
Letteratura
Come per le diete
L’amministratore delegato e il capo del personale di una grande azienda approfittano di una pausa pranzo per parlare di motivazione delle risorse.
E salta fuori la “sindrome dei dispacci”…
Era una giornata molto afosa.
Mambretti se ne stava nella sua stanza a leggere le molte email che gli erano arrivate quella mattina, quando era entrato nella sua stanza il Grande Capo.
“La voglio sottrarre per un paio d’ore ai suoi incubi ad aria condizionata“, gli aveva detto (citando il titolo, che lo aveva colpito, di un libro che non avrebbe mai letto) “Andiamo a pranzo insieme alla Casetta Gialla.”
“Volentieri”, aveva risposto Mambretti, che in realtà avrebbe preferito saltare il pranzo e godersela, l’aria condizionata.
Si fronteggiavano adesso sotto il pergolato della trattoria.
Inappuntabile, come sempre, il Grande Capo.
Senza giacca, né cravatta e con una camicia del tutto implausibile l’altro.
“Il problema”- esordì il Grande Capo – “è capire come motivare al meglio le persone che lavorano con noi. Ci sono diversi episodi recenti che mi fanno pensare che non facciamo abbastanza su questo versante.”
I due bevvero un bicchiere di vino gelato e si avvicinarono al tavolo degli antipasti, fermamente decisi a cedere ad ogni tentazione.
“La dieta comincerò a farla lunedì”, bofonchiò il Grande Capo, accarezzandosi la pancia.
“Secondo me”- disse Mambretti, quando tornarono a sedersi sotto il pergolato- “la prima e più importante causa di demotivazione è la conflittualità. Che è un fenomeno che riguarda poche persone, ma ha un alto potere inquinante.”
“In che senso?”
“Nel senso che c’è un limitato numero di persone che trova nel conflitto il proprio naturale brodo di coltura. Sono quelli che pensano continuamente alle rispostacce che hanno intenzione di dare ai propri interlocutori, pregustando l’altrui smarrimento e sconcerto. Per gli altri, la maggioranza, la conflittualità è solo sgradevolezza di rapporti, lentezza di soluzioni, voglia di confrontarsi con gli altri che viene meno, insomma: demotivazione allo stato puro”.
Il Grande Capo guardò Mambretti con aria perplessa: “Secondo lei il nostro è un ambiente altamente conflittuale?”
Mambretti posò la forchetta, bevve un sorso d’acqua minerale, quindi fissò l’altro e disse: “Sicuramente sì. Ma prima di spiegarle perché vorrei descriverle una situazione. Ci sono due colleghi, che considero capaci, che sono entrati ormai da tempo in quella che io chiamo la sindrome dei dispacci”
“Dispacci?”
“Beh, mi piace parlare di dispacci perché questi due colleghi, pur avendo ruoli complementari che dovrebbero spingerli a collaborare al meglio per gli obiettivi comuni, per tutta una serie di motivi, che non conosco, sono ormai entrati nella logica degli schieramenti militari. Qualsiasi cosa faccia uno schieramento, l’altro risponde per le rime. Entrambi, poi, essendo anche miei amici personali, vengono da me, sventolando i dispacci dello schieramento avversario e raccontandomi la loro versione dei fatti. Una versione dalla quale emerge puntualmente che il narrante è disponibile al dialogo, in buona fede, insomma una specie di San Domenico Savio dell’integrazione aziendale, mentre l’antagonista è animato solo dalla volontà di confliggere e avere la meglio piuttosto che da quella di risolvere i problemi.”
“E lei cosa gli dice?”, domandò il Grande Capo.
“Io ogni volta chiedo: ma perché non provate a parlarvi invece di scrivervi in continuazione? Rispondono sempre che lo hanno già fatto. Purtroppo, sostengono, la pervicacia e la malafede dell’antagonista hanno reso del tutto improduttivo l’incontro. Al che io, immancabilmente, ma inutilmente, chiedo sempre: perché, scrivendovi risolvete qualcosa?”
“E loro?”
“Loro, evidentemente, si divertono così. Li ho letti quei dispacci. Credono entrambi di essere originali e icastici, sono in realtà prolissi e prevedibili. Nei loro scritti le opinioni dell’interlocutore sono descritte come “quanto meno opinabili”, “prive di fondamento”, “difficilmente comprensibili”. Abbondano espressioni come “abbiamo appreso con stupore”, “ci riserviamo di”, “vi notifichiamo che”. Insomma un ibrido tra linguaggio curiale e avvocatesco. Alla fine lo scrivente si rende sempre disponibile “per un ulteriore approfondimento” e i saluti sono immancabilmente cordiali!”
“Bene, ho capito quello che fanno i due che lei ha portato ad esempio”- disse a quel punto il Grande Capo, posando la forchetta- “adesso però mi dica perché il nostro contesto organizzativo favorirebbe la conflittualità”
“Il problema è che non siamo abbastanza chiari nel distinguere e far distinguer la differenza tra competitività e conflittualità. Quando assumiamo le persone cerchiamo sempre qualcuno che abbia idee , determinazione e chiarezza nel rappresentarle, volontà di farle valere.”
“E non è giusto?”
“Certo che sì. Il problema comincia dopo. Quando, piuttosto che incoraggiarli a rappresentare il proprio pensiero e a confrontarsi, preferiamo talvolta dare loro il mandato di prevalere sugli altri, di tornare vincitori. Ci caschiamo tutti”
“Forse è così. Ma mi dica piuttosto una cosa. Lei diceva poco fa che quelli che prediligono l’approccio conflittuale sono una minoranza. Ma se la maggioranza è correttamente orientata, non è possibile isolare gli altri?”
“Si, sarebbe possibile. Il fatto è che, nonostante il gran parlare che facciamo tutti di integrazione, spesso facciamo far carriera proprio a coloro che sono orientati al conflitto.”
Il Grande Capo pagò il conto e si alzò.
“Non l’ho rassicurato come desiderava“, pensò Mambretti.
In macchina, mentre rientravano in sede, i due ripresero un tema di cui parlavano da giorni: la nomina del responsabile degli Acquisti.
Il Grande Capo era propenso alla nomina di un personaggio noto per la sua determinazione, ma anche per la sua puntigliosità e aggressività.
Mambretti, contrario a quella scelta, decise di approfittare di quel momento per fare un ultimo tentativo.
“Lo sa come lo chiamano?”- disse- “L’istrice idrofobo. Una definizione che descrive bene due sue caratteristiche: la scarsa capacità di ascolto e l’estrema irascibilità”
“A me non ha mai dato la sensazione di essere un tipo del genere”
“A lei”, sottolineò, con prudenza, Mambretti.
“Comunque – tagliò corto il Grande Capo – su di lui ho già deciso. Non creda però che le cose che mi ha detto poco fa non mi abbiano colpito. Sicuramente in futuro dovremmo stare più attenti nel soppesare, oltre alla determinazione, anche equilibrio e ragionevolezza delle persone da premiare”
“Diciamo allora che cominciamo da lunedì prossimo. Come per le diete”
“Bella battuta!”, disse il Grande Capo. Senza ridere.
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