Filosofia

Giovanni Gentile. Senza nostalgie

22 Giugno 2025

Che caratteristiche hanno le destre al momento attuale? e può essere utile per capirne la fisionomia riprendere in mano gli scritti più dichiaratamente filosofico-politici di Giovanni Gentile?

È questa la sfida che pone la raccolta degli scritti di Giovanni Gentile Che cos’è il fascismo. L’essenza di un fenomeno storico (fuori scena), curata da Salvatore Natoli.

La domanda è pertinente e prima di tutto riguarda la differenza di una scelta un secolo fa e ciò che sostanzia oggi la dimensione di un fenomeno che solo apparentemente è la riproposizione di passato.

Due le questioni che abbiamo davanti come indica Natoli nella parte terminale della sua presentazione (il paragrafo significativamente si intitola «Perché oggi?»).

La prima. I fascismi promettevano “una primavera di bellezza”, offrivano, a loro modo, un’idea di mondo; le nuove destre alimentano, più che altro, sentimenti punitivi contro cosiddette elités privilegiate: uno spirito di rivincita salvo poi allearsi con quelle vere.

La seconda. Il volto della società e ormai interamente cambiato e i sovranismi hanno poco a che fare con la “nazionalizzazione delle masse” caso mai sono conseguenza del radicalizzarsi degli egoismi. Quanto, poi, alla creazione del consenso fanno leva  su temi – questo sì – propri alle destre: in primo luogo, a fronte del fenomeno migratorio, la xenofobia, ma gestita più che nei temini classici della  superiorità della razza, dell’eugenetica  di raro dichiarata – anche se magari taluni ne sono convinti – sono motivate da ragioni politico- sociali, dalla mitologia dell’invasione  – timore di ciò che tolgono in termini di risorse e spazi – o, se si vuole, della contaminazione – di quel che portano sia temini di igiene  – i migranti per le strade –  sia di costumi, comportamenti.

Dunque, tutto porterebbe a ritenere che la questione posta da Salvatore Natoli sia deviante. Eppure, non è proprio così e uno dei meriti della lettura inquieta che propone Natoli nella introduzione in questa raccolta degli scritti di Gentile consiste proprio l’obbligarci a prendere in mano una serie di questioni che non vivono del parallelismo della situazione, bensì dell’analogia di condizione. L’adesione al fascismo, prima ancora che una scelta ideologica, sottolinea Natoli è stata “per Gentile anche una scelta morale: vide in quel movimento, la sola forza viva capace di rigenerare la nazione; e questo specie a fronte e di contro ad un’Italia inerte, indolente e per di più uscita dalla guerra ancor più delusa”.

In uno scritto molto importante del 1928 dal titolo Essenza del fascismo che Natoli opportunamente propone in questo libro [pp. 101-145] è importante l’operazione di ricostruzione storica che egli propone perché questa per certi aspetti parla al linguaggio e alla propaganda al nostro tempo presente.

È la guerra, sottolinea Gentile, ad essere “stata per l’Italia la soluzione di una profonda crisi spirituale”. Per poi precisare che per gli interventisti era essenziale fare la guerra…per cementare una volta nel sangue la nostra nazione”  [pp. 102-103] Cementare la nazione, come può fare soltanto la guerra” sono parole forti ancor più perché l‘obbiettivo della guerra è certo battere il nemico ed acquisire  territori, ma la vera intima ragione per farla è quella di portare a compimento un’unità di fatto mai realizzata, di fare finalmente dell’Italia una “Nazione vera, reale, viva, capace di muoversi e di volere e farsi valere nel mondo, ed entrare insomma nella storia con una personalità, con una fisionomia, con un suo carattere, con una nota originale, senza più vivere d’accatto sulla civiltà altrui e all’ombra dei grandi popoli fattori di storia. Creala, dunque, davvero questa Nazione, “come soltanto è possibile sorga: con uno sforzo attraverso il sacrificio” [p. 103]

Precisa Natoli che non si può dire che Gentile travisi gli eventi, ma li curva, a indicare il fascismo come il solo modo risolutivo di una profonda crisi e in specie in quel particolare drammatico dopoguerra.

Perché è importante sottolineare questo aspetto?

Perché questo principio in cui gli elementi non si travisano, ma si piegano per dare forza alla realtà che c’è costituisce un tratto essenziale di un rapporto tra intellettuale e politica e tra regime e costruzione del consenso che torna molte altre volte nella riflessione pubblica di Giovanni Gentile, compreso il discorso tenuto in Campidoglio nel giugno 1943 (anch’esso opportunamente riproposto in questa raccolta alle pp. 153-175)

Quel testo è molte cose. Soprattutto è la testimonianza in pubblico di una fedeltà fondata sul riconoscimento del valore dell’esperienza fascista nella storia italiana che Gentile consegna al presente, ma anche al futuro.

Quel lascito sta dentro un profilo che riguarda una parte rilevante del Partito nazionale fascista nel 1943, prima del crollo.

Per esempio è il senso della celebrazione del XXIV anniversario della Fondazione dei Fasci di combattimento [il testo compare sulla “Gazzetta del Popolo”, 24 marzo 1943] ma anche la lettura che Giuseppe Bottai (uno di quei che la notte del2 4 luglio voteranno contro Mussolini) propone [nel suo editoriale su” Il Popolo di Roma”, l’1 maggio 1943 della linea politica della Segreteria di Carlo Scorza, eletto segretario del Pnf il 19 aprile 1943.

La retorica è soprattutto nel richiamo alla mobilitazione generale e all’impegno in guerra in nome della realizzazione del Risorgimento, questa volta avendo come obiettivo il controllo del Mediterraneo. Così esorta Mario Appelius nell’editoriale de “Il Popolo d’Italia” il 10 giugno 1943, nel giorno del terzo anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia.

Nel discorso che tiene il 24 giugno nella sala Giulio Cesare in Campidoglio a Roma, Giovanni Gentile sta sulla stessa linea.

In quel testo un passaggio è essenziale.

“Gli italiani che domandano ogni giorno i conti – dice Giovanni Gentile avviandosi a trarre le conclusioni del suo discorso – che vogliono vedere freddamente come vanno le cose, che hanno qualcosa da dire su tutto quello che si fa, che si mettono insomma al di sopra degli avvenimenti, perché esercitare l’intelligenza è sempre un mettersi al di sopra delle cose e tirarsi fuori dall’azione, per fare la parte di spettatore che giudica senza compromettersi: questi falsi italiani devono aprire bene gli occhi e por mente che non è punto vero che essi non si compromettono e non agiscono. Essi compiono una loro azione, un’azione vile di devastazione delle energie morali del popolo che soffre e che combatte; essi assumono una tremenda responsabilità: la responsabilità del tradimento” [p. 167]

Quel testo è una dichiarazione di coerenza con se stesso e le sue scelte dal 1921 ed è, insieme, una dichiarazione tesa a ribadire la purezza del fascismo e, più personalmente, del “suo fascismo”.

In quel suo fascismo ci sono molte cose: c’è l’elogio del santo manganello, come dice a Palermo nel marzo 1924 durante quella campagna elettorale piena di brogli e di violenze delle squadre fasciste che costerà la vita a Matteotti (del suo assassinio Gentile non dirà mai niente); c’è il dissenso rispetto al Concordato con la Chiesa che Gentile interpreta come perdita della laicità dello Stato; c’è il suo dissenso non  urlato, ma consistente, al razzismo antisemita della cultura fascista già a partire dal 1934 per cui aiuta tutti i suoi amici ebrei a trovare soluzioni alternative perché capisce che la qualità della loro vita è in rapida caduta.

Dunque: Giovanni Gentile è stato un uomo organico al regime; ha fornito al fascismo parole, linguaggio, struttura culturale; ma non necessariamente condivideva tutto.

Rileggerlo oggi è significativo non per studiare una coerenza, ma per capire un’eredità. Contemporaneamente per cogliere anche le ambiguità (piùche le sue,le nostre). Comunque per tornare dentro le molte pieghe della storia culturale ed emozionale dell’Italia contemporanea. I lasciti, ma anche i luoghi ambigui e per certi aspetti “la doppiezza”. In breve per contribuire a costruire una storia «a parte intera». Senza sconti, né scorciatoie, né furbizie, né ammiccamenti.

È il profilo di riflessione che opportunamente propone Salvatore Natoli.

 

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