Debutta a Torino, nello spazio di San Pietro in Vincoli, il nuovo, interessante spettacolo de “Il Mulino di Amleto”.
26 Ottobre 2025
Torino. “Giulio Cesare o la notte della repubblica” della compagnia torinese Il Mulino di Amleto, è uno spettacolo solido, densissimo di senso e cultura, compatto. Ha debuttato a Torino, il 16 ottobre scorso, nello spazio di San Pietro in Vincoli e nel contesto, ancora straordinariamente nutriente, del Festival delle Colline Torinesi, giunto alla sua XXX edizione e organizzato da TPE – Teatro Astra. La regia è di Marco Lorenzi, con la collaborazione artistica di Barbara Mazzi, Rebecca Rossetti, Daniele Russo. Un lavoro solido, colto, compatto: non lascia entrare per via d’emozioni o di curiosità, ma propone – e in effetti impone al pubblico, anche con una certa risoluta energia – un serio percorso umano, intellettuale e politico. Attraversato e concluso nel sangue il primo segmento dello spettacolo (il logos politico che conduce coerentemente all’assassino di Cesare), è il chaos a dominare e nominare il secondo segmento: il chaos che legge e delinea drammaturgicamente Shakespeare dopo i funerali di Cesare e l’avvento della guerra civile e il chaos che stiamo vivendo noi, oggi, in un momento di crisi delle democrazie e di avvento, sempre più tangibile e minaccioso, di regimi populistici e autocratici (se non già tirannici o persino potenzialmente monarchici). Di fronte al chaos, di fronte a questo chaos, non c’è altra opzione che prendersi il rischio di scegliere, schierarsi e, nello schierarsi, assumere una postura politica equilibrata – non cinica, ma adulta – tra realismo politico e vitale “ricerca di un nuovo paradigma”. Una ricerca appassionata che è il cuore stesso di questo spettacolo e che lambisce la contemporaneità internazionale e quella del nostro paese, fino ad alcune tragiche domande poste da Aldo Moro al gruppo dirigente dell’Italia repubblicana nei giorni oscuri e, molto probabilmente, bugiardi del rapimento e del suo assassinio. Una ricerca che non si connota utopisticamente, ma vuol essere praticabile, seria, politicamente vitale. Certo – ritornando al dato formale – alla fertile compattezza di questo lavoro contribuisce in modo fondamentale la tessitura testuale e drammaturgica del capolavoro shakespeariano (adattato e riscritto da Lorenzi e da Lorenzo De Iacovo) ed anzi è bellissimo e giusto che una compagnia di ricerca teatrale affronti un testo della tradizione teatrale di tale importanza. Ma in gioco non c’è soltanto Shakespeare: alla poesia del Bardo Lorenzi aggiunge, appunto, segmenti tratti dal Memoriale e dalle lettere di Aldo Moro e da Anatomia Tito Fall of Rome di Heiner Muller, aggiunge, su due grandi schermi laterali, immagini video e suggestioni della nostra comunicazione globale, spesso disumanata e violenta, mentre alcune scene sono immaginate e scritte ex novo insieme con De Iacovo (le ultime due, cioè il dialogo tra lo Spettro di Cesare e Bruto prima di suicidarsi e il finale tra Antonio e Cassio). Il lavoro attorale della compagnia è pieno, corale, potente, con una elegante caratterizzazione “debole” dei singoli personaggi (con la sola parziale eccezione di Bruto e Marco Antonio) che spinge efficacemente il pubblico a interrogarsi più sul senso politico assoluto e trans-temporale della vicenda che sulle sue dinamiche drammaturgiche implicite nei personaggi. In scena a recitare ci sono Vittorio Camarota (Marco Bruto), Yuri D’Agostino (Cassio), Raffaele Musella (Marco Antonio), Francesco Sabatino (Claudio, Ottaviano), Alice Spisa (Galba), Angelo Tronca (Casca, Lepido). Per Bruto e Marco Antonio il discorso appare più complesso e interessante. Di Marco Bruto, più che la nobile spinta idealistica e l’eroismo patriottico, viene sottolineata – con grande finezza di lettura e quindi d’interpretazione (molto convincente Camarota) – una fragilità interiore che sfocia inevitabilmente in narcisismo e totale incapacità di cogliere la necessità politica delle mediazioni e la natura profondamente umana, seppure assai mediocre, del rapporto tra leaders e popolo. Di Marco Antonio, il braccio destro di Cesare, viene focalizzato il cinismo della forza e del potere fine a sé stesso che, in un percorso circolare e inevitabile, non può che fondarsi sulla menzogna (seppur detta benissimo, come nell’infuocata oratoria della celebre laudatio funebris che Bruto ingenuamente gli concede), tradire le motivazioni di partenza (la fedeltà al riformismo popolare di Cesare), perdersi nella violenza, annullarsi nella guerra e nella insospettabile scaltrezza politica di Ottaviano. Raffaele Musella è all’altezza di un personaggio così complesso, seppure talvolta sembra un po’ faticare a gestire la grandissima tavolozza espressiva che gli è richiesta. Uno spettacolo importante insomma, latore di domande politiche autentiche e adulte e della consapevolezza che “un nuovo paradigma” di convivenza tra esseri umani è, oggi più che mai, necessario e urgente.
Giulio Cesare o la notte della repubblica. Torino, San Pietro in Vincoli, dal 16 al 18 ottobre 2025, Festival delle colline Torinesi, XXX edizione. Da William Shakespeare. Adattamento drammaturgico e riscrittura di Marco Lorenzi e Lorenzo De Iacovo. Progetto de Il Mulino di Amleto / A.M.A. Factory. Regia di Marco Lorenzi. Collaborazione artistica: Barbara Mazzi, Rebecca Rossetti, Daniele Russo. Con (in ordine alfabetico) Vittorio Camarota (Marco Bruto), Yuri D’Agostino (Cassio), Raffaele Musella (Marco Antonio), Francesco Sabatino (Claudio, Ottaviano), Alice Spisa (Galba), Angelo Tronca (Casca, Lepido). Con la partecipazione in video di Ida Marinelli e Danilo Nigrelli. Regista assistente Barbara Mazzi. Assistente alla regia Federica Gisonno. Training a cura di Rebecca Rossetti. Disegno sonoro Massimiliano Bressan. Progettazione regia video: PiBold / Paolo Arlenghi. Progettazione luci di Umberto Camponeschi. Consulenza per scena e costumi Gregorio Zurla. Ufficio stampa: Raffaella Ilari. Crediti fotografici: Andrea Macchia.
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