tuffatore poseidoniate

Beni culturali

Il tuffatore poseidoniate, effigie stilistica di etica ed estetica

3 Giugno 2025

Il 3 giugno del 1968 fu scoperta a meno di 2 chilometri a sud di Paestum (l’antica città greca di Poseidonia) una tomba a cassa, costituita da cinque lastre calcaree, accuratamente connesse tra loro e stuccate all’esterno per impedire le infiltrazioni d’acqua. La cassa era priva di fondo e poggiava direttamente su un basamento roccioso. Una volta aperto, il manufatto si presentò all’interno interamente dipinto ad affresco.

Mario Napoli, lo studioso che guidava l’operazione archeologica, si trovò davanti a una meraviglia inedita e anche inimmaginabile. La lastra di copertura, che raffigura un giovane tuffatore, finì per dare il nome all’intera sepoltura. E il mondo ebbe notizia della Tomba del tuffatore. Per la prima volta, appassionati e cultori dell’arte potevano ammirare un esempio concreto di pittura greca. Il sepolcro conteneva i resti dello scheletro, attribuiti a un giovane, e un elegante corredo funerario, costituito da tre vasi e uno strumento musicale, per l’esattezza una lyra. Uno dei vasi era a figure nere, mentre gli altri due, di dimensioni più ridotte, avevano contenuto unguenti in alabastro: sono stati questi reperti che hanno permesso di datare con certezza la tomba al decennio compreso tra il 480 e il 470 a.C. La cinque lastre della cassa sono esposte presso il Museo Archeologico Nazionale di Paestum.

Quattro scene conviviali che, nel loro insieme, ricostruiscono il contesto di un simposio, e precisamente la fase del banchetto destinata alla degustazione dei vini, all’ascolto delle musiche e dei canti e alla recitazione dei versi. Mentre la quinta lastra, quella di copertura, raffigura, come già accennato, un giovane colto nell’atto di tuffarsi. Il tema del simposio, probabilmente, allude all’educazione e al grado culturale che il defunto ricevette in vita, mentre i blocchi da cui si lancia, visti come un trampolino, potrebbero rimandare alle mitiche colonne d’Ercole, poste a segnare i fatidici confini del mondo, simboleggiando, dunque, il limite della conoscenza terrena. Lo specchio d’acqua verrebbe così a rappresentare un’efficace metafora dell’aldilà, ignoto e misterioso traguardo dell’esistenza. Vi è da sottolineare che sin dal momento della scoperta del monumento, la critica si è divisa in due correnti contrapposte. La prima ha esaltato il suo straordinario valore di testimonianza documentaria, in quanto rarissimo esempio di originale ellenico; la seconda ha cercato di ridimensionare la portata del ritrovamento, osservando che si tratta pur sempre di un esempio di pittura locale, di media qualità artistica, che non può essere scelto a paradigma dell’intera pittura greca classica.

Ora, uscendo dall’archeologia ed entrando timidamente nei canoni di giudizio della Storia dell’Arte, e più consapevolmente in un conformato e collaudato gusto personale, si potrebbe affermare che l’opera dia piena testimonianza di un’interpretazione assolutamente naturalistica, propria di una visione creativa ridotta all’essenziale, ma non per questo priva di efficacia artistica ed esteticamente meno apprezzabile rispetto a un’opera più lavorata, dove l’abbondanza di ombre e chiaroscuri ha la funzione di rendere lo spazio più verosimile, giammai più concettuale. Si aggiunga, e anche qui consiste l’incanto dell’opera, che gli affreschi sono stati eseguiti per non essere visti. L’artista, o gli artisti della Tomba del tuffatore hanno lavorato alla loro opera per decretarne la sepoltura, consegnata a un’esistenza sotterranea, traslata quanto si vuole ma preclusa allo sguardo dei viventi. Sarò anche di parte, essendo del luogo, ma non comprendo le ragioni tecniche e artistiche per cui un’opera classica coloniale, come l’affresco di Paestum, debba essere considerata inferiore a un’opera della stessa epoca, forgiata nella madre patria, come se la Megálē Hellàs (Μεγάλη Ἑλλάς), considerata nella totalità della sua capacità di produrre arte, non fosse una straordinaria e autentica propaggine ellenica e la freschezza, la spontaneità e l’immediatezza delle raffigurazioni della Tomba del Tuffatore non rendessero conto di una testimonianza pittorica tra le più affascinanti dell’antichità.

 

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