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Letteratura

Un libro sorprendente

di Filippo Cusumano
11 Febbraio 2024

“L’ultima spedizione” di Nicola Vascon (ediz. Rossini Santelli) è un libro sorprendente.
Racconta, romanzandola, una storia vera, quella di una spedizione artica svoltasi a metà dell’800.
Obiettivo di questa spedizione é recuperare le tracce di una spedizione precedente.
L’ammiraglio inglese John Franklin, partito il 19 maggio del 1845 al comando di due navi per cercare a nord ovest un passaggio tra oceano Atlantico e Oceano Pacifico, non è più rientrato in patria e di lui, delle sue navi e dei centoventotto uomini dei loro equipaggi non si sa più nulla da anni.
La moglie Lady Jane Franklin, quando si rende conto che la Marina britannica, dopo alcuni tentativi andati a vuoto, ha ormai deciso di abbandonare le ricerche sulle navi scomparse, decide di finanziare una nuova spedizione.
Sono passati diversi anni dalla partenza del marito e non si illude che lo si possa ritrovare vivo, ma vuole sapere a tutti i costi come sono andate le cose.
Acquista quindi un piccolo yacht, cui viene dato il nome Fox e incarica il capitano Francis Leopold McClintock di partire alla ricerca delle tracce del marito.
Il romanzo è la storia di questo viaggio.
Viaggio difficoltoso, pieno di insidie e di pericoli.
Perché sorprende questo romanzo?
Per vari motivi, il primo dei quali è la lunghezza di questa spedizione: la nave salpa il 30 giugno del 1857 e ritorna alla base il 20 settembre del 1859.
Per oltre due anni il protagonista della storia e i suoi marinai stanno lontani dalle loro case e dalle loro famiglie alla ricerca di qualcosa che non hanno la certezza di trovare, sia per la grandezza del territorio da esplorare sia per la scarsità dei mezzi a loro disposizione.
Abituati oggi a viaggi molto più veloci e comodi, di quelli che nell’arco al massimo di una giornata ti portano all’altro capo del mondo, facciamo fatica ad immedesimarci nel coraggio, nella abnegazione e, soprattutto nella pazienza e resilienza dei personaggi del romanzo.
Oltre a loro forte protagonista della storia è il ghiaccio.
Ghiaccio che diventa materiale di costruzione degli igloo che i marinai imparano a costruirsi e nei quali durante le loro esplorazioni trovano riparo.
Ghiaccio che, per buona parte dell’anno impedisce la navigazione: non appena inizia l’inverno, la nave, infatti, è costretta a fermarsi in un’insenatura ben protetta e ad attendere lì il ritorno della bella stagione.
Mesi e mesi che i 23 uomini della spedizione passano nella loro piccola nave con l’unica distrazione di uscire ogni tanto per andare a caccia e procurarsi un po’ di carne di renna fresca.
Con il rischio di incontrare un orso bianco…
Come andrà a finire la spedizione?
Non è il caso di dirlo a chi si appresta a leggere il libro, per non privarlo del piacere di scoprirlo da sé, ma mi sembra giusto, per dare un’idea della tensione narrativa che percorre questo romanzo (ispirato ad una storia vera, lo ribadisco) riportare qui integralmente il testo della scena che citavo prima e che mi ha particolarmente colpito, quella dell’incontro con l’orso polare.
Il capitano Franklin sta dormendo in una tenda con due uomini del suo equipaggio quando sente che qualcuno lo sta colpendo con qualcosa di morbido e di caldo. Pensa sia il piede di un compagno di tenda, ma lo esclude subito notando che i due sono distesi ad una certa distanza da lui:

Ad un certo punto realizzò: quei colpi non provenivano dall’interno, bensì dall’esterno della tenda! Pochi istanti dopo sentì i cani abbaiare e guarire impauriti.
“Svegliatevi ragazzi!”, urlò allora inorridito, mentre si sfilava dal sacco a pelo.
“Che succede?” risposero i due ancora intontiti dal sonno.
Da fuori intanto si sentivano dei grugniti e dei passi pesanti girare intorno alla tenda in maniera sempre più rapida.
Infine si distinse chiaramente una grossa ombra passare di fianco al loro giaciglio. Francois cercò nel suo zaino ed estrasse la pistola.
Non fece in tempo a caricarla che un’unghia affilata lacerò di netto la tenda.
La pallida luce lunare esterna spazzò via ogni residuo dubbio sull’identità dell’ospite.
Si trattava di un enorme orso polare adulto in piedi sulle due zampe posteriori.
I tre furono subito colpito dal candore del suo manto che faceva risaltare due immensi e profondi occhi neri.

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