
Letteratura
Com’è profondo il mare
Il poeta faorese Kim Simonsen parla nei suoi versi di una natura nutrita dall’acqua, destinata a decomporsi e a ricrearsi nel flusso e riflusso del tempo, collegando in una rete intercomunicante cielo, terra e tutti gli esseri viventi.
L’arcipelago delle Fær Øer, appartenente alla Danimarca, è situato tra l’Atlantico settentrionale e il Mar di Norvegia, e a metà strada tra le Isole Shetland e l’Islanda. Gli abitanti parlano una lingua più simile all’islandese che a quella scandinava, e in questa sua non facile lingua nativa Kim Simonsen, poeta e docente di letteratura a Reykjavik, ha composto i versi recentemente pubblicati dalle edizioni I libri di Mompracen con un titolo lunghissimo e suggestivo: La composizione biologica di una goccia di acqua di mare porta con sé l’eco del sangue nelle mie vene. Curatore del volume è Giovanni Agnoloni, che nell’approfondita e appassionata postfazione si sofferma sia sulla personalità di Simonsen – da lui conosciuto parecchi anni fa – sia sulla propria traduzione dall’edizione inglese del volume, sorretta da un puntuale confronto con la specifica terminologia faorese.
Già dal titolo possiamo intuire quali sedimentazioni di pensiero nutrano la raccolta: la convinzione, intellettuale e morale, che esseri umani e non umani appartengano a un’unica realtà fisica condivisa, e in particolare che sia l’acqua, nelle sue varie nature costitutive, il comune denominatore della fisicità universale. Le isole Fær Øer (dove Ingmar Bergman si era ritirato e ha voluto essere seppellito nel 2007, dopo avervi girato i suoi film più emotivamente intensi), sono battute dal vento e avvolte nella nebbia, sferzate da piogge violente per la maggior parte dell’anno. In questo paesaggio, umido e malinconico, sono ambientate le liriche di Simonsen, nutrite non solo da una visione olistica (in cui convergono tracce di eco-criticismo, post-umanismo e neo-materialismo), ma anche da profonde conoscenze biologiche, chimiche, geografiche.
Le quattro sezioni di cui si compone il volume (Prima mattina sulla terra, La storia naturale dello spinarello, La filosofia dei pesci, Umani) abbracciano scenari diversi, da quelli più personali e intimistici ad altri che prendono in considerazione ambienti e specie animali, vegetali, minerali tutte in qualche modo fluttuanti, immerse, galleggianti nel mondo liquido: fiumi, laghi, mari, preesistenti a noi e destinati a durare oltre al nostro limitato ciclo vitale di esseri umani, in un moto ondoso perenne, nel “flusso e riflusso del tempo”. Ad apertura del libro, Simonsen racconta del ritorno alle sue isole dopo vent’anni di assenza negli ultimi giorni di vita del padre, fino al suo decesso (“Stamani è morto mio padre; / per tutta la vita ha navigato / gli oceani del mondo”, “Forse c’è qualcosa che non riusciamo a vedere / e di cui nella mia famiglia non parlavamo mai, / ed è per questo che sono tornato nel luogo in cui nacqui / come la trota di mare nascosta nel fiume / che scorre attraverso il villaggio”. Nella sua “prima mattina / sulla terra / senza un padre” il poeta cammina sulla spiaggia in “sciaguattanti stivali di gomma verde”, osservando le onde che si infrangono tra le rocce, e prendendo nota della vita brulicante che lo circonda nel mare (meduse, alghe, attinie, patelle e mitili), nell’aria (un pettirosso e vari insetti), tra la vegetazione (lombrichi, scarafaggi, funghi, un gatto, una lepre, pecore nere dello Shetland), consapevole di essere lui stesso parte di una natura in continua trasformazione e disfacimento: “Sono virus, / sono alga, / sono ciò che è ammuffito. // Sono uno / che sa che, / se non altro, tutti questi agenti / un giorno / lo decomporranno / proprio come l’afide / e la lumaca spagnola / divorano la pianta”. E questa consapevolezza torna negli ultimi versi della raccolta: “Ben presto mio padre s’infrangerà come un’onda contro gli scogli e sparirà”.
L’essenza fisica del reale costituisce “una rete intercomunicante” che collega cielo, terra, acque e viventi in “uno stato di flusso liqueforme” in cui “il corpo è una sorta di anima, / e che è attraverso quest’anima / che il mondo entra in noi, / che noi entriamo nel mondo”, in un’eterna distruzione e rinascita che si protrae da millenni: “L’oceano sta erodendo queste sponde; / i flutti s’infrangeranno su questa terra / finché l’ultimo faraglione non sarà abbattuto”. Perché “dall’oceano siamo venuti tutti, / all’oceano tutti ritorneremo”, come già affermava Anassimandro, asserendo che “tutto ciò che sta morendo / ritorna all’elemento / da cui proveniva”. E noi veniamo da lì, da un amnio che ci ha formato e cullato, grande utero marino che di nuovo ci accoglierà, cellule piene d’acqua come siamo, pronte a scioglierci “nell’offuscarsi del flusso evolutivo”. Quindi nelle due parti centrali della silloge, l’attenzione del poeta si sofferma sui pesci, nostri progenitori, dai minuscoli spinarelli alle trote con cui giocava da bambino, sapendo che bisogna dare voce a chi non ha voce, ma esiste, vive, sente esattamente come noi: “Ascolta ciò che non può essere udito, e poi scrivine. / Ascolta gli alberi più antichi, rendi omaggio a quelli morti da poco. / Ascolta il tempo in cui gli oceani erano ancora giovani. / Parla con la notte invernale”. Siamo umani, ribadisce Kim Simonsen. “Siamo un paesaggio in mezzo ad altri”, “Siamo umani, / ma somigliamo ad altri esseri viventi / dai corpi non umani”, “Siamo umani / anche quando il Neanderthal che è in noi / afferra una mosca / e, per una frazione di secondo, / valuta se mangiarla”. Siamo umani, ripete il poeta, e siamo anche animali, pesci, batteri, virus, alghe, funghi, manifestazione di un’energia vitale della materia che ci rende parte di un tutto cosmico pulsante, vibrazioni destinate a perpetuarsi nel cambiamento, “rigagnolo tra epoche diverse”.
KIM SIMONSEN, LA COMPOSIZIONE BIOLOGICA DI UNA GOCCIA DI ACQUA DI MARE PORTA CON SÉ L’ECO DEL SANGUE NELLE MIE VENE
I LIBRI DI MOMPRACEN, FIRENZE 2025
Traduzione e cura di Giovanni Agnoloni. Pagine 95
Mi sento in perfetta sintonia con questo poeta. La cultura di oggi nel mondo sembra amare i conflitti, voler separare uomini e cose. Ma siamo un’unica realtà, dal virus all’uomo. Ce lo spiega assai bene Aristotele nella Historia animalium. Lo aveva intuito Anassimandro e confermato Plotino. Noi stessi animali. Le religioni monoteistiche hanno invece voluto separare gli uomini dalla natura, come non ne fossero una parte. Ma se vogliamo evitare l’estinzione, per una stupida arroganza di onnipotenza, dobbiamo arrenderci a questa realtà: di essere una parte piccolissima di un tutto che comunque sopravviverà alla nostra scomparsa. Forse perfino felice, il tutto, di essersi liberato di questo animaletto supponente, aggressivo e prepotente. Come immagina Svevo nell’ultima pagina della Coscienza di Zeno. Ecco, mi piacerebbe conoscere la lingua di questo poeta, per condividerne ancora più intimamente la visione. Grazie, Alida, di avermelo fatto conoscere. Ci sento molto Kirkegaard e Bergman nei suoi versi.