Storia
I Carabinieri Reali in Palestina: la presenza italiana a Gaza e Gerusalemme un secolo fa
Nel dibattito contemporaneo sull’eventuale presenza militare italiana a Gaza, la memoria storica ci ricorda che non sarebbe la prima volta che soldati italiani operano in quelle terre martoriate. Oltre un secolo fa, durante la Prima guerra mondiale, l’Italia fu infatti presente nella campagna del Sinai e della Palestina con un piccolo ma significativo contingente del Regio Esercito. In quella lontana esperienza, spesso dimenticata, un ruolo centrale fu svolto dai Carabinieri Reali, chiamati a garantire ordine, sicurezza e rappresentanza italiana in uno dei teatri più delicati del conflitto.
Nel 1917, mentre Gran Bretagna e Francia stavano definendo il futuro assetto del Medio Oriente, l’Italia temeva di essere esclusa dal nuovo equilibrio geopolitico. Da qui la decisione di inviare un contingente militare in Palestina, pur nelle forti limitazioni imposte da Londra. Nacque così il Distaccamento Italiano di Palestina, composto da circa trecento bersaglieri provenienti dalla Libia italiana e cento Carabinieri Reali giunti dall’Italia.
Sebbene numericamente ridotto, il contingente non ebbe un ruolo marginale. Anzi, la sua presenza rispondeva a una duplice esigenza: militare e politica. In questo contesto, i Carabinieri Reali rappresentavano non solo una forza armata, ma anche un simbolo dello Stato italiano e della sua capacità di esercitare funzioni di ordine e legalità in un territorio complesso.
Il contingente dell’Arma era accuratamente selezionato: ufficiali, sottufficiali e carabinieri provenienti in parte dalla Legione Allievi, posti sotto il comando del capitano Angelo Scalfi. Fin dall’arrivo a Porto Said, nel maggio del 1917, i Carabinieri furono impiegati in compiti delicatissimi: servizi di guardia, controllo delle retrovie, tutela delle infrastrutture strategiche e cooperazione con le truppe alleate britanniche, indiane e francesi.
Dopo la vittoria alleata nella terza battaglia di Gaza (novembre 1917), dove prese parte anche gli italiani, che aprì la strada alla conquista di Gerusalemme, il ruolo dei Carabinieri divenne ancora più centrale. Quando le truppe entrarono nella Città Santa, un reparto misto di bersaglieri e carabinieri italiani prese parte solennemente all’evento storico. L’11 dicembre 1917, mentre il generale Allenby entrava a piedi a Gerusalemme in segno di rispetto, anche l’Italia era presente, rappresentata dai suoi uomini in uniforme.
A Gerusalemme, i Carabinieri Reali furono impiegati nei servizi di polizia militare e di guardia, compiti che richiedevano equilibrio, disciplina e rispetto delle popolazioni locali e dei luoghi sacri. In una città carica di significati religiosi e politici, il loro operato contribuì a garantire ordine e stabilità in una fase estremamente delicata.
Non si trattava di un ruolo secondario: la gestione della sicurezza in territori occupati era fondamentale per il successo dell’azione alleata. I Carabinieri portarono con sé una tradizione di professionalità già consolidata, che li rendeva particolarmente adatti a questo tipo di missione, più vicina al moderno concetto di peacekeeping che alla guerra di trincea.
Nel 1918, con l’arrivo della Compagnia “Cacciatori di Palestina”, formata da italiani residenti in Egitto, e con l’assegnazione del contingente italiano al controllo delle linee ferroviarie tra Giaffa e Gerusalemme, la presenza italiana si consolidò ulteriormente. Anche in questo caso, i Carabinieri continuarono a svolgere un ruolo chiave nella sicurezza e nel controllo del territorio.
Oggi, mentre Gaza e la Palestina restano teatro di sofferenze indicibili, ricordare quella lontana esperienza non significa celebrare la guerra, ma rendere omaggio a uomini che, in condizioni difficili, servirono l’Italia con disciplina e senso del dovere. Arrivare a Gaza, idealmente o concretamente, dovrebbe anche voler dire ricordare quei cento Carabinieri Reali e trecento bersaglieri che oltre un secolo fa operarono in quelle stesse terre.
La loro storia, spesso relegata a nota a margine, merita invece di essere riscoperta come parte integrante della tradizione italiana nelle missioni all’estero: una tradizione fatta non solo di armi, ma di ordine, responsabilità e rispetto.
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