Letteratura
I versi innamorati di un poeta turco
L’antologia recentemente proposta da Bompiani offre un interessante ritratto letterario del poeta turco Cemal Süreya
Cemal Süreya (1931-1990) è stato un poliedrico intellettuale turco (fondatore di riviste letterarie, saggista, vignettista, traduttore dal francese), e soprattutto poeta, tra i più amati e iconici del suo paese. I suoi versi vengono tuttora riprodotti sui manifesti pubblicitari, trascritti e imitati sui social (con l’hashtag #şiirsokakta – “poesia in strada”), dipinti sui muri, imparati a memoria grazie alla loro icastica musicalità, l’esibita sensualità e l’assenza di qualsiasi pretestuoso cerebralismo. Economista di formazione e funzionario di alto livello in diversi ministeri nazionali, Süreya ebbe una vita familiare e sentimentale movimentata, e proprio dalle sue turbinose esperienze affettive trasse particolare ispirazione per la propria scrittura. Attivo letterariamente dalla fine degli anni ’50, la sua produzione poetica ha attraversato diverse fasi: dal simbolismo più visionario al descrittivismo oggettivo, ma sempre rifuggendo da un troppo ostentato impegno politico e sociale e dallo sperimentalismo linguistico: i suoi versi accentuavano invece la carica ironica, l’aspetto erotico e l’abbandono sensuale. Così infatti il poeta si esprimeva, difendendo la propria linea poetica: “Nel suo senso più nobile, l’erotismo è il tentativo di cambiare il mondo […]. Lo humour e l’erotismo sono due aspetti che, senza che me ne accorgessi mai, sono penetrati nella mia opera. Evidentemente sono riflessi della mia vita e delle mie letture. Ma ho sempre sentito anche il desiderio di trasferire questi due aspetti, da soli o insieme, su un piano lirico, perfino tragico”.
Nelle prime raccolte il tema amoroso è dominante, nel trasporto esaltante di un canzoniere dalla forza comunicativa immediata, basato su un lessico semplice, volutamente banalizzato e colloquiale, che utilizza modalità espressive vicine alla canzone, con refrain facilmente memorizzabili: “Ti prendo le mani e le carezzo fino al mattino / Le mani tue bianche e ancora bianche e bianche / Sono bianche da farmi paura le tue mani / In stazione il treno si ferma un po’ / A volte sono l’uomo che non trova la stazione”, “Guarda che non mento lo giuro / Sei così bella che più non si può // Ecco anche i tuoi occhi sono qui / La tua coda dell’occhio è abituata a vivere qui / E meno male ch’è qui sennò cosa farei”, “Ora ti alzi e te ne vai. Va’. / I tuoi occhi non restano certo, vanno via. Vadano pure”, “Anch’io sono nudo ma non mangio mele / Non fanno per me le mele così / Ne ho viste tante di mele così ohooo”. Il poeta ribadisce con forza la gioia procurata dall’innamoramento e dal rapporto fisico, dalle bellezze naturali, dal desiderio di felicità in una Istanbul repressa dalla cappa poliziesca e religiosa, cui non risparmia critiche risentite: “Sono arrivate le canzoni, non potete farne a meno / Le canzoni, ovvero la pace, ovvero il cielo /… Sono arrivati gli Allah, e non c’è modo di liberarsene”, “Stando all’egregio Dio, giacere con te è peccato, ci mancava solo questo”.
Nelle pubblicazioni che si succedono dal 1965 alla morte, Cemal Süreya assume tonalità più accorate e malinconiche, anche nella descrizione delle delusioni e dei tradimenti amorosi (“Io sono andato via da una candida insonnia / Chinando il berretto sul mio dolore / Donna sono stato esiliato sul tuo viso / Eri in ogni strada buia ogni angolo nascosto//… Si sa che sono maestro nell’arte del lamento / Nutro con la mia anima questi uccelli di tristezza”), lasciando spesso prevalere argomenti di un’intimità struggente, mentre l’ironia ha un sapore amaro e sconsolato: “Poi andava a lavarsi la voce / Per aver fatto l’amore al telefono per ore”, “C’è questa tua voce sinuosa sai / Oscena come un donnone che mangia il gelato, // Comica quanto un sedere poggiato alla ringhiera del balcone”, “Con frasi d’amore e tutto il resto / Non una, non dieci, ma tutte le notti del buon Dio / Mia moglie mi tradiva con la mia ombra”, e in una ventina di poesie dedicate a diverse occasioni ispiratrici il sorriso si tinge di rimpianto nella conclusione sempre uguale: “T’avessi amata anche solo per questo”.
Nella maturità del poeta, il lavoro testuale diventa più complesso, attraverso l’allungamento dei versi e nella loro giustapposizione secondo processi associativi sonori e visivi, nelle continue ellissi-ripetizioni-elenchi marcati dall’assenza di punteggiatura, con un ritorno a formule tipiche del surrealismo. Anche i temi si differenziano, più frequenti risultano i richiami storici, mitologici, religiosi e le esplorazioni geografiche del territorio turco, come nelle articolate composizioni Città vista dall’esterno, Medioriente, Breve storia della Turchia. Si avverte nelle ultime produzioni la consapevolezza dell’ingiusta prevaricazione del potere sulla libertà individuale, il peso di una violenza patita collettivamente a cui tuttavia risulta quasi impossibile ribellarsi. La prepotenza sofferta dal popolo turco viene riconosciuta ideologicamente, ma accettata con rassegnato fatalismo, e non troviamo nei testi di Süreya un esplicito dissenso, o un appello all’insubordinazione: “Ci siamo spezzati e ci spezziamo ancora // Nessuno potrà toccare la nostra innocenza”, “Il giorno in cui la libertà arriva / Quel giorno è vietato morire!”, “Siamo abituati alle mancanze o forse all’infelicità?”, “Sei tu la mia patria, o precipizio”. Osserviamo invece una continua aspirazione alla purezza del sentimento, un’ansia di elevazione rispetto alle costrizioni sociali, mentre prevale la nostalgia di rapporti autentici tra gli esseri umani: sentimenti che trovano la loro espressione negli assidui richiami alla luminosità del cielo, al volo degli uccelli, all’indifesa verginità della natura.
La sensazione che rimane al lettore dopo aver scorso le ultime pagine del volume di Süreya Tutte le canzoni di Istanbul è di aver scoperto un poeta che ha fatto della scrittura non solo un metodo di esplorazione lirica della propria interiorità, ma soprattutto il modo di espandere nel canto un’energia vitale sovrabbondante, capace di investire i diversi ambiti dell’esistenza. Intento che è stato ben riassunto in questo suo smagliante verso privo di punto interrogativo, perché afferma e non domanda: “A che serve la poesia se non trascende il buonsenso”.
CEMAL SÜREYA, TUTTE LE CANZONI DI ISTANBUL – BOMPIANI 2025
Traduzione e cura di Nicola Verderame. Testo turco a fronte, p. 336
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