Letteratura
Proust e la ricerca di un senso dell’esistenza
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“Perché, non appena Swann riusciva a rappresentarsela senza orrore, appena rivedeva nel suo sorriso un po’ di bontà, e la gelosia non aggiungeva più al suo amore il desiderio di strapparla a chiunque altro, quest’amore ridiventava soprattutto gusto per le sensazioni che gli dava la persona di Odette, per il piacere che provava nell’ammirare come uno spettacolo o interrogare come un fenomeno il sorgere di uno dei suoi sguardi, il formarsi di uno dei suoi sorrisi, l’emissione di un suo tono di voce”
Entrando in libreria, mi sono accorta di quanti libri sulla motivazione erano esposti. Credo che lo scopo di un motivatore sia far crescere il bambino sepolto da qualche parte dentro di noi e farci entrare in contatto con il nostro io autentico, ricercare e provare a trovare il senso della vita. Il senso della vita è il grande tema della vita stessa, difatti di cosa altro parliamo in questa vita se non del senso? Lo facciamo tutti, non solo scrittori e teologi, ma tutti noi ci interroghiamo sulla sensatezza di ciò che stiamo facendo, o se l’amore che stiamo vivendo ci aiuta, se collasserà il progetto che stiamo costruendo. Uno scrittore che ha esaminato la questione per bene dall’alto e dal basso è Marcel Proust.
La sua opera, “Alla ricerca del tempo perduto”, un’opera vastissima, centinaia e centinaia di personaggi, una cattedrale- come la definiva lui stesso- la cui magnificenza puoi cogliere con un solo sguardo o puoi imparare a guardare con più attenzione, insomma la “Recherche”, si avvolge intorno alla domanda: quali sono le ragioni che rendono la vita degna di essere vissuta? Proust nella sua opera esamina tre possibilità. La prima: vale la pena vivere per avere successo in società, per conoscere le celebrities. “Alla ricerca del tempo perduto” anche di questo racconta: di Marcel che si imbuca alle feste, di Marcel che descrive con stupore questo mondo fatato, lussuoso raffinato, elegante. Un mondo regale che secondo Proust affondata le radici in un lontanissimo quanto nobile passato francese, dunque donava stabilità e con, essa, senso alla vita. Ma le celebrities sono un inganno, conti e contesse, marchesi e marchese, gli altolocati del tempo che il giovane Marcel aveva creduto perfetti, altro non sono che persone comuni. Spesso orribili, cattive, ciniche, pettegoli. Va bene, affonderanno pure le radici in non so quale nobile passato, ma nel presente danno il peggio di sé: no, le celebrities non rappresentano di certo il senso della vita. Marcel si era illuso, ma poi la disillusione, il vero motivo della Recherche, si è messo in moto e ha svelato un’altra strada; la disillusione è la forma di conoscenza che Proust ritiene giusto usare. Purtroppo questa bistratta forma di conoscenza, che perlomeno ci fornisce la distanza tra i nostri sogni e la realtà, viene rubricata ai giorni nostri sotto la voce petulanza.
Allora? il senso della vita. L’ amore, dai. Chi di noi non parla d’amore, ne parliamo sempre, all’amore affidiamo le nostre vite, l’amore è il nostro appiglio principale. Marcel Proust è lo scrittore che più di ogni altra persona ha esaminato la questione amore. Per Proust l’amore non è il senso della vita. Anzi, l’amore ha delle dinamiche che lo fanno assomigliare a una malattia tanto è vero che Proust si avvicina al tema dell’amore come un dottore si avvicina al paziente, e qui c’è la sua grande originalità. La poetica di Proust sull’amore potrebbe essere riassunta con una serie di interrogativi: Come si contrae il morbo? È possibile essere vaccinati? Quanto tempo dura l’incubazione? Quali sono i primi sintomi? Quanto tempo dura l’incubazione? Quali sono i primi sintomi? Che si può fare quando appaiono e perché la maggior parte dei malati non si avvede dei sintomi? Quanto tempo il morbo, cioè l’amore, impiega per diffondersi in tutto il corpo? La guarigione è possibile, le ricadute sono frequenti? Esaminando il morbo come un medico, Proust arriva a definire i quattro momenti che compongono la legge dell’amore: abitudine, ansia, gelosia, oblio. Sono quattro momenti fondativi, eppure non ne parliamo mai, per questo é necessario, utile, nonché esperienza commovente e tenera, affascinante, leggere “Alla ricerca del tempo perduto” o se non aveste tempo e voglia, Franco Califano potrebbe fornirvi le stesse riflessioni. Tutti i personaggi della “Ricerca” si muovono seguendo questi momenti. Il più noto è Swann, mercante d’arte, affascinante, colto con un’unica occupazione conosciuta: donnaiolo. Un uomo fatto di desiderio. Ma guardate la descrizione di quella che poi diventerà sua moglie, Odette: ” Non priva di bellezza, ma di un genere di bellezza che gli era indifferente, che non ispirava nessun desiderio, gli causava perfino una certa repulsione”. Swan incontra Odette nei consueti ricevimenti e fra di loro si forma una dolce abitudine. Fase importante: non è il desiderio che muove l’amore, è l’abitudine, una forza possente ma ambigua; é dolce ma crea legami di cui col tempo non possiamo fare a meno. Ma un giorno, per uno stupido inconveniente, Swann arriva in ritardo al ricevimento e Odette non c’é. Dov’ è? É il primo sintomo del male, il morbo è arrivato. L’abitudine si é spezzata e sta subentrando l’ansia. È il classico bisogno ansioso che caratterizza l’amore e i lettori della Ricerca hanno da subito imparato a conoscere. Si declina in tanti modi, é un bisogno ansioso anche quello del piccolo Marcel che aspetta il bacio della madre, e la madre ritarda ad arrivare; anche i nostri bisogni sono ansiosi. L’amore che tutto muove, qui é tradotto come il bisogno ansioso che tutto muove. Infatti, Swan, si darà da fare e rincontrerà Odette e proverà una incredibile sensazione di sollievo. Quel sollievo é così dolce che si prolungherà per tanto tempo, sera dopo sera, e alla fine procurerà quel piacere che chiamiamo amore. Ma é solo il morbo che si fa strada, nascondendo i suoi intenti. Poco dopo, infatti, l’amore che Swann proverà verso Odette lo farà sentire male. Accade quando Odette gli dice che stasera no, non ha voglia che Swann resti con lei.
Allora il malato entrerà in una nuova devastante fase: la gelosia. La gelosia attiva il sospetto e con i sospetti gli interrogatori e con questi le menzogne. ” L’amore di Swann, cioè la malattia, si era talmente moltiplicata, si era così strettamente mischiata a tutte le abitudini di Swann, a tutte le sue azioni, ai pensieri, alla salute, al sonno, alla sua vita persino a ciò che desiderava dopo la morte, faceva ormai talmente tutt’uno con Swann che non si sarebbe potuto estirparglielo senza distruggere più o meno del tutto lui medesimo. La gelosia è il centro di tutta l’opera di Proust e credo lo sia, più o meno velata, in tutta la nostra stessa concezione dell’amore; se soffriamo é perché ci sentiamo abbandonati, non considerati, preferiti ad altri, una sofferenza corporale devastante, che tutti abbiamo provato e causato. Cosa succede dopo questa fase?
Nei casi migliori subentra l’oblio, significa che ci rassegniamo all’assenza dell’amato, un’altra abitudine, secondo Proust e secondo Swan, un’abitudine, così potente, ancora più potente della gelosia che scatena l’oblio: siamo guariti? Forse si, o forse siamo pronti a ricominciare seguendo la vecchia e stabile legge dell’amore. L’oblio ha una conseguenza: inficia il senso dell’amore. Pensavamo che quella persona fosse il centro vitale e invece non è più nulla. Ma se è nulla, allora noi in quel periodo chi siamo stati? Chi era il nostro io dei 20 anni, afflitto dal morbo? Se incontrassimo quell’uomo malato lo riconosceremmo? Lo compatiremmo? O forse l’abbiamo dimenticato per sempre? Conclusione: per Proust l’amore non è una delle ragioni che rende la vita degna di essere vissuta. L’amore può solo farci prendere confidenza con la nostra mortalità, non è poco ma non é sufficiente. E allora escluso le celebrities e l’amore, cosa resta? Resta l’arte, che secondo Proust è il senso della vita.
Proust amava gli artisti, perché riuscivano a farci percepire la mortalità e con essa, di conseguenza, una certa attenzione allo scorrere del tempo e della vita. Allora, questo senso della vita? La ricerca del tempo perduto, appunto, la costruzione di un’arca di Noè, nella quale riposiamo tutte le nostre esperienze e su di esse- illuminati dalla luce dell’arte che illude e disillude – riflettiamo sulla nostra vita.
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