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Storia

Perché nessuno al Viminale dice “basta”?

di Danilo De Biasio
30 Luglio 2019

Premessa: per lavoro – sono giornalista – ho spesso avuto a che fare con forze di polizia. Come tutto il genere umano ho incontrato persone perbene e infimi personaggi. Alcuni sono ancora ai piani alti del Viminale, attraversando indenni i cambi di governo. Da quando c’è Salvini al Ministero dell’Interno mi domando come sia possibile che non si sia alzata una voce non di dissenso – da quelle parti è difficile che accada – ma anche di semplice preoccupazione per il ruolo a cui sono costretti uomini e donne in divisa.

Dopo l’epoca positiva delle riforme democratiche, le prassi e le regole si sono sempre più estremizzate, trovando sempre qualcuno che soffiava sul fuoco, tanto poi non va lui in prima linea.

Quando sono state sterminate le scorte di Falcone e Borsellino non c’era dubbio: da quella parte c’eravamo tutti noi, la legalità, la lotta al sopruso mafioso e dall’altra parte c’era la disonestà, il privilegio, la corsa all’arricchimento a spese dei più deboli. Ma nell’ombra era già cominciata la Trattativa (in realtà più trattative parallele fra apparati dello Stato e mafie). Allora in pochi coglievamo qualche segnale, quasi increduli non ci arrendevamo all’idea che dirigenti delle forze di polizia di giorno partecipassero ai funerali dei loro agenti uccisi e di notte erano attavolati con chi li aveva uccisi. Poco alla volta il nemico è tornato ad essere chi scendeva in piazza. Si sono portate le pratiche da stadio nei cortei, rinserrandosi sempre di più nella metafora della battaglia, fino all’apoteosi di Genova 2001 dove le pratiche criminali si sono viste in piazza e nel chiuso delle caserme. Da lì non si è tornati indietro, le scuse sussurate da chi ha sostituito Gianni De Gennaro ai massacrati di Genova, sono rimaste un pura testimonianza, mentre il corpo delle forze di polizia – privo di risposte alle proprie richieste – accumulava il veleno dell’estremismo. Fino a queste ore: agenti vestiti da robocop, guanti neri per non avere contatti durante gli sgomberi di povera gente. La cronaca diventa farsa con gli agenti in braghette corte che impediscono al giornalista di filmare il figlio del Ministro dell’Interno sulla moto d’acqua della Polizia. Torno alla domanda iniziale: perché nessun dirigente del Viminale esterna un sussulto di dignità e dice chiaro e tondo che un agente non può portare a spasso il figlio di Salvini? Perché non dice ai suoi agenti che non possono inventarsi leggi e regolamenti a piacimento per bloccare l’informazione? Ma, e questo è il problema dei problemi, perché nessuno al Viminale dice che la politica dello scontro patrocinata dall’alto crea pericoli che dovranno affrontare gli agenti? Perché non dice che se faciliti la detenzione di armi aumenta il rischio che vengano usate contro gli operatori di polizia?

armi salvini
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