Teatro
Un personaggio bidimensionale
Siamo in un cinema e sullo schermo proiettano un film dell’orrore. Orietta, un personaggio secondario del film, sta per essere raggiunta da un misterioso assassino, ma riesce inaspettatamente a sfuggirgli… uscendo da uno strappo dello schermo.
Un personaggio bidimensionale, ovvero “il personaggio minore di un film di merda”. E qui a quasi tutti coloro che già hanno visto la rappresentazione teatrale di cui parleremo, scapperà un mezzo sorriso.
“Strappo alla regola”, al Teatro Manzoni di Milano dal 28 ottobre al 9 novembre 2025 e successivamente in tour in diversi teatri italiani.

Per un milanese l’andare a teatro non è solo uno svago. Abbiamo il merito di essere geneticamente predisposti a guardare con attenzione ogni tipo di proposta, anche estrema, ma rimane il fatto che siamo spesso ipercritici e che non tutto passa indenne al nostro giudizio.
Non basta il nome in cartellone dell’attore famoso o il fatto che si rappresenti “un classico”. Se la rappresentazione non è all’altezza delle aspettative a Milano il gradimento dura quanto il classico gatto in tangenziale.
Il Teatro Manzoni poi per noi è particolare. Perchè tutto sommato Milano è piccola e stretta su se stessa, il centro storico si attraversa in dieci minuti. Quei dieci minuti, quindici al massimo, che servono per lasciare la macchina in piazza Diaz o per scendere dalla metro in Duomo, attraversare il sagrato, infilarsi in Galleria e sbucare in piazza della Scala.
E poi via verso il Teatro, camminando su quella via Manzoni che non è una strada come un’altra, perchè un tempo è stata il cardo massimo della Milano romana sino a divenire nell’Ottocento la via più lussuosa d’Europa.
Un occhio al Teatro alla Scala e ci si incammina verso gli Archi di Porta Nuova. Superiamo il Museo Poldi Pezzoli (non c’è scolaro milanese che non vi sia stato portato almeno una volta in vita sua a vedere il ritratto della giovane dama del Pollaiolo, nessuno è potuto sfuggire a questo rito scolastico ineludibile), accarezziamo i grandi palazzi nobiliari, gettiamo un occhio al Grand Hotel et de Milan dove al primo piano, nella stanza 105, si spense Giuseppe Verdi il 27 gennaio 1901. Ecco seguire un altro simbolo di una diversa Milano regale, l’Hotel Armani di “re Giorgio” che superiamo non senza avere sbirciato le vie del quadrilatero della moda che sfociano su via Manzoni. Ed eccolo infine il Manzoni, costruito tra il 1947 e il 1950 sulle rovine del palazzo Meli Lupi di Soragna, distrutto dai bombardamenti del 1943 e dal 1979 di proprietà di un altro milanese che è stato capace di dividere e unire Milano come pochi altri in passato, Silvio Berlusconi (per noi baüscia e casciavit semplicemente il Berlusca).
Insomma, un milanese che entra al Manzoni ci entra con uno spirito particolare che nasce dall’essersi lisciato il pelo sfiorando il cuore della sua Milano e si augura di assistere a una rappresentazione all’altezza. Non trovarla – al Manzoni – sarebbe una delusione profonda.
“Strappo alla regola”, di Edoardo Erba con Maria Amelia Monti.
Maria Amelia Monti, ma certo, la conosco bene, so chi è. Complici i miei 61 la ricordo perfettamente nella Tv delle Ragazze e poi sai quante volte l’ho vista in tv con Gerry Scotti. Simpatica, un bel sorriso, carina. “Bene – penso mentre mi fermo al guardaroba – stasera si ride”. E invece… surprise.
“Strappo alla regola” è un testo teatrale anomalo, bidimensionale come il personaggio che lo tiene in vita.
L’intera rappresentazione viaggia su due binari distinti che per buona parte del tempo ricordano le paradossali convergenze parallele che, inaspettatamente, a un certo punto vanno in crash riuscendo nell’impossibile atto di intersecarsi.
La trama la accenniamo solamente, anche per non sminuire il piacere di scoprirla a coloro che andranno a vedere lo spettacolo. Facciamo così, riprendiamo testualmente la intro preparata dalla produzione.
“Siamo in un cinema e sullo schermo proiettano un film dell’orrore. Orietta, un personaggio secondario del film, sta per essere raggiunta da un misterioso assassino, ma riesce inaspettatamente a sfuggirgli… uscendo da uno strappo dello schermo. Si ritrova nella sala cinematografica deserta dove incontra Moira, la maschera del cinema. Moira pensa di essere impazzita, ma deve ricredersi perché Orietta è viva e le chiede aiuto. Temendo di perdere il posto di lavoro, Moira cerca di convincere Orietta a ritornare nel film per farsi assassinare. Ma Orietta è decisa a cambiare il suo destino. Mentre sullo schermo i personaggi del film girano a vuoto, Moira si confida: è una donna disperata, che vive una relazione tossica, da cui non riesce a uscire. Ora è Orietta a incoraggiare Moira a trovare lo “strappo” per scappare da una storia dell’orrore. E alla fine sarà proprio lei a salvarla.”

Orietta, un personaggio secondario del film.
E’ il ruolo interpretato da Maria Amelia Monti, “un personaggio minore di un film di merda”.
Dimessa segretaria scolastica di un liceo degli anni ’70, mai moglie, mai madre, costretta al ruolo di amante di un uomo ancora saldamente inserito nella propria famiglia tradizionale. Gentile, educata, per nulla sciocca anche se apparentemente stralunata, Orietta veste la sua ingenuità e la sua bontà d’animo con grazia e leggerezza.
Maria Amelia Monti la prende per mano e la trasforma in poco meno di due ore in una donna coraggiosa, ferma, determinata, modernissima, capace di fare muro davanti alle ingiustizie di un mondo che le corre avanti con almeno cinquant’anni di vantaggio.
Mi aspettavo di ridere grazie alla recitazione della ex Tv delle Ragazze, ho effettivamente a tratti sorriso, ma soprattutto sono riuscito a indignarmi, a sentirmi coinvolgere e (ma che questo non si sappia in giro) in alcuni tratti a sentire qualcosa che somigliava a una punta di commozione.
Ho banalizzato il cursus honorum di questa brava attrice, mi faceva gioco nello scrivere, ma Maria Amelia Monti ha un trascorso recitativo di ottimo livello, nato in teatro, proseguito sul grande e piccolo schermo e quindi tornato sulle tavole del palcoscenico. Chapeau.

Dal vivo solo un’altra presenza è attiva sul palcoscenico.
Moira, factotum in un cinema di seconda fila, un po’ ragazza delle pulizie, un po’ guardiana, anche maschera di sala. Precaria, disillusa, stressata, meno giovane della sua età anagrafica reale a cagione di una relazione tossica, da cui non riesce a uscire.
Brava nella sua interpretazione Cristina Chinaglia, preparata attrice rodigina, che sa vestire al meglio i panni delle donne che vivono, ancora oggi, nella penombra dell’abuso psicologico e fisico.
Interagiscono con le due attrici, in video in remoto dal 1970, Asia Argento, Marina Massironi, Sebastiano Somma, Daniele Gaggianesi, Giuseppe Lelli, Francesco Meoni, Sabina Vannucchi e Fabio Zulli.
Molto piacevole l’ambientazione della storia che Edoardo Erba, autore e regista, ha voluto proporre. Dall’orrido di Bellano sul lago di Como alla grande villa dove viene ambientato il film horror, una grande casa che probabilmente nelle intenzioni dello sceneggiatore avrebbe dovuto apparire tenebrosa e terrificante, abbandonata e desolata.
Villa che però, al sottoscritto, è parsa terribilmente fascinosa e desiderabile, specie in campo largo… galline escluse, somiglia molto alla case da sogno dei milanesi che villeggiano al lago.
Il testo teatrale di Erba ha indiscutibilmente il merito di mettere in evidenza una serie di temi scottanti. Primo tra tutti quello della violenza domestica che ancora oggi serpeggia e devasta il nostro vivere quotidiano. Violenza che si spinge frequentemente sino all’omicidio ma che cova anche silenziosa nel ripetuto isolamento delle donne e nell’ambito della quotidianità domestica.
Il fatto che Erba individui in Orietta la figura capace di rompere gli schemi, di strappare la regola e lo schermo cinematografico, è una grande intuizione. Se gli anni ’70 erano, con tutti i loro limiti, un athanor nel quale gettare idee rivoluzionarie, nuovi principi di convivenza civile, rottura di schemi patriarcali, gli anni estremi dove una “Giancarla” passava le notti a combattere vergando le proprie idee e la propria rabbia su di un volantino, gli anni 20 del millennio presente sono invece la rappresentazione di un drammatico loop.
Anni nei quali ci troviamo armati da strumenti tecnologici che un tempo potevano apparire come fantascientifici (ma dov’è il filo in questa ricetrasmittente?) ci vedono ancora incastrati alle prese con temi come quello del sopruso. E non se ne esce.
Alessandro Manzoni ci trasmette per il tramite del curato di campagna don Abbondio una vecchia verità. “Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”. Erba e Monti con un tono sempre garbato, leggero, sorridente, ci suggeriscono invece che il “mostro” si può e si deve affrontare.
Se ne è stata capace e ne ha avuto il coraggio una segretaria di liceo di mezza età, un po’ stralunata ma dannatamente colma nell’animo di etica civile, potremmo riuscirci anche noi cinquant’anni dopo.
Strappo alla regola, un ottimo testo ben costruito e ancor meglio recitato, vi consiglio di andare a vederlo.



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