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Letteratura

In margine alle scuole di scrittura creativa. Le insidie dello storytelling

Fatti recenti di cronaca riguardanti alcune scuole di scrittura creativa hanno richiamato la nostra attenzione sull’uso manipolativo del racconto: lo storytelling

27 Giugno 2025

In margine alle scuole di scrittura creativa Le insidie dello storytelling. Appunti di lettura

Due libri

1) Christian Salmon – Storytelling– Fazi, Roma 2008

2) Peter Brooks – Seduced by story. The Use and Abuse of Narrative – Nyrb New York 2022, hanno intentato una ricostruzione precisa del fenomeno dello storytelling sottolineando il pervasivo e grottesco ricorso alle  storie in luogo del ragionamento logico-discorsivo denunciando il rischio di manipolazione del racconto.

1) Christian Salmon, nel suo libro Storytelling, analizza come l’arte di raccontare storie sia stata adottata in vari ambiti, dal management alla comunicazione politica, trasformandosi in una tecnica di controllo e potere. Egli osserva che lo storytelling è diventato una forma di discorso dominante, capace di trascendere confini politici, culturali e professionali, realizzando quello che i sociologi chiamano “svolta narrativa” o “epoca narrativa”. Tuttavia, Salmon avverte che storie seducenti possono tramutarsi in menzogne o propaganda, ingannando le persone offrendo spiegazioni rassicuranti che celano contraddizioni e complicazioni

Il libro di Salmon intende ripercorrere l’evoluzione e analizzare lo sviluppo senza precedenti di questi usi strumentali della narrazione. Qual è la loro origine? Come spiegare il loro successo negli Stati Uniti (poi in Europa) in attività finora rette dal pensiero razionale o dal discorso scientifico? Quali sono gli agenti della loro produzione, quali sono gli scopi e le figure della loro costruzione simbolica? Per quali oscure vie queste applicazioni si diffondono dagli apparati centrali del potere fino alle pratiche più individuali? Si diffondono dall’alto in basso o obbediscono a logiche di contagio da un campo applicativo all’altro? Cosa giustifica l’approccio narrativo nelle scienze sociali? Quale ruolo deve essere attribuito alla tecnica o all’ideologia nella loro proliferazione?

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Una volta si soleva ripetere: «È solo una storia, dammi i fatti», oggi con una particolare tecnica del racconto, le “storie” hanno invaso i territori della realtà e si sono sostituiti ad essi, ai fatti stessi. Tale tecnica si chiama storytelling, ovvero l’ ’’arte di raccontare storie”. Lo storytelling, a lungo considerato come una forma di comunicazione riservata ai bambini, praticata esclusivamente nelle ore di svago e analizzata solo da studi letterari (linguistica, retorica, grammatica testuale, narratologia ecc.), ha conosciuto in effetti negli Stati Uniti, a partire dalla metà degli anni Novanta, un successo sorprendente, che si è diffuso come tenica di  persuasione e talora di manipolazione che sostituisce le vecchie prassi logico-doscorsive a favore di racconti e storie che hanno il vantaggio di mostrarsi meno frontali, più suasivi, più infiltranti nei cervelli, più stordenti e subdoli, tali da smarginare i contorni della realtà dei fatti, e sostituirsi ad essi. Non più la cosa in sé ma la narrazione su di essa, tutto ciò che si riesce a narrare su di essa.

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Non c’è ambito dell’agire umano, specie della persuasione all’intrattenimento, dalla politica al marketing, all’ addestramento militare, agli stage di formazione aziendale che non si possa volgere in storia, parlando alla fantasia più che all’intelletto. (In termini antichi è il prevalere del “mythos” o racconto sull’ apophàntikos lògos o discorso dichiarativo su cui alla fine se ne può stabilire la verità o la falsità attraverso il procedimento logico-discorsivo o ragionamento appunto. Ndr).

Che vogliate condurre a buon fine un negoziato commerciale o far firmare un trattato di pace a due fazioni rivali, lanciare un nuovo prodotto o far accettare a un gruppo di lavoratori un importante cambiamento, compreso il loro stesso licenziamento, concepire un videogioco “serio” o curare i traumi di guerra dei soldati, lo storytelling è considerato come una panacea.

Il processo pedagogico di ricorrere alle storie in funzione persuasiva avviene attraverso alcune scuole di scrittura creativa o sezioni “ad hoc” di esse, in cui le tecniche di narrazione non hanno più come scopo l’ideazione e la strutturazione di “innocenti” romanzi ma quello più generale e diffuso di meccanismi di vendita di merci, di persuasione più o meno occulta dei consumatori, di ottundimento delle coscienze. Lo storytelling così inteso pare così essere il vero ‘core business’ di tali scuole che hanno intere sezioni (factories) ad hoc.

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Storytelling negli USA: mettere al servizio del Pentagono le competenze di Hollywood al fine di sviluppare nuove tecniche di intrattenimento. Perché non stavano ascoltando la storia con l’intelletto, ma con quel lato infantile che ancora conservavano. Il racconto è pre-razionale, si intuisce ed argomenta, e pertanto filtra nelle coscienze invigilate, sguarnite.

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È una forma di discorso che si impone in tutti i settori della società e trascende i confini politici, culturali o professionali, realizzando quello che i sociologi hanno chiamato il narrative turn, poi paragonato all’ingresso in una nuova epoca, l’“epoca narrativa”.

Dalle origini della Repubblica americana fino ai giorni nostri, coloro che hanno cercato di conquistare la più alta carica hanno dovuto raccontare a chi aveva il potere di eleggerli delle storie convincenti sulla nazione, sui suoi problemi e, soprattutto, su loro stessi.

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Senza una storia giusta non c’è né potere né gloria. Finale del film di John Ford L’uomo che uccise Liberty Valance: «Quando la leggenda diventa un fatto, stampa la leggenda». Ma il guaio è che così i fatti spariscono.

Così Salmon conclude il suo studio.

«Il nemico è la storia»

«Le forme, i riti e i luoghi del dibattito democratico sono dunque sempre più sottomessi alle nuove tecnologie del potere. Nelle mani delle forze che ambiscono al controllo delle menti, le macchine narrative permettono ormai di gestire le trasformazioni mediatiche, economiche, finanziarie, politiche o militari, in un rapporto diretto con le persone che ne sono al centro. Paul Ricœur, spesso citato a sproposito dagli adepti dello storytelling per le sue analisi sul racconto e sulla costituzione narrativa dell’identità, ne dava l’allarme negli ultimi anni della sua vita: «Le minacce che attestano la fragilità dell’identità personale o collettiva non sono illusorie: è degno di nota che le ideologie del potere si adoperino, con un successo inquietante, nel manipolare queste fragili identità per mezzo delle mediazioni simboliche dell’azione». E ancora non sapeva, forse, a quali finezze sono giunte tali mediazioni simboliche. In una recente intervista, lo scrittore americano Don DeLillo ha ricordato il periodo in cui lavorava per un’agenzia di pubblicità: «Mi ha insegnato a diffidare della tecnica dello storytelling, usata oggi dai nostri uomini politici: per far ingoiare l’inaccettabile, essi raccontano storie semplici, in cui tutti possono riconoscersi. Forse la mia esperienza come pubblicitario mi ha spinto a scrivere romanzi dall’architettura molto complessa, a non scodellare al lettore la pappa fatta». Il successo dello storytelling e dei suoi vari modi di operare delinea dunque un nuovo campo di lotte democratiche: il suo oggetto non si limiterà più alla ripartizione degli utili del lavoro e del capitale, alle disuguaglianze a livello mondiale, ai problemi ecologici che minacciano il pianeta, ma comprenderà anche la violenza simbolica che pesa sull’agire degli uomini. Questa violenza tende infatti a influenzare le loro opinioni, a trasformare e strumentalizzare le loro emozioni, privandoli così dei mezzi intellettuali e simbolici per pensare la propria vita. La lotta degli uomini per l’emancipazione, che non può essere bloccata dall’emergere di queste nuove forze, passa per la fiera riconquista dei mezzi di espressione e di narrazione.»

Questa lotta dice Salmon è già cominciata.

Resistere, dunque alla tecnica manipolatoria dello storytelling. E restituire al racconto la sua innocenza secolare, certo ipnotica ma catartica, di un mondo altro che spesso è un mondo alto che ci aiuta a sognare, e una volta dissoltasi la nebbiolina, ad affrontare con consapevolezza le sfide del reale. Ciò  succede ovviamente se non siete don Chisciotte e Emma Bovary, ossia vittime del vice impuni che è la lettura. Da prendere anch’essa con la necessaria cautela.

2

Peter Brooks, nel suo saggio Seduced by Story: The Use and Abuse of Narrative, esprime preoccupazione per l’esplosione della narrazione nella vita pubblica, dove sembra essere accettata come l’unica forma di conoscenza e discorso che regola gli affari umani. Brooks sottolinea che, sebbene le storie siano sempre state parte centrale della vita umana, l’attuale mania per la narrazione porta a confondere la vita vissuta con il racconto di essa, dimenticando che le narrazioni sono costruzioni che possono ingannare e portare a delusioni e ingiustizie. Le grandi narrazioni che hanno segnato la storia dell’umanità, da Omero a Tolstoj e da Sofocle a Shakespeare, raccontavano miti universali e trasmettevano le lezioni delle generazioni passate, lezioni di saggezza, frutto dell’esperienza accumulata. Lo storytelling percorre il cammino in senso inverso: incolla sulla realtà racconti artificiali, blocca gli scambi, satura lo spazio simbolico di sceneggiati e di stories. Non racconta l’esperienza del passato, ma disegna i comportamenti, orienta i flussi di emozioni, sincronizza la loro circolazione. Lontano da questi «percorsi del riconoscimento» che Paul Ricœur decifrava nell’attività narrativa, lo storytelling costruisce ingranaggi narrativi seguendo i quali gli individui sono portati a identificarsi in certi modelli e a conformarsi a determinati standard.

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Il libro di Peter Brooks è stato tradotto in italiano con il titolo Sedotti dalle storie. Usi e abusi della narrazione. La traduzione è stata curata da Giuseppe Episcopo ed è stata pubblicata da Carocci nel 2023. In questo volume, Brooks analizza il ruolo pervasivo che le narrazioni hanno assunto negli ultimi anni in vari ambiti, dalla politica alla pubblicità, fino alle aule dei tribunali, evidenziando come le storie possano diventare strumenti di spiegazione e convincimento, ma anche di inganno.

Cosa pensare di questa nuova vulgata, secondo la quale ogni discorso – politico, ideologico o culturale – dovrebbe adottare una forma narrativa? Per spiegarlo, Peter Brooks sottolineava in particolare l’impatto crescente delle trasmissioni televisive nella vita quotidiana degli americani, anche tra i suoi colleghi di università: citava il caso di un amico che preferiva seguire la serie West Wing piuttosto che guardare il telegiornale sulla CNN. Secondo Brooks, la comunicazione politica e il giornalismo facevano un uso eccessivo (overused) della nozione di racconto.

Negli studios della telerealtà, come sulle console dei videogiochi, sugli schermi dei telefoni cellulari e dei computer, dalla camera da letto fino all’automobile, la realtà è ormai avviluppata da un filo narrativo che filtra le percezioni e stimola le emozioni utili.

Il mediato si è sostituito all’immediato

Il successo dello storytelling assomiglia infatti a una vittoria di Pirro, ottenuta pagando il prezzo della banalizzazione del concetto stesso di narrazione e della confusione tra una vera narrazione (narrative) e un semplice scambio di aneddoti (stories)

Gli usi strumentali della narrazione a fini di gestione o di controllo finiscono così per denunciare il contratto narrativo (che permette di distinguere la realtà dalla finzione e di sospendere l’incredulità del lettore per la durata di un racconto), imponendo a lettori trasformati in cavie ciò che il management chiama «esperimenti».

Attenzione dunque.

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