Letteratura
Rubare lingua, pensieri e casa
Se il dolore cancella la parola: una conversazione di Maria Nadotti con la scrittrice palestinese Adania Shibli.
Esistono “dettagli minori” all’interno di storie complesse che rivelano “una memoria affettiva soffocata e tuttavia non spenta”, in grado di “fare da esca al ricordo, all’espressione del lutto, al pianto, al dolore che, verbalizzato, libera e restituisce il respiro”: così scrive Maria Nadotti nella sua intensa prefazione a La lingua rubata, di Adania Shibli. Un dettaglio minore è il titolo dell’ultimo romanzo (pubblicato da “La nave di Teseo”) di questa autrice palestinese, in cui viene narrata la cattura, lo stupro e l’uccisione da parte di soldati israeliani di una giovane nomade, sepolta poi nel silenzio del deserto del Naqab. Lo stesso silenzio che negli ultimi due anni ha soffocato le voci e le richieste di aiuto del popolo palestinese: lo stesso silenzio che ha reso mute e incapaci di reazione le democrazie occidentali. Ma Adania scrive, denuncia, e la sua testimonianza dà voce a chi non ne ha avuta in passato e non ne ha oggi, e contemporaneamente risveglia le cattive coscienze degli indifferenti, degli impotenti, dei vili: di noi spettatori di un eccidio che qualcuno si ostina a non voler chiamare genocidio.
Adania Shibli, nata in Palestina nel 1974, ha studiato comunicazione e giornalismo a Gerusalemme e oggi si dedica alla scrittura, alla ricerca accademica e all’insegnamento. Nell’ottobre del 2023 alcune istituzioni culturali tedesche, insieme ai media loro satelliti, hanno deciso di silenziarla non offrendole più gli spazi di intervento pubblico programmati alla Fiera del Libro di Francoforte, e rifiutandole la consegna di un premio già accordato. Come postilla la prefatrice de La lingua rubata (edizione Casagrande), “La fabbricazione politica e mediatica dell’invisibilità e del mutismo rende: ciò che non vediamo e non udiamo smette di esistere”. Ma quest’anno è stata restituita ad Adania voce e visibilità anche grazie a questo volume, che raccoglie un intervento di una decina di pagine da lei scritto il 2 febbraio 2024 e pubblicato sulla “Berlin Review”, insieme alla registrazione dell’incontro avvenuto a Chiasso lo scorso maggio con Maria Nadotti (giornalista, traduttrice, saggista, consulente editoriale, documentarista), in cui le due donne conversano – con la vivacità di chi ama la vita -, di alfabeti e di numeri, di infanzia e di animali, di poesia e di traduzioni, in risposta a quanti avrebbero preferito ascoltare solo espressioni di angoscia e vendetta. Ma la descrizione dei dettagli minori è spesso “un antidoto potente tanto alla rimozione quanto all’amnesia”.
Shibli e Nadotti si erano conosciute a Ramallah nel 2003, e da allora non si sono più perse di vista. Il loro dialogo (intessuto in tre lingue diverse: italiano, arabo, inglese, attraverso la mediazione di una traduttrice) prende le mosse dalla riflessione sul ruolo della scrittura nella società contemporanea. “Io non mi vedo e non mi sono mai vista come una scrittrice. Mi vedo però nel verbo scrivere, nell’atto dello scrivere, perché non rimanda a una definizione ma a un coinvolgimento, e il coinvolgimento è essenziale”, afferma Adania, convinta che qualsiasi categorizzazione di stile e contenuti sia fuorviante. Un autore ha diritto anche di giocare con le parole, di inventare situazioni e ruoli differenti dei vari personaggi creati, investendosi di un potere trasformativo che annulla i confini del reale: “mettere in relazione immaginazione e lingua rende possibili cose che la realtà ci preclude”. E la realtà vissuta dalla scrittrice a partire dall’infanzia è stata deprivata di tutto, dei giochi come della lingua. Ricorda che in casa sua i genitori avevano imposto ai figli il silenzio come arma di difesa dalle malvagità del mondo circostante: “I miei avevano quindici anni quando è iniziata la Nakba, hanno visto con i loro occhi la distruzione della Palestina, la distruzione dei legami familiari, dei villaggi e della comunità intorno a noi – fatti di cui tuttora non conosco i dettagli. E capisco come mai siano venute loro meno le parole per raccontarli”. Anche ad Adania, da anni trasferitasi in Europa, riesce difficile parlare al proprio figlio della sofferenza del suo popolo: “Quando soffriamo davvero molto la prima cosa che perdiamo è il linguaggio… Non è poi così strano perdere di colpo il linguaggio quando ci si trova in mezzo alla devastazione”. Infatti, nel corso della conversazione con Nadotti, l’utilizzo di una metafora sostituisce la descrizione diretta dei soprusi e delle crudeltà patite dai palestinesi: l’uovo che una femmina di piccione ha deposto sul balcone di casa viene rubato da una cornacchia. “È proprio questo che provo, che è successo alla mia lingua: mi è stata rubata come quell’uovo. Ecco, è così che mi sento quando si parla della Palestina. Non ho più la lingua. Mi è stata sottratta, me l’hanno distrutta”.
Quale lingua, poi? I palestinesi parlano un arabo vernacolare, scisso in diversi dialetti. Ma scrivono usando l’arabo classico, letterario, edificato nel corso di una tradizione millenaria: esiste quindi una scissione tra come la gente pensa e parla quotidianamente, e come invece è costretta a scrivere per comunicare all’esterno. Scissione che si amplifica con la traduzione nelle lingue straniere, difficilmente fedeli all’originale. Nei libri di Adania c’è una grande attenzione per i linguaggi diversi (matematica, geometria) e per la fisicità, per il mondo dei sensi, come se in tal modo riuscisse a superare i confini imposti dal numero delle lettere dell’alfabeto: che in arabo sono 28, in farsi 32, in urdu 39. La matematica e i numeri sono un mezzo per continuare a raccontare, quasi all’infinito, quando si fatica a farlo con la lingua. L’incapacità, l’impossibilità di parlare ha lasciato quindi il posto al dovere di scrivere, e non è un caso che in arabo, la parola per indicare la letteratura e l’etica sia la stessa: “Adab”. Raccontare la realtà, aldilà di ogni contraffazione politica e mediatica, vuol dire riconsegnarle significato e concretezza, abbattere i muri fisici e mentali che hanno imprigionato corpi e coscienze della popolazione palestinese.
ADANIA SHIBLI, LA LINGUA RUBATA. DI LETTERATURA, PALESTINA E SILENZIO
EDIZIONI CASAGRANDE, BELLINZONA 2025. PAGINE 56
Una riflessione e un dialogo con Maria Nadotti
Traduzione di Nausikaa Angelotti e Daniela Marina Rossi
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