Copertina di Annuncio di Laura Rodriguez Diaz, Ensemble editore

Letteratura

Un annuncio vincolante e ricattatorio

Forme e contenuti coraggiosamente innovativi nei versi della giovane poeta spagnola Laura Rodriguez Diaz

19 Luglio 2025

 

Siglo Presente è una collana di poesia in lingua ibero-americana diretta da Matteo Lefèvre per le edizioni romane Ensemble. L’ultimo volume pubblicato, con testo a fronte, è Annuncio, della giovane poeta Laura Rodriguez Diaz (Siviglia 1998), autrice dallo “sguardo ostinato”, secondo il prefatore e curatore del testo. Femminilmente ostinato e coraggioso, si dovrebbe aggiungere, perché entrambe le sezioni di cui si compone la raccolta sono animate da una precisa e indomita forza di denuncia, di ribellione contro la violenza (fisica, morale, culturale) che da millenni viene esercitata nei confronti delle donne.

L’annuncio che dà il titolo al libro è quello per antonomasia, con cui l’Arcangelo Gabriele affidava a una mite “poco più che fanciulla” palestinese l’ardua missione di ospitare nel suo ventre il bambino destinato a salvare l’umanità. Ma già in quella figura alata e celeste, che nella mitologia passa per essere foriera di pace, dolcezza, bontà, Rodriguez Diaz vece celarsi l’ombra del dominio e del possesso, attraverso metafore non equivocabili: “ho rotto / la membrana del cielo / con la violenza di / una nuvola / una sponda su ogni lato / per gridare senza voce / io annuncio / la mia spada è un giglio / che costringe a abbandonare / ogni movimento”. Tutta la prima parte del volume è concepita come un intreccio di voci alternate, in cui a tonalità uniformi ma perentorie si oppongono improvvisi e acuti proclami di verità liberanti, dove non sempre è facile distinguere il timbro maschile da quello femminile. Alcuni versi hanno la sfrontatezza di slogan politici, la rabbia delle rivendicazioni di classe: “benedetta la violenza / perché è di tutti gli animali / e dà frutto”, altri la visionarietà di un incubo animato da bestie feroci, agnelli sventrati, ossa spolpate, uccelli parassiti, scorpioni. La brutalità si annida ovunque, non solo nello stupro patito, ma anche nella gravidanza imposta dalla prepotenza che pretende il corpo femminile sempre disponibile e passivo: “il figlio nasce come qualsiasi paura / e sarai accompagnata / dalla solitudine di dio / e dico che il messaggio è / lo scoppio di uno specchio / sul mio volto dipinto di fresco / frammenti di acqua dura / che esplodono nel mio grembo”. L’uomo è predatore, anche nella mitezza di un padre che comunque domina e costringe, e merita dunque una ribellione: “mi piace immaginare che vinco / la tua violenza vecchia e abitudinaria / accettata da uomini buoni / con la mia cattiveria al servizio dei deboli”. Dunque la violenza privata è riconosciuta come collettiva, sociale e politica, e va combattuta ad armi pari, attraverso immagini che si susseguono incalzanti e volutamente tenebrose, allusive a una forza senz’altro più demoniaca che angelica.

La seconda sezione del volume, Las niñas de plata (Le fanciulle d’argento), non è meno agghiacciante della prima, sebbene formalmente più controllata nella forma del poemetto recitato da un’unica voce. Qui le protagoniste sono adolescenti raffigurate come pure, virginali, obbedienti e prone al ruolo che la cultura sociale e religiosa ha predisposto per loro, sia con la forza dominante del pensiero maschile sia con la complice accettazione di una parte cospicua dell’universo femminile. Le niñas, dolci, remissive, educate, sono vittime predestinate e incolpevoli di un potere subdolamente schiavizzante: “le fanciulle d’argento hanno stomaco / e mangiano fango per essere / immacolate”, “le fanciulle d’argento ripetono / le parole che insieme / formano immagini armoniose / ripetono le fanciulle d’argento / parlano di sé in terza persona plurale / per poter esistere bianche”. Poiché a loro è stata presentato per due millenni il mito irraggiungibile di una donna vergine e madre, simbolo eterno di perfezione nella rinuncia a se stessa e nella donazione sacrificale al disegno divino, proprio nei riguardi di questa Signora incorrotta, immacolata, limpida nella propria incorporea trasparenza, si punta sardonico il loro dileggio: “la donna più bella del mondo / è in qualsiasi luogo / sotto qualsiasi forma / una successione di fotogrammi al rallentatore che / non finisce mai”. Ma la sua figura ricattatoria non ha nulla di rasserenante e mansueto: “le mani della donna più bella del mondo / sono un roveto luminoso nel deserto”.

Le giovani infine meditano rivalse, rappresaglie feroci per ritrovarsi nel corpo e nella mente, padrone di se stesse e non soggette a imposizioni altrui: “le fanciulle d’argento hanno trascorso lunghe stagioni / senza scrivere poesie d’amore / hanno seppellito il cuore sotto terra e hanno attaccato l’orecchio al suolo / perché hanno creduto che questa fosse la migliore delle vendette”. L’obiettivo nemico da combattere viene generalizzato nella rappresentazione di un mondo maschile prevaricante e giudicante: “filologi giornalisti addetti culturali / librai professori universitari soprattutto / professori universitari altri poeti traduttori / postini pittori musicisti giardinieri / piloti di formula uno architetti medici”.

Non mi sembra giusto tuttavia circoscrivere la scrittura di Laura Rodriguez Diaz esclusivamente a interessi, visioni ed espressioni letterarie legate all’ideologia femminista, perché in realtà il grido rivoltoso dell’autrice investe anche altri ambiti culturali, e non solo quello dello sfruttamento sessuale, domestico o pubblico. La notevole competenza compositiva di questa giovane poeta, che mi sentirei di accostare all’angosciante sperimentalismo della nostra Amelia Rosselli, esplicita un argomentato rifiuto della struttura linguistica e sociale contemporanea, che nei più deboli – economicamente e culturalmente – e nei non allineati ai modelli comportamentali imperanti, trovano l’agnello sacrificale per eccellenza. Nella scrittura, e nella poesia in fattispecie, Rodriguez Diaz recupera la possibilità di un riscatto, la capacità di scardinare giochi prestabiliti, ribaltando ruoli ossidati, in “una missione, una ricerca etica ed estetica che sposa il nostro tempo e la sua sete di sorriso e giustizia”, secondo le parole conclusive dell’intensa prefazione di Matteo Lefèvre.

 

LAURA RODRIGUEZ DIAZ, ANNUNCIO – ENSEMBLE, ROMA 2025

A cura di Matteo Lefèvre. Pagine 98

 

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