I funerali di Maria Cristina Gallo

Filosofia

“Voglio praticare la giustizia”. Dalla rabbia alla giustizia

19 Ottobre 2025

Ci ha lasciati Maria Cristina Gallo, la donna di Mazara del Vallo che ha scoperto con otto mesi di ritardo la diagnosi del referto istologico e la cui denuncia ha scoperchiato una triste storia di malasanità isolana

Per chi come me ha avuto il singolare privilegio di conoscerla personalmente, la vicenda assume sicuramente un sapore molto particolare, ma proprio perché per noi Cristina ha avuto un valore oltre il suo nome è opportuno distanziarsi il giusto da un umano risentimento per trarre alcuni insegnamenti da questa triste storia.

Maria Cristina si sottopone ad operazione chirurgica nel dicembre 2023 ed attende, con fiducia, il referto di un esame istologico. Con il trascorrere del tempo, e l’assenza di notizie, la famiglia si rivolge infine ad un legale e, per mezzo di carte bollate, riesce ad avere il proprio responso, ad agosto 2024. Purtroppo, la diagnosi è infausta e per diversi lunghissimi mesi fa la spola dalla Sicilia a Milano con la speranza di poter rallentare il male.

Difficile non considerare determinante quel ritardo, ed altrettanto difficile non cedere ad un cieco risentimento verso ignoti signori di esso responsabili. Intanto, però, Cristina non c’è più e il momento duro e buio del distacco si è abbattuto su di noi.

Se sicuramente siamo tutti degli animali con emozioni, è altrettanto vero che i sentimenti vanno razionalizzati. L’unico modo, a mio sommesso parere, consiste nell’esprimere per mezzo delle parole sia ciò che esperiamo sia quello che ci dice la testa in un simile frangente. È, in effetti, del tutto umano provare non tanto a comprendere, quanto a recuperare una dimensione prettamente umana dall’intera vicenda. È proprio l’esempio di Maria Cristina Gallo stessa ad indicare la strada: «Ormai il male è stato compiuto […] la mia battaglia non nasce dal rancore, ma dal desiderio di cambiare le cose affinché si possa garantire in futuro una sanità efficiente ai nostri figli». Non per sé, ma per gli altri; non una giustizia che in qualche modo ripari ad un torto personale patito, ma una giustizia che ripari possibili torti futuri. In questo passaggio sta tutta la saggezza morale di Cristina, ma anche un possibile orizzonte capace di umanizzare una vicenda altrimenti incomprensibile. Saputo l’esito e compresa la lunga catena di responsabilità, Cristina ha trasformato gli ultimi mesi di vita in un impegno operoso volto a far transitare una naturale rabbia per un torto subito in un’azione volta a prevenire future storture. Non la soddisfazione di una giustizia personale, in qualche modo, e giustamente, attesa, ma l’intenzione di praticare la giustizia, in favore di altri. Per la filosofa statunitense Martha Nussbaum, siffatto modo di procedere, proprio di grandi figure come Martin Luther King o Nelson Mandela, non ha soltanto il pregio di trasformare in senso positivo la rabbia esperita in prima persona, ma anche di riannodare i fili spezzati tra l’io ingiustamente oppresso e la comunità ospite (M Nussbaum, Rabbia e perdono, La generosità come giustizia, Il Mulino, Bologna, 2017).

Praticare la giustizia, entro siffatta cornice, significa anche, ma non solo, spostare il discorso dalla dimensione meramente personale a quella propriamente sociale e generale. Non la giustizia per sé, ma la giustizia come sistema sociale erga omnes. Come al riguardo, ha recentemente ricordato il marito, durante un’intervista televisiva, la malattia è democratica, la medicina no. E perché non lo è? Perché gli esseri umani, con le loro azioni, ed omissioni, possono impedire che le cure siano efficaci per tutti. Un dramma familiare diviene improvvisamente un possibile faro di speranza nel buio della disperazione. Forse, è possibile non accettare con rabbia una disgrazia, ma trasformare quest’ultima in redenzione. A questa missione, Cristina ha lavorato nel tempo rimastole, non cedendo alla pur comprensibile rabbia personale, e credendo nella possibilità di ricavare buoni frutti dal male subito. In una delle ultime occasioni, ha dichiarato che «La mia battaglia non è né rancore e né rabbia, ma un modo per cambiare le cose affinché si possa garantire una sanità efficiente in futuro per i nostri figli». La rabbia è un sentimento che tende a chiudere il soggetto entro i confini del proprio ego: una reazione umanamente comprensibile, forse anche una risposta difensiva rispetto a ferite ricevute dall’esterno, ma improduttiva socialmente. Il risentimento, che spesso si accompagna alla rabbia, recide i legami tra la soggettività e la comunità dei propri simili. In termini morali, la rabbia confina il soggetto nell’inazione fine a sé stessa. E per difficile che possa essere, la rabbia può essere trasformata in senso positivo, transitando dalla chiusura in sé verso quel legame sociale che accomuna noi con gli altri. La rabbia di transizione, infatti, apre al futuro, alla speranza, al nesso di noi con altri. Ma perché ciò accada, colui che esperisce la rabbia, proprio come risposta ad un torto comunque subito, deve adoperarsi in prima persona perché l’energia pulsionale fluisca verso l’esterno. Non è semplice, non è automatico; è, al contrario, indice di forza e di acume. Il soggetto rancoroso si chiude sostanzialmente in sé stesso e, vittimisticamente, attende la dovuta ricompensa. L’idea di torto, d’altra parte, implica che terzi riparino al danno. La domanda di giustizia in questo caso è solamente riparativa o compensativa: a tanto danno tanta riparazione. La direzione è tutta interna all’ego della vittima, che non lascia alternative.

Il caso di Maria Cristina Gallo è diverso: la rabbia non ha condotto al vicolo cieco della propria condizione personale, sospesa in attesa della dovuta riparazione, ma ad un’idea di comunità nel cui alveo recuperare una piena umanità. Dalla rabbia sorda alla giustizia sociale, dal vittimismo querulo all’azione, dalla giustizia invocata e reclamata per sé alla giustizia messa in pratica nelle relazioni umane.

E questo è un esempio positivo di cui abbiamo un gran bisogno: dalla filosofia della giustizia astratta alla giustizia come trama concreta della società umana. Cristina non ha preteso giustizia per sé stessa, ma un sistema che possa garantirla a chiunque.

Come ha affermato durante le esequie uno dei due figli di Maria Cristina Gallo, che peraltro è stato anche mio alunno tanti anni fa, «Tu curavi le persone, curavi la relazione. Spargevi pace in maniera disinteressata e davi forza di andare avanti a tutti, nonostante le indicibili sofferenze». Non abbiamo bisogno di rabbia; abbiamo bisogno di praticare giustizia.

Per Cristina, per tutti noi.

 

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