Letteratura
Zerocalcare, Scurati e gli altri come “fascisti irrisolti” (con test per scoprire se lo sei anche tu)
4 Dicembre 2025
Gli intellettuali italiani, nei confronti del fascismo, si dividono ancora in due categorie: coloro che impediscono a se stessi di essere fascisti e coloro che non impediscono a se stessi di essere fascisti.
I primi, poiché impediscono a se stessi di essere fascisti, lo vorrebbero impedire anche agli altri. Costoro non concedono a se stessi la libertà (diremmo quasi la tentazione) di essere fascisti.
Essi non sono liberi di essere antifascisti, ma sono obbligati a essere antifascisti, e dunque vorrebbero estendere universalmente tale obbligo.
A obbligarli hanno un un poliziotto nella testa, e concludono che tutti dovrebbero averlo. Il loro antifascismo è una posizione di principio ideologica, oppure un comando morale, non una scelta politica razionale e motivata.
I secondi, coloro che non impediscono a se stessi di essere fascisti, si dividono a loro volta in due categorie: quelli che, liberi di essere fascisti, scelgono di essere fascisti (o postfascisti o parafascisti) e quelli che, liberi di essere fascisti, scelgono di essere antifascisti.
L’antifascismo di questi ultimi è l’unico autentico, in quanto scelta consapevole e libera, responsabile e concreta di fronte alla storia, ricostruibile razionalmente a ritroso nelle sue tesi fondanti.
Non c’è alcun valore nell’essere antifascisti, se non si è liberi di esserlo, ovvero: se non si è liberi di essere fascisti, e se non si lascia anche gli altri liberi di essere fascisti, affinché anche gli altri possano diventare antifascisti liberi.
La differenza tra queste due categorie di antifascisti, i liberi e gli obbligati, dipende tutta dal regime politico che ognuno instaura nella propria testa.
Per questo l’antifascista obbligato è un fascista irrisolto, perché più che un poliziotto ha uno squadrista nella propria testa, armato contro se stesso, e un dittatore assoluto che grida proclami al proprio stesso pensiero.
Come qualunque omosessuale irrisolto, se solo avesse il coraggio di aprirsi al nemico se ne innamorerebbe, riconoscendosi affine. Per questo egli ha terrore persino di certi libri e di certe case editrici.
Gli agrimensori del libero pensiero, coloro che vogliono fissare i paletti del perimetro di ciò che è legittimo e consentito pensare, leggere e studiare, finiscono sempre per limitare il proprio stesso pensiero, oltre a quello degli altri e dell’intera società.
Ora, se ti ritieni antifascista e vuoi capire a quale categoria appartieni, se tra i liberi o gli obbligati, questo dunque devi chiederti:
Mi sto concedendo la libertà di diventare fascista o nazista? Accetto che un domani potrei diventare fascista o nazista? Mi riconosco questo diritto? Lo difendo? Mi permetto di leggere libri che potrebbero farmi diventare fascista o nazista? Mi rendo disponibile a farmi convincere da loro?
Oppure, per antico timore, non mi concedo questa libertà, questo pericolo? L’attraversamento di questo pericolo è l’unica via per il libero antifascismo in libero pensiero.
Se attraversi questo pericolo e alla fine resti antifascista (ma non è obbligatorio), farai parte della piccola schiera degli antifascisti liberi.
Altrimenti resterai asserragliato nella massa amorfa dei soldatini che marciano al passo militaresco, sotto la bandiera dell’antifascismo obbligatorio, per se stessi e per gli altri.
Rispetto alle masse nazificate di quei tempi là, hai solo cambiato il nome dell’obbligo e il colore della bandiera, ma non il cieco slancio, non la testa vuota, non lo stivale di piombo.
Da quanto detto si deduce che una certa diffusione sociale della letteratura fascista è fondamentale per generare antifascismo libero, autentico e informato.
Chiunque vuole reprimere i libri fascisti (o postfascisti o parafascisti) vuole reprimere il libero antifascismo. E chiunque non ha mai letto uno di quei libri non è un antifascista libero.
Il mio intervento è finito. Ora segue una risposta preventiva alla più ovvia delle obiezioni disinformate.
Ma non sono un “pericolo” i libri fascisti? La Costituzione non li vieta?
Provo a essere telegrafico.
Per difendere la Costituzione occorre prima studiarla.
La Costituzione vieta la ricostituzione del DISCIOLTO partito fascista, cioè vieta le MODALITÀ storiche di QUEL partito specifico: violenza contro l’ordinamento democratico.
La Costituzione non vieta pensieri, affinità, analisi, simpatie, nostalgie, teorie solo perché contrarie all’attuale ordinamento democratico. Altrimenti dovremmo vietare i libri di Aristotele, Platone, Machiavelli e Marx.
Le leggi che hanno provato ad aggirare la Costituzione e a reintrodurre il fascismo come reato di opinione hanno sempre fallito.
Associazioni e partiti postfascisti e parafascisti vengono sempre ASSOLTI non perché c’è un complotto fascista di tutti i tribunali d’Italia, ma perché c’è la Costituzione.
Associazioni e partiti postfascisti e parafascisti vengono SCIOLTI quando, oltre a teorie e nostalgie, ci sono le ARMI, come quelle che trovarono a Mussolini nel 1919, prima di arrestarlo.
In base a QUESTO principio furono sciolti, nella Prima Repubblica, i partiti fascisti Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale. Non per le nostalgie.
Fratelli d’Italia e Casapound sono perfettamente legittimi, almeno finché non si scopre un loro piano di assalto militare alla Repubblica.
Credere che alcune teorie vadano censurate preventivamente perché “pericolose”, è PERICOLOSISSIMO.
Con questo gioco è molto facile censurare qualsiasi cosa, anche movimenti e partiti socialisti e comunisti, che si richiamano a libri e a filosofi che in modo esplicito auspicavano il “rovesciamento violento” del sistema (Marx, per non parlare di Lenin, eccetera).
Chi nutre ambizioni vagamente comunisteggianti dovrebbe fare molta attenzione su questo punto, siccome in UE esistono forze molto influenti che equiparano fascismo e comunismo.
E quando dovranno reprimere, si appelleranno proprio al fatto che certe idee, libri e pensieri sono “pericolosi”.
Bravo Emanuele! D’accordissimo.
ragionamento intrigante, però mi sembra che si possa declinare con diverse altre deviazioni.
Per esempio, se al termine “fascista” sostituiamo “serial killer” o “pedofilo”, il ragionamento non perde di efficacia.
In pratica l’articolo sostiene che essere fascista (o serial killer o pedofilo) fa parte della natura umana, e alcuni di noi si impongono di non assecondare questa anomalia, e lo fanno con un fervore così acceso da impedire anche agli altri di scegliere la propria strada. Si dovrebbe invece accettare l’idea di essere fascisti (o serial killer o pedofili) per poter così trascendere la deviazione. Semplificando, un po’ come dire “diventa alcolista, altrimenti non potrai redimerti e scegliere di smettere di bere”.
In effetti, vista così sembrerebbe una privazione della libertà.
Però …
Intanto tutti noi abbiamo nella testolina un “io adulto” che è il custode dei divieti e delle responsabilità: è quella vocina che ci fa alzare tutte le mattine per andare a lavorare, che ci impedisce di provarci con il partner di un amico/a, che non ci consente di rubare anche se ne abbiamo l’opportunità e che dovrebbe impedirci di stuprare e uccidere i civili se facciamo parte di un esercito vincitore. Non c’è niente di male ad avere questa vocina in testa, non significa che siamo schizofrenici, piuttosto che abbiamo correttamente consentito lo sviluppo di una parte importante della nostra personalità.
Poi: il problema del fascismo sta – storicamente – nella sua natura predatoria e poi nella negazione della democrazia. E’ l’unione di questi due elementi che lo rende inadeguato per una società che sta iniziando a capire che tutto è di tutti, che se butti una merda in mare nel Pacifico stai sporcando anche il Mediterraneo, che viviamo tutti nella stessa casa e sono finiti i tempi del castello con il fossato intorno: se i tuoi simili crepano di fame, prima o poi creperai di fame anche tu.
Ora, serve tanta disciplina per adattarsi a questo nuovo mondo che stiamo scoprendo da poco. Serve proprio quella vocina che ci aiuti a non arraffare dove si può, ma a rinunciare in favore di un vantaggio più grande, quello della collettività.
La critica proposta da Alessandro, dispiace dirlo, è tipica di chi non ha alcuna prospettiva storica sul fascismo e nessuna forma di elaborazione storico-culturale del fenomeno. Significa proprio non avere idea di cosa sia il fascismo (ed è difficile essere antifascisti, se non hai idea di cosa sia il fascismo). In quest’ottica il fascismo tout court diventa una fattispecie di reato, dire fascisti è come dire picchiatori, assalitori, assassini. Dunque il mio articolo diventa sul rapporto di ognuno con la propria devianza morale. Ma il contrario di un picchiatore è una persona semplicemente civile, non un antifascista. Non c’è bisogno di essere antifascisti per non essere fascisti, se il fascismo è questa roba qui. E infatti chi ragiona in questi termini non è antifascista.
L’articolo, è scritto nel primo rigo, è rivolto agli intellettuali, cioè ha coloro che sanno che il fascismo è qualcosa di molto più complesso, che include un’ideologia, una visione del mondo, una dinamica storica, una conflittualità delle coscienze, come molti altri fenomeni storico-politici, e che in Italia ha coinvolto e informato di sè tutti i campi della cultura, trascinandosi a lungo. E questi intellettuali antifascisti, pur sapendo questo, non riescono a superare lo scoglio intellettuale che ho analizzato, non riescono ad accettare la libertà (in primis la loro) di essere fascisti, e dunque la libertà di essere antifascisti.
E’ sempre delicato esprimere certezze senza conoscere l’interlocutore. Potrei dirti che mi chiamo Bottai, e già questo ti dovrebbe far sospettare qualcosa, e che sono cresciuto negli ambienti della Destra di 40 anni fa, quindi ho conosciuto, studiato (molto) e per un certo periodo condiviso quel mondo. Ma non volevo parlare di me: non saranno le mie credenziali a dare spessore alle mie argomentazioni, e screditare non sarà il tuo tentativo di screditarmi a rendere le tue più consistenti.
Rendiamo questa conversazione più utile e costruttiva evitando di dire che le nostre parole sono riservate a questa o quella categoria o che esiste un pubblico che saprà apprezzarci: un pensiero valido è per tutti, non solo per alcuni.
Il fascismo è negazione dell’altro ed esaltazione dell’individuo: è un sentiero pericoloso, che ci allontana dall’Umanità. Non esiste una “compassione fascista”, perché il fascismo esclude, non include. Bisogna fare attenzione a quello che scriviamo, perché certe porte non vanno aperte, certe derive non vanno accreditate. Tutto qui. Il tuo esercizio intellettuale è interessante, ma dovresti chiarire che è solo un esercizio: se non lo è, è un po’ pericoloso, permetti a un vecchio antifascista di segnalartelo.
Caro Alessandro, non era affatto mia intenzione riferirmi alla tua persona (non lo faccio MAI, lungi da me). Hai frainteso il mio discorso. Volevo dire che ho ricevuto molte risposte di questo tenore (la sfida di sostituire nell’articolo alla parola fascista la parola pedofilo ecc), e dunque la tua risposta rientra in quella categoria di risposte, e di questa categoria di risposte è tipico ignorare la realtà storica complessa e multiforme del fascismo.
Nella storia non esiste il bianco e il nero. Ci sono ancora resistenze ideologiche in Italia (anche se vanno scemando, in fondo è passato un secolo), ed è ancora difficile proporre questi semplici ragionamenti, così come è difficile in Romania far capire che il comunismo è un’opinione, non un crimine. Ognuno ha la sua eredità storica che diventa tara ideologica, che intrappola il pensiero. Questa trappola cognitiva è ciò che ho tentato di esplicitare per farla giungere a contraddizione.
Se tu provieni dalla Destra, io provengo dalla Sinistra, e credimi conosco bene quel mondo e soprattutto quel modo di pensare, e anche io a 18 anni dicevo che il fascismo non è un’opinione ma è reato. Poi studiando in modo MOLTO approfondito ho capito che questo motto ha delle specificazioni (anche giuridiche) e non può essere un’arma per mandare la polizia a casa del nostro avversario dialettico, quando non sappiamo vincerlo con gli argomenti.
L’idea poi che il fascismo sia “negazione dell’altro ecc” è una TUA idea; io ho idee anche peggiori sul fascismo ma sono le MIE idee. Non fanno legge. Un fascista penserà che il comunismo sia negazione, prevaricazione, disumanità ecc. Ma questo non può mai comportare una criminalizzazione sociale del comunismo. La battaglia culturale esiste proprio perché gli intellettuali tra loro devono confrontarsi sul piano del logos. E io di intellettuali antifascisti ho parlato, non di comuni antifascisti, che possono anche esprimere un rifiuto politico a priori. Gli intellettuali dovrebbero avere altro atteggiamento.
Egregio Emanuele Maggio,
la tua distinzione tra “antifascisti liberi” e “antifascisti obbligati” è un costrutto retorico che funziona solo se si accetta la premessa, del tutto arbitraria, che la libertà consista nel concedersi interiormente qualunque possibilità, compresa quella di aderire a un’ideologia totalitaria. È una tesi che ruota su se stessa: definisci “libero” solo chi è disposto a flirtare mentalmente col fascismo, e poi concludi che solo chi flirta mentalmente col fascismo è davvero libero. Un sofisma elegante, ma privo di fondamento politico e storico.
La libertà democratica non è una ginnastica interiore né un esperimento psicologico. Non è la disponibilità astratta a tutto, ma la capacità concreta di scegliere entro un quadro di diritti che tutelano la libertà di tutti. In questo quadro, il fascismo non è un’opinione come le altre: è un’esperienza storica che ha abolito le condizioni stesse del pluralismo. Presentarlo come una possibilità neutra da attraversare, come se fosse un esercizio di formazione personale, significa ignorare deliberatamente la dimensione materiale e violenta che l’ha definito. Non è un rischio intellettuale da correre per diventare più maturi: è un precedente reale che ha lasciato macerie politiche, istituzionali e umane.
Ridurre l’antifascismo a una reazione nevrotica, a un riflesso di paura o a un atto di “censura interiore”, è un modo elegante per svalutare ogni scelta democratica che non coincida con la tua idea di libertà assoluta. Ma è un argomento debole. La maggior parte degli antifascisti non rifiuta il fascismo per terrore psicologico: lo rifiuta perché ne conosce la struttura, la storia, gli esiti. Non serve concedersi la “libertà di essere fascisti” per scegliere di non esserlo, così come non serve concedersi la libertà di diventare antisemiti, schiavisti o eugenetisti per riconoscere ciò che queste ideologie rappresentano. Il tuo ragionamento confonde il coraggio intellettuale con l’indifferenza morale e chiama “pensiero libero” ciò che in realtà è solo astoricità.
Anche il tuo richiamo alla Costituzione è volutamente minimalista. Sostieni che la Carta non vieti idee nostalgiche e dunque che la diffusione della letteratura fascista sia non solo lecita, ma addirittura necessaria alla salute democratica. Ignori però che la Costituzione italiana, come le altre nate dall’esperienza dei totalitarismi, non è neutrale. Non pretende che tutte le idee siano trattate simmetricamente, perché nasce dalla constatazione che alcune idee, una volta divenute potere, annientano lo spazio stesso della discussione pubblica. La democrazia non ha l’obbligo di promuovere ciò che mira a distruggerla, né la libertà consiste nel farsi sedurre da ciò che alla libertà si oppone.
Il tuo impianto concettuale si regge sull’illusione che il fascismo, disinnescato e confinato nella sfera del pensiero individuale, possa essere un passaggio di formazione personale, quasi un rito di maturità. Ma il fascismo non è una tentazione da esplorare: è un fenomeno storico con effetti concreti. Conoscere criticamente il fascismo è essenziale; normalizzarlo come possibilità mentale da mettere alla prova, no. Quello che presenti come un atto di emancipazione intellettuale è, in realtà, una resa alla retorica della neutralità morale. E, paradossalmente, è proprio questa tua concezione assolutizzata della libertà che finisce per diventare cieca alla storia e indulgente con ciò che la storia ha già giudicato.
L’antifascismo non è il risultato di un blocco psicologico, né di un poliziotto nella testa. È una scelta politica razionale, consapevole e pienamente libera. Ed è paradossale, ma rivelatore, che per sostenere il contrario tu debba psicologizzare chi non condivide la tua premessa. La verità è che non è necessario attraversare la tentazione fascista per essere antifascisti: è sufficiente conoscere il fascismo. E conoscere la libertà.
Dispiace che il mio AI detector segnali il commento di Marco come un testo AI. Spero sia un errore, tuttavia anche a occhio nudo si nota un tono e uno stile che richiama quello Chatgpt: lo stesso concetto ripetuto inutilmente più volte, tono neutrale, ipotattiche brevi, una certa simulazione enfatica finale. E soprattutto una totale assenza di argomenti, in un fumo di retorica verbosa. E’ tutto un susseguirsi di “non è x, ma y”, ma mai che ci si fermi a spiegare perchè non è x, ma y. Speriamo che non sia affatto così, e che Marco abbia scritto questo testo di suo pugno. In ogni caso, c’è poco vero materiale per rispondere. Questa immagine così paurosa di questo regno delle libertà pericolose, può averlo chi non ha mai sperimentato la libertà di pensiero. Si forse all’inizio bisogna superare una sensazione simile, ma poi non enfatizzerei troppo i rischi. Non succede nulla di brutto, si diventa solo persone più aperte e consapevoli. Quindi pensate liberamente e non abbiate paura, in primis di voi stessi.
Gentile Emanuele Maggio,
questa è la seconda volta che rispondo. Utilizzo la massima moderazione per evitare una nuova censura, cosa incredibile visto il tema della discussione, ma la stessa fermezza. Capisco che lei preferisca parlare dello “stile” del mio intervento invece che del suo contenuto, ma non è un modo serio di discutere. Ridurre una critica articolata a un problema di “tono da ChatGPT” è un modo elegante per evitare il merito, non per affrontarlo. Venendo al punto: io non ho affatto descritto un “regno delle libertà pericolose” per timore dell’ignoto, ma ho richiamato un fatto storico e politico molto semplice: la libertà democratica non è la somma delle fantasie individuali, è una costruzione istituzionale che si regge su limiti condivisi.
Il fascismo non è un “pericolo metafisico”, ma un precedente concreto. Il rischio non è psicologico; è storico. E spiegare questo non è “fumo”: è la base dell’antifascismo costituzionale europeo. Lei dice che “bisogna superare la sensazione iniziale, poi non succede nulla di brutto”. Qui, più che un argomento, lei propone una sorta di pedagogia iniziatica: basta “varcare la soglia” e tutto si risolve. Ma la storia del Novecento ci dice l’esatto contrario: quando certe idee diventano prassi politica , non solo fantasia personale, succedono (eccome!) cose molto brutte. Il punto non è la paura di leggere, ma la responsabilità delle conseguenze politiche, che lei tratta come un dettaglio marginale. Quel che mi infastidisce è la riduzione della mia critica a un elenco di “non è X, ma Y”. In realtà ho spiegato esattamente perché:
– il fascismo non è un’opzione neutra, ma un’esperienza storica distruttiva;
– la libertà non è assoluta, ma reciproca;
– l’antifascismo non è psicologia, ma politica;
– la Costituzione non è indifferente alle ideologie che negano la democrazia.
Se questo le appare “retorico”, forse è perché non risponde allo schema binario attraverso cui lei vorrebbe ricondurre la questione: chi non accetta la sua bizzarra teoria sarebbe un antifascista “bloccato”, “spaventato”, “inibito”.
È un modo comodo per delegittimare ogni dissenso: patologizzare anziché argomentare.
Di nuovo: non ho paura del fascismo come idea, lo studio da anni, ma riconosco la differenza cruciale fra comprenderlo criticamente e normalizzarlo come percorso formativo personale. Ed è esattamente questa distinzione che nel suo articolo rimane sfumata o rimossa.
Se vuole continuare la discussione sul merito, io ci sono. Ma sul merito, non sugli “AI detector”. Quella è una scorciatoia polemica, non un argomento.
Caro Marco, chiaro che non è così. Ho scritto infatti che speravo di sbagliarmi, e sono contento che lei abbia scritto di suo pugno. Sul rapporto tra fascismo e costituzione (OLTRE alla questione della libertà di pensiero intesa in modo astratto) ho già scritto nell’articolo, e non è semplicemente come dice lei. Le Costituzioni democratiche non limitano mai le IDEE antidemocratiche (è uno dei pilastri delle democrazie, consentire di essere antidemocratici, perché la democrazia è necessariamente relativista), ma limitano i METODI antidemocratici, e solo in caso di conclamata emergenza limitano la diffusione di libri ed espressioni di pensiero, ma solo se direttamente legate a “finalità di riorganizzazione” di metodi antidemocratici effettivi e operanti. Ho già spiegato che considerare certe idee “pericolose” in modo PREVENTIVO, prima che diventino effettivamente pericolose, è mortale per la democrazia, perché le censure dei regimi autoritari traggono la propria giustificazione proprio dal reprimere idee considerate “pericolose”. Quando inizia questo gioco oscurantista il più forte vince, e i più forti non sono mai gli idealisti antifascisti, che soccomberanno proprio a causa di quel principio che hanno invocato (i precedenti storici li ho anche citati). Non si gioca con l’art.21. Le sue limitazioni sono a loro volta limitate e devono essere fortemente motivate dalle circostanze presenti. Si può anche non comprendere questo principio, ma le corti supreme di tutto l’Occidente democratico lo hanno sempre capito benissimo e lo hanno sempre applicato, condannando e sciogliendo formazioni neofasciste e neonaziste solo DOPO un determinato livello di guardia (e lo stesso è stato fatto con le organizzazioni comuniste rivoluzionarie), non per una conferenza su Sorel o Lenin. Con questo metodo, non mi pare che siano arrivate dittature, anzi il radicalismo si è marginalizzato. Invece mi pare che il metodo della repressione e della censura non faccia che gonfiarlo. Inoltre, ci sono tantissime teorie e dottrine che nella storia hanno prodotto mostruosità, non si capisce perché questo allarme preventivo solo sul fascismo. E soprattutto è strano che lei vede come un problema il “normalizzare” la lettura di idee fasciste, siccome dovrebbe essere appunto “normale” leggere liberisti e antiliberisti se vuoi farti un’idea sul liberismo, comunisti e anticomunisti se vuoi farti un’idea del comunismo, e quindi anche fascisti e antifascisti se vuoi farti un’idea sul fascismo. Se contesti questo tipo di normalizzazione, reagisci con l’istintivo rifiuto di un prete a cui viene detto che bisogna studiare satanisti e antisatanisti per farsi un’idea su Satana; col Male non si dialoga, il Male si estirpa. Questo accade solo quando si ha un’idea appunto metafisica del fascismo, qualcosa di esterno alla normale dialettica storica e culturale, qualcosa di compromesso con il Male. E questo è precisamente quel tipo di irrazionalismo che occorre combattere, che è “antifascista” quanto Torquemada era cristiano (cioè zero).