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Scuola

Perché in storia non si studia la mafia? Ci pensa Regione Lombardia

di Federico Ferri
12 Maggio 2016

Ce lo diciamo a ogni pie’ sospinto: uno dei problemi di questo strano paese è che non ha memoria. Tanto è vero che abbiamo dovuto apprendere dal meritorio lavoro del pool di Palermo, alla metà degli anni Ottanta, che la mafia c’era davvero, e com’era organizzata. E che, cielo!, aveva un rapporto organico con la politica. Ricordo ancora i dibattiti sul cosiddetto “terzo livello”, polverone complottistico capace di distogliere lo sguardo dalla semplice verità, acclarata da molti processi, da allora, che la mafia “è strumento di governo locale”. Un virgolettato, il precedente, non rubato da un fuori onda di qualche “toga rossa” o dal polemico post di un acceso paladino dell’antimafia, no: lui si chiamava Diego Tajani, era stato Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Palermo tra il 1868 e il 1872, e quando pronunciò il discorso da cui è tolta quella breve citazione era da poco stato eletto al Parlamento del Regno d’Italia in conto alla Sinistra liberale. Quel discorso lo pronunciò nel 1875, nel contesto del dibattito su un drastico pacchetto di leggi proposto dalla Destra contro quanti fossero sospettati di appartenere a organizzazioni criminali. E contro le loro coperture politiche. Sic. “La mafia che esiste in Sicilia non è pericolosa, non è invincibile di per sé, ma perché è strumento di governo locale”, disse Tajani papale papale.

Su la mano adesso quanti sapevano che l’essenza del potere mafioso fosse nota da poco dopo l’unità d’Italia. A me a scuola non l’ha raccontato nessuno. Nelle indicazioni nazionali per l’insegnamento della storia nelle scuole secondarie di secondo grado non se ne fa cenno (e lo stesso vale per il primo grado). I manuali di storia, conseguentemente, dedicano solo poche righe, nelle frettolose pagine riguardanti gli anni Novanta, al fenomeno mafioso, quasi sempre privilegiandone l’aspetto militare-criminale, e dunque rimuovendone l’essenza, che consiste nel suo essere perfettamente integrato nelle reti del sistema politico-economico, grazie alle smagliature aperte dalla corruzione (ma anche probabilmente, talvolta, da una certa ragion di Stato).

Ecco perché la risoluzione votata all’unanimità dal Consiglio regionale della Lombardia martedì 10 maggio (su proposta della Commissione speciale antimafia presieduta dal Pd Gian Antonio Girelli) ha una portata storica: recependo una proposta del Coordinamento delle Scuole Milanesi per la Legalità e la Cittadinanza Attiva e di Libera, infatti, il Consiglio regionale sostanzialmente impegna Maroni a chiedere al MIUR di integrare gli obiettivi specifici d’apprendimento di storia del secondo biennio e del quinto anno delle superiori introducendo un esplicito riferimento alle origini e al ruolo della mafia, nonché al fenomeno della corruzione, nella storia del nostro paese, proponendo inoltre, anche per la scuola secondaria di primo grado, una speciale attenzione all’educazione antimafiosa. Speriamo che una richiesta così centrata, che mette il dito sul livido di una rimozione secolare, trovi orecchie, e soprattutto passione civile, pronte a trasformarla in un volano di memoria. Per smettere di lamentarci, almeno di questo.

antimafia scuola
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