Letteratura
Felicità illusorie di donne illuse
Otto racconti della scrittrice neozelandese Katherine Mansfield: avere cent’anni e non dimostrarlo.
La collana Piccoli grandi libri dell’editore Garzanti ha l’apprezzabile merito di offrire ai lettori pregevoli testi (in prosa e in versi, cartacei o digitali), con cui trascorrere un’ora del proprio tempo, magari durante un tragitto in treno, o in una sala d’aspetto, a un prezzo irrisorio. Tra le ultime proposte troviamo autori come Salinas, Fitzgerald, Dostoevskji, Caproni, Woolf, Lovecraft e questo piccolo gioiello di Katherine Mansfield, Felicità. Sono otto racconti brevi, di cui il primo dà il titolo alla raccolta, ed è giustamente il più noto e ammirato. Hanno tutti come protagonista una figura femminile, in genere appartenente alla middle class americana, se non addirittura a un ceto decisamente benestante e socialmente influente. Mansfield (1888-1923) li ha pubblicati tra il 1920 e il 1923, e dopo un secolo mantengono ancora tutta la loro freschezza e abilità intuitiva, segnata da una sottile malinconia che mai si appesantisce di rancore o lamentosità.
Le signore narrate in queste novelle inseguono con giovanile ingenuità un desiderio intenso di felicità personale, pur sapendolo o temendolo effimero, all’interno del loro ruolo familiare e coniugale, scontrandosi infine con cocenti delusioni e umiliazioni, che tendenzialmente sono portate a non riconoscere, a rimuovere, nel tentativo di non soffrire troppo, e di non veder sbriciolarsi il loro universo affettivo. Bertha Young, ad esempio, protagonista del primo racconto, è una giovane donna appagata, moglie di un affermato uomo d’affari, madre di una bella bambina, che vive in un’elegante abitazione con l’appropriata servitù pronta a soccorrerla nelle incombenze domestiche e nei festosi ricevimenti allestiti per amici e amiche influenti. Consapevole dei suoi privilegi, li vive con orgogliosa spensieratezza e senza complessi, radiosa nella propria fortunata condizione: “Cosa ci puoi fare se hai trent’anni e, svoltando l’angolo della tua via, ti invade all’improvviso una sensazione di felicità – felicità assoluta! – quasi avessi inghiottito un pezzo luminoso del sole di fine pomeriggio e quello ti ardesse nel petto, sprizzando una scarica di scintille in ogni particella, fino a ogni dito delle mani e dei piedi?”, “Davvero – davvero – aveva tutto. Era giovane. Lei e Harry erano più innamorati che mai, andavano d’accordissimo ed erano davvero grandi amici. Aveva una bambina adorabile. Non dovevano preoccuparsi per i soldi. Avevano questa casa col giardino assolutamente adeguata. E amici – amici moderni, interessanti, scrittori, pittori, poeti o persone appassionate di questioni sociali – proprio il genere di amici che desideravano. E c’erano i libri, e c’era la musica, e aveva trovato una sartina meravigliosa, e in estate sarebbero andati all’estero, e la nuova cuoca faceva delle omelette superbe…”. Bertha è molto felice, quindi, addirittura raggiante, e lo rimane nel corso della cena offerta a ragguardevoli ospiti, condita di complimenti reciproci, sorrisi, pettegolezzi, commenti sulla moda e sulla politica. Solo quando, a fine serata, tutti si accomiatano, si accorge di un inequivocabile gesto affettuoso del marito nei riguardi di una raffinata commensale: sospesa e incredula, preferisce non interrogarsi sull’accaduto e sulle amare sorprese che potrebbe riservarle il futuro, volgendo uno sguardo timoroso, ma comunque grato, alla bellezza immobile del giardino oltre i vetri della finestra.
La stessa normalità agognata e improvvisamente infranta da un’improvvisa rivelazione fa da sfondo agli altri sette racconti, in cui l’intreccio degli avvenimenti rimane in secondo piano rispetto alla descrizione attenta delle atmosfere domestiche, dei sentimenti dei personaggi, senza osare approfondimenti psicologici, sfiorati appena con lievità sensibile e non superficiale, attenta alle increspature delle anime. Nessuna recriminazione o rivendicazione femminista, però: solamente un’adesione solidale alla sofferenza delle donne, e uno sguardo indulgente sulle fragilità umane. Ecco quindi la ragazzina imbarazzata dalle attenzioni seduttive del maestro di pianoforte (“La sua voce è troppo, troppo gentile”); i due amanti che si rivedono dopo sei anni, riscoprendo in se stessi le stesse meschinità e gelosie del passato; il tormentoso viaggio in carrozza di due sposi che non si sopportano; l’anziana che per evitare la solitudine frequenta il parco sotto casa spiando le vite altrui; la debuttante complessata al primo ballo in società; due sorelline povere esiliate dalla scuola dei ricchi; una domestica innamorata del suo canarino, a cui Katherine Mansfield fa pronunciare la frase più rivelatrice di tutti gli otto racconti: “Forse non importa poi tanto cos’è che si ama al mondo. Ma qualcosa si deve amare”.
KATHERINE MANSFIELD, FELICITÀ – GARZANTI, MILANO 2025
Traduzione di Alba Bariffi, pagine 75
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