Kiril Petrenko

Musica

Il fuoco dell’intelligenza nelle interpretazioni di Kiril Petrenko

Kiril Petrenko, russo, come da tradizione, legge strutturalmente la musica che interpreta.

14 Giugno 2025

Kiril Petrenko è un interprete, un musicista russo. E da tempo nella cultura russa c’è un pensiero analitico, strutturalistico che legge qualsiasi fenomeno, naturale e umano, rivelandone la sua fattura. Il romanzo russo, per esempio, che divenne subito un modello per il romanzo europeo, da D’Annunzio a Musil, da Thomas Mann a Philip Roth, non è mai solo racconto di una storia, ma indagine sulle intricate cause della storia stessa. Vladimir Propp ci ha insegnato a leggere il filo connettivo che sottintende la narrazione delle fiabe. Roma Jakobson ha illustrato quali siano le strutture che sorreggono l’invenzione della metafora: un poeta come Mandel’štam ne sembra quasi l’estrinsecazione. Ma Esenin, Majakocskij, Blok, Achmatova, Cvetaeva rientrano nelle stesse coordinate e, forse, andando indietro anche Puškin e Lermontov. In musica, compositori così distanti come Musorgskij e Čajkovskij ubbidiscono però entrambi a una sorta di ossessione formalizzante. Poi arrivano Prokofiev e Šostakovič, registi cinematografici come Eizenstejn e Tarkovskij. E pianisti come Sviatoslav Richter. Nell’articolo del Manifesto, uscito oggi, metto in risalto la coerenza armonica del concerto: l’ouverture Manfred di Schumann è in mi bemolle maggiore come la Sinfonia concertante KV 297b di Mozart, la Prima Sinfonia di Brahms nel relativo do minore.

Che Schumann apra il concerto e Brahms lo chiuda stabilisce un legame tra i due compositori, evidenziato dalla parentela armonica. Ma non solo. Schumann è un po’ l’ossessione permanente di Brahms, il compositore che più chiaramente ha posto il problema di quale musica comporre dopo Beethoven, che ai romantici non solo sembrava il primo musicista romantico, e Schumann addirittura lo teorizza, ma un romantico sui generis, come Schubert, del resto, nel senso che porta a compimento un equilibrio formale la cui impostazione era cominciata con Bach: il senso della musica, per loro, sta nel modo con cui è costruita. Schumann arriva perfino a crittografare le sue partiture, scrive con i suoni i fatti, i pensieri e i personaggi che lo ossessionano. Già Bach aveva del proprio nome fatto una cellula musicale: si bemolle, la, do, si naturale. Schumann va oltre. Nasconde amici, amori, riflessioni sulla vita nei motivi musicali: Asch in tedesco significa cenere, ma è anche il nome del villaggio dove è immaginato il corteo di maschere del Carnaval, la bemolle, do, si naturale. Queste segrete crittografie sono la guida dell’interpretazione di Petrenko. L’attacco dell’ouverture Manfred, brano che è il primo delle musiche di scena per il poema drammatico di Byron, non accenna nemmeno un vero e proprio tema, un motivo – salvo i semitoni ascendenti e discendenti che sono la cellula tematica di tutta l’ouverture – ma suggerisce un clima di attesa, di tensione, di sospensione di qualcosa che verrà e che sarà terribile.

L’attacco della sinfonia brahmsiana è simile, ma più esplicitoe, soprattutto, qualcosa di urlato. Petrenko fa sentire la somiglianza. Ma poi la sinfonia si mostra per quello che è: il problema di scrivere una sinfonia, la forma è via via abbozzata per esperimenti successivi, ciascuno più esasperato dell’altro. E subito emergono due allusioni, più che due citazioni – anche questo alludere, questo citare opere precedenti è eredità schumanniana – un ritmo di note ribattute, e un altro di giambo su figure discendenti: il ritmo della Quinta di Beethoven e ritmo e cellula motiva del primo tempo della Nona, sempre di Beethoven. Anche il terzo tempo, “un poco allegretto e grazioso”, che occupa il posto dello scherzo, allude a sostituzioni simili nei quartetti e nelle sonate di Beethoven. Insomma. ciò che vuole farci cogliere Petrenko è che questa musica ha la forza, l’evidenza di un pensiero, di una riflessione, di un impegno intellettuale, ma non nel senso che la musica è linguaggio, pensiero anch’essa, bensì che come tutta l’arte, la poesia, il romanzo, la pittura, la musica è un’altra forma di pensiero dal pensiero verbale, non ha concetti, non segue canoni di logica argomentativa, ma coglie aspetti della realtà attraverso l’elaborazione formale, con la semplice evidenza della propria forma. Hegel dice che la musica, come l’architettura, non ha contenuti, il contenuto di un edificio non è la sua funzione di abitazione o di palazzo del potere, bensì la sua forma, e che quindi anche il contenuto della musica, come quello dell’architettura, è la sua forma, com’è fatta.

Il formalismo russo, e in particolare Jakobson, sviluppano questa intuizione hegeliana, rafforzati anche dalla riflessione di Nietzsche sull’arte, e sostengono, appunto, che anche l’arte è sì, pensiero, ma non pensiero verbale, bensì un pensiero formale, il soggetto dell’arte sono i suoni, e dunque la durata, il tempo, per la musica, il linguaggio per la poesia, le forme nello spazio per le arti figurative. Gli appunti che per tutta la vita Benvéniste stese per la poesia di Baudelaire sono al riguardo illuminanti: in Baudelaire è il linguaggio stesso a farsi segno di un’esperienza della vita. Petrenko rientra perfettamente in questo quadro. La sua lettura della musica è penetrazione di come è fatta, di come procede, e attraverso questa che è quasi un’illuminazione, ci fa cogliere aspetti della vita, della nostra vita che altrimenti non saremmo in grado di cogliere. Il suo non è un approccio emotivo alla musica, anche se scatena fiumi di emozioni, ma intellettuale. Basta intendersi su che cosa Petrenko intenda per intelletto, intelligenza. Non certo l’analisi, fredda, distaccata di un fenomeno. Ma il fuoco dell’intelligenza che scopre i nervi sensibili dell’esperienza. Da qui il suo furore, la sua visionarietà, la sua lucidità. Ad afferrare che cosa s’intenda per fuoco dell’intelligenza – al di là dell’opinione comune che l’intelletto sia freddo, come se non esistesse anche la passione dell’intelligenza – potrebbe aiutarci l’attacco di una straordinaria canzone di Dante: “Donne che avete intelletto d’amore”. Dante non dice “donne che avete il sentimento di amore, che sentite che cosa sia l’amore”, ma “donne che capite, che conoscete che cosa è l’amore, perché è la vostra natura conoscerlo”. Ecco: Petrenko è questa esperienza che vuole comunicarci: che l’intelligenza è un fuoco che illumina le cose, ce le fa capire, afferrare, con una immediatezza che nessun sentimento, da sé solo, sarebbe capace di suggerire. In un’epoca così attratta dalle semplificazioni ingannevoli, com’è l’oggi, non è poco. Attraverso la sua lettura della musica di Schumann e di Brahms ci si apre una conoscenza più profonda non solo di questa musica, ma di noi stessi, perché la musica ci rivela ciò che di noi prima non sapevamo.

Aggiungo qualche riflessione alla critica del concerto diretto a Santa Cecilia da Kiril Petrenko, uscita oggi sul Manifesto. Qui link dell’articolo:.https://ilmanifesto.it/sinfonie-e-ouverture-nel-segno-di-petrenko?t=W-HEN19Y1YCTiiIYkJvpK

 

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