Letteratura
Posta elettronica
Breve storia di una ladra di libri
Subject: Caro Silvio
Date: Thu,22 oct 1998 16:58
From: Virginia@freemail.it
To : Silviomc@hotmailing.com
Caro Silvio, finalmente ho qualcosa di interessante da raccontarti.
Nell’ultima e-mail che mi hai spedito ti lamentavi del fatto che, mentre tu ti dilunghi per pagine e pagine nel raccontarmi come sei fatto e quanto ti accade, i miei messaggi sono sbrigativi e concisi o addirittura, come dicevi la settimana scorsa, elusivi.
Oggi ti dico subito che non è così perché ho qualcosa di succoso da raccontarti.
Se quanto mi è accaduto non fosse così tremendo e imbarazzante sarei felice del tutto.
D’altronde proprio perché tutto è stato così tremendo e imbarazzante, ho bisogno del conforto sagace e illuminato di una persona intelligente ed equilibrata come te.
Ma basta con le chiacchiere, veniamo ai fatti di ieri pomeriggio.
Pioveva forte quando ho lasciato l’ufficio e non avevo l’ombrello. Mi ero messa al riparo dal diluvio, infilandomi in una libreria del centro e girellavo abbastanza serenamente tra gli scaffali. Mi piace passare il tempo libero in libreria. Anche i più ottusi tra i librai hanno capito che non devono romperti le scatole chiedendoti cosa ti serve.
Ad un appassionato di libri non serve niente.
Gli basta starsene lì, tirando fuori ogni tanto un libro dallo scaffale, per poi annusarlo, accarezzarlo con le mani e con gli occhi, leggere qualche frase qua e là.
Qualche volta scatta l’innamoramento. O meglio la possibilità di un innamoramento.
Mi sembra di capire, leggendo le battute iniziali di un libro, che mi sarà facile ascoltarne la musica, entrare in sintonia con le vibrazioni che è stato programmato ad irradiare.
Oppure che la sua storia, per quanto riportata in tono scialbo e banale e finanche irritante, è destinata a tener desta la mia attenzione.
Sento che quel libro può essere un compagno discreto e divertente e decido che deve essere mio. In fondo da un libro, mi capita di riflettere, mi aspetto le stesse cose che mi aspetto da un uomo. Non apprezzo forse in maniera incondizionata proprio gli uomini che sanno essere discreti e divertenti? Non adoro forse l’amicizia che c’è tra noi due perché è divertente, ma discreta?Peccato che gli uomini che hanno queste caratteristiche siano veramente pochi. Sono senz’altro molto più fortunata con i libri
Ma torniamo a noi.
Me ne stavo in piedi tra due scaffali con in mano un volume della monumentale autobiografia di Casanova.
Sono volumi piccoli e compatti, di circa millecinquecento pagine l’uno. Le pagine sono in carta indiana, leggerissima. La rilegatura è blu con piccole incisioni dorate e una strisciolina di seta rossa funge da segnalibro.
Come sempre accade in questi casi, non so resistere.
Mi sono guardata attorno, ho verificato che non ci fossero occhi indiscreti, ho ascoltato attentamente i rumori che provenivano dalla saletta attigua, ho controllato uno per uno per uno tutti gli scaffali, per accertarmi che non ci fossero telecamere nascoste, quindi mi sono infilata con decisione il volume nella tasca interna dell’impermeabile e mi sono avviata verso l’uscita.
Aveva smesso di piovere, ma, a questo punto, ero così agitata, che sarei uscita di lì con qualsiasi tempo.
E’ una vita che non compro più un libro.
Fino a qualche tempo fa per il semplice motivo che non potevo permettermelo. Non avevo i soldi per comprarli e ritenevo ingiusto essere privata di quello che ritengo il piacere più grande della mia vita.
Quando la mia situazione economica è migliorata mi è rimasto questo piccolo vizio inconfessabile ( e infatti lo confido solo a te, che mi leggi da chissà dove, ben protetta da questo schermo lattiginoso come dalla grata di un confessionale).
Mi è rimasto il vizio per due motivi.
Il primo è che ho finito per attaccarmi in maniera maniacale al piccolo, ma inarrivabile momento di brivido che provo ogni volta che esco da una libreria con la refurtiva, il secondo motivo è che non sono mai stata colta con le mani nel sacco.
In genere sto molto attenta.
Evito le librerie dove hanno l’abitudine di magnetizzare i libri oppure quelle dove tengono le telecamere. Non le frequento nemmeno per curiosare. L’istinto di impadronirmi di un libro che desidero è talmente forte che in quelle librerie soffrirei come un mendicante affamato davanti alle vetrine di una rosticceria.
Ti scandalizza quello che ti sto raccontando?
Turba il tuo buonsenso di persona inappuntabile ed equilibrata?
Spero di no, ma se è così non so cosa farci. L’unica cosa che posso dire come mia attenuante è che spesso quando un libro non si rivela all’altezza delle mie aspettative, cerco di riportarlo dove l’ho preso. Insomma in una grossa percentuali di casi più che un furto il mio è un prestito forzoso.
Ma torniamo a ieri pomeriggio.
Ero già sulla soglia della porta della libreria, quando una vocetta querula e raggelante mi ha bloccato dicendomi la frase che da almeno una decina d’anni sentivo affiorare nei miei incubi peggiori:
“Dove crede di andare, signorina?”
Mi sono girata lentamente, cercando di pensare più in fretta che potevo a quale fosse la soluzione migliore per farla franca.
Purtroppo il mio viso, per l’imbarazzo e la paura, era diventato paonazzo e mi rendevo conto che questo agli occhi del proprietario della libreria era un irrimediabile segnale di colpevolezza. Ho cercato di farfugliare qualcosa, ma l’altro si era già impadronito del mio gomito e mi stava pilotando con fare deciso in una stanza del retrobottega.
Ero talmente impaurita che lo seguivo quasi in stato di trance.
Insomma, per fartela breve, quel verme aveva fatto installare delle piccole telecamere nelle salette della libreria. Evidentemente molto ben mimetizzate se io non ero riuscita a individuarle pur aguzzando la vista.
L’omino ha acceso uno schermo e con mio grande imbarazzo ero inquadrata in primissimo piano (mi chiedo ancora dove diavolo fosse sistemato quell’aggeggio) mentre mi guardavo attorno infilandomi il libro nella tasca interna dell’impermeabile.
Mentre osservavo impietrita le immagini che documentavano la mia poco encomiabile impresa con tanto di ora e data bene in vista sullo schermo in bianco e nero della ripresa televisiva, ho sentito lo scatto di un chiavistello.
Il libraio mi ha guardato con i suoi occhietti freddi e con voce beffarda mi ha detto :
“Vediamo se riusciamo a risolverla tra noi questa cosa”.
“Senta– gli ho risposto – le pagherò il libro, ma la prego non mi denunci, è la prima volta che faccio una cosa del genere e non so nemmeno perché l’ho fatta …”
“La prima volta un corno!– mi fa lui sempre gelido- sarà almeno la quindicesima volta che la vedo entrare qui dentro senza comprare nemmeno un tascabile. Chissà quanti libri mi ha portato via e chissà quanti avrebbe continuato a rubarne se non avessi messo le telecamere”.
Mentre diceva così aveva cominciato a baloccarsi con il telefono, come se fosse in procinto di chiamare qualcuno.
Io naturalmente ero terrorizzata.
Se il libraio avesse chiamato la polizia e mi avesse denunciato, avrei perso sicuramente il posto di lavoro e difficilmente sarei riuscita a trovarne un altro. Ti ho detto di essere una donna di scarsa fantasia, ma in quei momenti la mia immaginazione galoppava sfrenata, abbandonandosi alle più sconfortanti congetture.
Mi sono vista persa, ho pensato di aver distrutto la mia vita per un impulso momentaneo.
Nel frattempo il libraio mi stava dicendo qualcosa che, all’inizio, frastornata com’ero non riuscivo a capire. La frase ricorrente nei suoi minacciosi farfugliamenti era: “Vediamo se riusciamo ad aggiustare la cosa tra noi”.
Ad un certo punto mi è sembrato di capire. Non sapevo se abbandonarmi al sollievo o al disgusto. Nel dubbio ho lasciato che si impadronissero di me entrambi.
“Chi mi assicura che oltre al libro prelevato sotto il naso della telecamera non ce ne sia qualcun altro sottratto in un punto della sala meno controllato?”
Insomma per fartela breve ho dovuto prima togliermi l’impermeabile, poi il maglione a collo alto che portavo sotto e infine i jeans.
Te la racconto in breve (anche perché mi sa che già raccontandotela così ti sto provocando un piccolo sturbo), ma le cose sono andate per le lunghe perché ogni volta che mi mettevo a protestare, quell’omuncolo diceva: “Benissimo, se preferisce che chiamiamo il 113…”
Quando, avendogli fatto constatare che il Casanova era l’unico libro che avevo cercato di fregargli, ho provato a rivestirmi, lui mi ha detto, come dieci minuti prima , ma questa volta più ironico:
“Dove crede di andare, signorina?”.
Avevo pensato che, vista l’età, l’omuncolo fosse disposto a ritenersi risarcito dallo striptease che ero stata costretta ad improvvisare, ma mi sbagliavo. Non entro in particolari perché solo il ricordo di quello che è accaduto in quella mezz’ora mi offende e mi deprime, ma ti assicuro che alla fine l’ometto era decisamente ringalluzzito e di buon umore.
Oggi è una giornata luminosa e calda.
Ho fatto colazione al bar . Caffè e croissant.
Mi sento già meglio.
Dimmi cosa pensi di questa storia.
Un abbraccio,
Virginia.
Subject : Cara Virginia
Date : 22 oct 1998 19:02
From : Silviomc@hotmailing.com
To : Virginia@freemail.it
Cara Virginia, è un vero sollievo per me sapere che sei una donna forte e coraggiosa e che ti sei ripresa così in fretta da una esperienza come quella di ieri pomeriggio.
La mia ammirazione per te, però, ha raggiunto le vette più alte quando, controllando dappertutto, ho concluso che, nonostante l’agitazione, ti era rimasta abbastanza prontezza di spirito anche per portarti via il “Casanova”.
Se per caso concludessi che non ti piace e desideri riportarlo indietro, sarò felice di ignorarti mentre lo rimetti nello scaffale dal quale lo hai preso. Se invece c’è qualche altro libro che ti interessa sarò lieto di sorprenderti a derubarmi. Un bacio. Silvio.
P.S. Non mi sembravi così inorridita ieri sera. Verso la fine mi è sembrato di sentire anche una frase come: “non fermarti adesso..”
Può essere che io cominci a sentirci poco, ma in fondo, anche se mi descrivi come un vecchio bavoso, devi averlo capito anche tu che non ho più di trent’anni.
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