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Filosofia

Cosa chiedere ai monoteismi? Una crociata unitaria contro le diseguaglianze

di «Ponti e Muri» di Stefano Jesurum
11 Marzo 2017

Da laico mi capita, a volte, di interrogarmi sul senso, oggi, delle tre grandi religioni monoteiste di fronte a questioni drammatiche e epocali che le riguardano direttamente. Il rapporto, ad esempio, tra il nostro sistema economico e la povertà. E sulla indiscutibile necessità di ricercare una sorta di “economia di giustizia”. Questo tema, assai caro al noto studioso di ermeneutica biblica Haim Baharier – che ne ha scritto e parlato moltissimo – impatta in maniera dirompente con la realtà attuale. Basta leggere il più recente rapporto Oxfam (la confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale) quando ci dice che il reddito degli otto uomini più ricchi del mondo equivale al reddito della metà della popolazione più sfortunata del pianeta.
​Un tema, quello della disuguaglianza e del soccorso agli ultimi, che ebraismo, cristianesimo e islam hanno da sempre caro e che, addirittura, verrebbe da dire possa considerarsi un pilastro delle tre fedi.

Prendiamo, con l’aiuto dell’ebraismo che è l’inizio di tutto, qualche esempio dalla Torah e dal suo ferreo senso di giustizia. Concetti come equità sociale e redistribuzione della ricchezza nascono da parole antiche e ormai desuete come maggese e giubileo. Ovvero il riposo del campo agricolo, lasciato a maggese, appunto, al settimo anno, affinché tutti ne possano godere; e l’azzeramento della proprietà della terra nel 50° anno (giubileo), affinché la collettività intera ne tragga beneficio. Riflessioni che si dovrebbero imporre (magari, chissà, anche alla nostra politica) nella misura in cui la Ong britannica ricorda che tra il 1988 e il 2011 il reddito medio del 10% più povero della popolazione è aumentato di 65 dollari (meno di tre dollari l’anno), mentre quello dell’1% più ricco di 11.800 dollari, 182 volte di più.
​

Ha scritto Baharier: «Si può rimpicciolire senza diminuirsi. Posso accogliere l’altro, cedere – non concedere – spazio al prossimo senza soffocare a mia volta per la mancanza, senza sentirmi per questo minacciato. Non è misericordia né compassione, si tratta di ristabilire la giustizia». Certo il connubio biblico tra giustizia e economia, «la lanterna che credo possa illuminare il buio in cui la ragione è precipitata», può apparire utopica, di più: “contro la storia”; però non per questo i religiosi dovrebbero abbandonarla e addirittura non conoscerne più l’esistenza, per lo meno teologica.
​Come dire: mi aspetterei dalle tre grandi religioni una “crociata” (magari, perché no?, comune) affinché si passasse da una economia del privilegio a una economia, appunto, di giustizia. Una crociata che avesse le armi, chessò, dei raccapriccianti dati Oxfam, e della lezione helleriana per cui le illusioni non esistono per essere realizzate, ma per accelerare la realizzazione di ciò che effettivamente è realizzabile.

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