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Storia

“Andreotti, Il grande regista” di Aldo Giannuli, un libro da leggere per capire cos’era la politica

Nel descrivere la vita di Giulio Andreotti, Giannuli ha scritto un volume di eccezionale ricostruzione storica, che rappresenta bene cosa fosse la politica e cosa è diventata oggi.  

24 Agosto 2025

Recensione a “Andreotti, Il grande regista” di Aldo Giannuli, Ponte alle Grazie, Milano, 2023, pp. 592, euro 18,90.

 

Aldo Giannuli è autorevole esperto di servizi segreti e delle trame oscure della nostra repubblica, da sempre orientato a sinistra. Pensavo così che il suo recente volume fosse molto critico con il politico democristiano Giulio Andreotti. Invece, l’autore dichiara di avere ostilità politica e simpatia umana per il politico più longevo dell’Italia repubblicana.

 

La flessibilità di Andreotti

Andreotti non è stato un riformista, ma un cattolico conservatore ed elitario, fedele e praticante. Al tempo stesso, Giannuli presenta il sette volte Presidente del consiglio come flessibile uomo di mediazione, capace di adattarsi alle situazioni. L’autore ripete costantemente che Andreotti non ha mai perpetrato le proprie idee con troppo zelo, perché una battaglia persa può diventare una battaglia inutile.

Andreotti apprese la lezione dell’abile diplomatico vaticano Ercole Consalvi, uno dei registi del congresso di Vienna, di comprovata duttilità politica. Così, il politico democristiano ha spesso fatto buon viso a cattiva sorte. In ambito religioso, non apprezzava le aperture del concilio Vaticano II, ma si è adattato senza isterie.

In politica, era inizialmente contrario a un’alleanza con i socialisti. Ma, una volta compresa la direzione del partito, si è adattato talmente bene da accordarsi anche con i comunisti. Da ministro degli esteri, ha fatto aperture all’Unione sovietica e all’Iran Khomeinista, non proprio gradite dagli Stati Uniti.

Andreotti, nelle parole di Giannuli, è stato il più grande politico italiano per visione complessiva, cultura, strategia e respiro internazionale. Convintamente pacifista e portatore di una politica estera filoatlantica, ma autonoma. I politici del suo calibro sono poi stati travolti dall’inchiesta di tangentopoli e nella seconda repubblica sono scomparsi. Oserei dire con l’eccezione di Massimo D’Alema.

 

Il ruolo positivo di Andreotti

La biografia sottolinea comunque molti punti oscuri della vita del personaggio, inserendoli nella sua visione politica. Smonta l’immagine di Andreotti come “Belzebù”, uomo delle trame oscure e grande manovratore, dai golpe alla strategia della tensione, fino alla P2 e i crac bancari. Questa è solo una visione di colore.

Andreotti è stato a lungo ministro della Difesa, dal 1959 al 1966. Anni complicati, quando la strategia di contenimento del nemico comunista sembrava superata. Gli Stati Uniti, infatti, temevano insurrezioni comuniste anche dentro i confini dell’alleanza atlantica. Quindi, il contenimento si tramutò in un più aggressivo “rollback”, che comprendeva azioni di disturbo per far cambiare campo agli stati comunisti.

Inoltre, il comunismo doveva essere combattuto anche nei paesi NATO. Magari, mettendo fuorilegge i partiti alleati dell’Unione Sovietica, oppure organizzare colpi di stato per favorire svolte autoritarie, come in Grecia, o per riaffermare il ruolo dell’esercito, come in Francia. Le nostre forze armate fecero propria questa nuova strategia e fecero pressioni sul ministro, che invece non era entusiasta del potere militare e non vedeva pericoli provenire dai comunisti italiani.

Per questo, il ministro annuiva alle richieste dell’esercito, si fingeva a favore, per poi sabotare quei progetti. Potrebbe aver usato questa tecnica anche nel caso del golpe Borghese. Il golpe era pericoloso perché vi intervenivano sia fascisti per una svolta autoritaria, che atlantisti che volevano mettere la democrazia sotto la tutela dell’esercito. Probabilmente, la spuntò chi era contrario a qualsiasi colpo di stato militare, come Andreotti o il dirigente del ministero dell’interno, Federico Umberto d’Amato.

 

Tra traffici e clientele

Giannuli ridimensiona il ruolo di Andreotti anche nei traffici poco limpidi legati a Michele Sindona e Licio Gelli. Il mondo finanziario e imprenditoriale italiano era ed è ancora molto legato a famiglie laiche, mentre il Vaticano ne rimane ai margini. Banchieri come Enrico Cuccia e famiglie industriali come Agnelli e Pirelli non sono mai stati in sintonia con la Santa Sede, che però aveva bisogno di finanziamenti per i suoi piani ambiziosi.

Andreotti ha provato ad agevolare un riorientamento nel potere della finanza italiana. Ha avuto così buoni rapporti con personaggi loschi che si ponevano gli stessi obiettivi, come Paul Marcinkus, Michele Sindona, Licio Gelli, etc. Ma, ognuno perseguiva la propria agenda. Basta pensare che il piano di rinascita democratica della P2 di Licio Gelli prevedeva bipolarismo e semipresidenzialismo. Riforme che Andreotti ha avversato fino all’ultimo giorno di vita.

I veri punti oscuri della carriera di Andreotti sono due. Da una parte, il sistema di potere democristiano costava molto. Si doveva evitare sia di effettuare riforme troppo sbilanciate a favore della classe operaia che indispettire troppo gli industriali. Al tempo stesso, bisognava tenere sotto controllo la crescita del partito comunista. Questo atteggiamento finì per sperperare denaro pubblico in clientele e dialogare con attori poco raccomandabili, come la mafia.

 

Il Noto servizio

Dall’altra parte, c’è il Noto servizio. Questo è il pallino di Giannuli, perché si tratta di un servizio segreto da lui scoperto nell’archivio dell’Ufficio affari riservati del ministero dell’interno, emerso nella circonvallazione Appia, a Roma. In alcune note, l’informatore del ministero dell’interno riferisce di un “Noto servizio” che avrebbe Andreotti come referente politico.

Giannuli dedica molte pagine agli intrighi di questo servizio segreto parallelo, nato dalle ceneri delle spie fasciste, grazie all’iniziativa dei gruppi industriali. Racconta appassionanti intrighi finanziari e politici che coinvolgono l’agente Adalberto Titta, il padre francescano Enrico Zucca e l’investigatore Tom Ponzi. Ma, l’unico evento di qualche peso politico di cui è provata la partecipazione del Noto servizio è la fuga in Germania del gerarca nazista Herbert Kappler, responsabile dell’eccidio delle Fosse Ardeatine.

Quando però Giannuli tratta del rapimento di Aldo Moro, le sue teorie convincono meno, perché sembra voler assegnare un ruolo importante al Noto servizio. Giannuli non dubita che le Brigate Rosse abbiano maturato in autonomia l’idea di rapire Moro. Ma, crede anche che gli Stati Uniti abbiano manovrato politici e terroristi per non far tornare a casa l’ostaggio. In questa fase, l’inviato del dipartimento di stato americano Steve Pieczenick avrebbe avuto il supporto del Noto servizio.

Per quanto sia possibile pensare che qualcuno fosse interessato a mettere a tacere Aldo Moro, la ricostruzione di Giannuli appare poco convincente. In particolare, Pieczenick è un millantatore che ha sostenuto tante e troppe teorie. Come ben argomenta Vladimiro Satta nel suo “I nemici della Repubblica”, l’inviato americano ha avuto un ruolo marginale nella vicenda Moro.

 

Cosa ci insegna

Per chi scrive, Giannuli esagera nell’attribuire rilevanza al Noto servizio. Ma, gli perdoniamo questo peccato perché ha scritto un volume di eccezionale ricostruzione storica, che rappresenta bene cosa fosse la politica e cosa è diventata oggi.

Un tempo, infatti, la corruzione era accompagnata dal senso dello stato e dal rispetto per gli avversari politici. Inoltre, appariva chiara la differenza tra fascisti, con cui nessun moderato poteva interloquire, e comunisti, ampiamente abilitati al gioco democratico. Oggi, la statura della politica è infinitamente minore e l’epicentro del sistema si è spostato a destra, tanto che le teorie moderate e conservatrici di Andreotti, appaiono quasi di estrema sinistra.

 

Foto di Enrico Para tratta da Wikipedia e utilizzata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International.

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