
Teatro
Ad Albenga ancora “Terreni creativi” e sempre più fertili
Intervista a Maurizio Sguotti
Certo, affinché la ricerca teatrale sia libera, sostanzialmente libera, affinché l’arte possa svolgere veramente il suo ruolo sociale, ci vogliono adeguati finanziamenti pubblici statali. Ci vogliono senza dubbio, non è un elemento aggirabile. Ma i finanziamenti da soli non bastano, ci vogliono anche altre cose: ci vuole la volontà e la capacità di costruire realtà artistiche solide, la presenza, la costanza per accompagnarle, sostenerle, difenderle negli anni, servono progetti artistici chiari e obiettivi che includano una lettura politica seria delle realtà sociali, civili ed economiche in cui sono destinati a svilupparsi e a produrre ricadute positive e visibili. È quanto vien fatto di pensare scoprendo e raccontando “Terreni creativi” il festival multidisciplinare di teatro, musica e danza che si tiene ad Albenga (provincia di Savona) dal 2010 e si terrà quest’anno dal 31 luglio al 3 agosto. Un festival che nasce come complemento e completamento dell’attività artistica della compagnia Kronoteatro e ha ottenuto negli anni riconoscimenti prestigiosi. “Terreni creativi” quest’anno, alla sua sedicesima edizione, non ha ricevuto i finanziamenti ministeriali, ma ha voluto difendere la sua proposta artistica perché nel frattempo essa è diventata una tessera importante e giustamente attesa della vita culturale di Albenga e del territorio circostante. Ne abbiamo un po’ parlato con Maurizio Sguotti attore, regista teatrale, operatore teatrale (premio Ubu nel 2022 a Kronoteatro per miglior curatela/organizzazione), storico fondatore (con altri giovani) e animatore della compagnia Kronoteatro, di molte stagioni teatrali ad Albenga e a Genova (centrale il suo ruolo nel Teatro Cargo) e infine, appunto, del festival Terreni Creativi che oggi dirige in team con Francesca Sarteanesi, Francesca Foscarini, Manuele Roberto e gli storici collaboratori/fondatori Tommaso Bianco, Alex Nesti.
Perché per questa edizione del festival avete scelto il titolo “Frutti della passione”?
«Diciamo che questo titolo rappresenta perfettamente quello che è il lavoro degli artisti: in questo festival raccogliamo frutti di passione vera. Esperienze, pensieri, vissuti e li presentiamo al pubblico».
In base a quale criterio o criteri, lei e i suoi collaboratori di direzione (Francesca Sarteanesi, Francesca Foscarini, Manuele Roberto) avete scelto gli spettacoli di Terreni creativi?
«Potrei dire tante cose ma in fondo il vero criterio è il dialogo tra noi e l’accettazione della pluralità feconda dei punti di vista e delle visioni. Una pluralità che poi si condensa in una linea comune che mette insieme gruppi emergenti, la collaborazione, iniziata nell’edizione scorsa, con il premio Scenario e quindi con la presenza di gruppi che sono stati finalisti in quel premio. In breve: dare spazio ai giovani e allo stesso momento portare artisti e compagnie di teatro e danza che sono già affermati in campo nazionale».
Siete alla sedicesima edizione del festival, come giudica il percorso che avete compiuto fino a oggi con Kronoteatro e Terreni Creativi?
«È stato un percorso duro e faticoso, ma siamo riusciti ad avere una riconoscibilità nazionale. Grazie al festival anzitutto certo, che ha una sua peculiarità: si svolge nelle aziende agricole, cioè in spazi non teatrali e porta in questa zona della Liguria un tipo di teatro e degli spettacoli che nascono dalla sensibilità contemporanea e non sono molto presenti in questa zona del nostro Paese. Ovviamente è un percorso che si incrocia con quella della nostra compagnia, Kronoteatro. Che dire? che oggi siamo un ente di produzione: partiti dalla provincia, e fortemente radicati nella provincia, siamo arrivati a partecipare alla Biennale di Venezia e ad altri Festival di rilievo nazionale. Fino a prima del Covid avevamo un nostro spazio/teatro ad Albenga per organizzare delle nostre stagioni. Dopo il Covid abbiamo dovuto rinunciare a quello spazio e lavorare alle nostre produzioni in una sala prove. D’altronde lavorare in provincia è una condizione di difficoltà oggettiva per la creazione teatrale, ma è anche molto più affascinante. Alcuni risultati li abbiamo ottenuti proprio perché provinciali e con la caparbietà di superare con intelligenza e creatività i limiti della provincia».
Come avete impostato e gestito negli anni il rapporto di Terreni creativi con la città di Albenga?
«Abbiamo puntato a dialogare soprattutto con la sfera economica e produttiva della nostra città. Una sfera vivacissima e legata soprattutto all’agricoltura. Noi abbiamo pensato di mettere insieme le eccellenze artistiche con le eccellenze produttive agricole del territorio. In questo contesto il teatro ha trovato un luogo fertilissimo per dialogare con la città e i cittadini ormai aspettano il festival con trepidazione. Le aziende che ci supportano sono realtà importantissime, soprattutto per quanto riguarda la produzione la esportazione in Europa di piante aromatiche. Il loro investimento nel nostro Festival non è diretto, piuttosto è una scommessa soprattutto sulle potenzialità culturali della città, sul concetto che economia e cultura debbano camminare insieme per determinare miglioramenti visibili».
Al di là di quanto sta facendo politicamente il Ministero nella verifica dei festival e nelle assegnazioni dei fondi pubblici statali, pensa che la forma “festival”, nel vostro caso “festival multidisciplinare”, debba in qualche modo essere ripensata, ridefinita e rifocalizzata?
«La forma festival deve sicuramente essere ripensata e ridefinita. Il criterio su cui deve essere fatta questa ridefinizione è il rapporto con il territorio, non in termini di chiusura, ma in termini di valorizzazione e di dialogo e di apertura a contesti artistici e culturali più ampi. I criteri che il Ministero ha utilizzato per assegnare i finanziamenti nazionali sembrano piuttosto obbedire a discutibili logiche politiche. Noi quest’anno non siamo stati beneficiari di questi finanziamenti, ma stiamo riuscendo a proseguire il nostro cammino artistico, produttivo e organizzativo, forti di quanto abbiamo costruito in sedici anni. Però certo si tratta di uno sforzo veramente notevole e difficile da gestire in un territorio in cui il teatro è pochissimo presente. Il nostro Festival, in altre parole, non si è limitato a essere una vetrina di teatro, danza e musica, ma ha creato una comunità di spettatori che vive dentro una comunità civile con un reciproco arricchimento di senso. Credo che sia il modo giusto per concepire un Festival teatrale».
Nella vostra comunicazione è presente un richiamo alla tragedia dei Palestinesi. Perché è necessario schierarsi di fronte a questa guerra?
«Perché pensiamo che in questo momento sia necessario sostenere apertamente, anche attraverso il teatro, una popolazione che sta subendo atrocità incredibili. Un piccolo gesto di attenzione e di consapevolezza politica che riteniamo necessario».
Crediti fotografici: Nicolò Puppo (Ritratto Sguotti), Rose Mihman (Malincòmio), Poskusi Mozaika (Aquilee).
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