio nome: RAPHAEL VRBINAS. Ero legata a lui. Quel bracciale, stretto intorno alla carne del mio braccio, mi faceva sua. Ero come una cortigiana, una schiava, è vero, ma dell’amore, e quel quadro così osceno mi faceva anche sposa. Sua sposa. Quando osservai l’anello che mi aveva dipinto all’anulare sinistro non potei trattenere le lacrime, e piansi. Era un pianto sospeso da anni, tenuto dentro, e che ora si sfogava mentre ero lì, battezzata in quel modo nel suo quadro”.

Sgarbi ci ricorda questo genio passato al Mito universale e con una vita vissuta troppo breve, per soli 37 anni. “Trentasette anni è l’età che un mio collega di studi, Flavio Caroli, scelse come titolo di un suo libro, avendo verificato quanti geni, da Toulouse-Lautrec a Mozart, a Domenico Gnoli, a Raffaello, a Parmigianino, sono morti a quell’età. Gli autori più belli hanno una vita breve, nella quale però c’è tutto, come se avessero concentrato in un tempo più ristretto l’intero percorso di una esistenza. Altri vivono cent’anni e hanno una diversa evoluzione; alcuni invece vivono un tempo più breve, come i trentasette anni di Raffaello, ma quando sopraggiunge la fine il loro percorso è comunque concluso”.

Con questo libro ci innamoriamo dell’Arte e comprendiamo che Dio migliora il suo mondo.

Sgarbi lo racconta sontuosamente.

#arte #ilibrichililegge
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