TPL Autisti in fuga, le aziende tagliano le corse
Se fino a qualche anno fa riuscire a farsi assumere come autista in un’azienda di trasporto pubblico locale era un miraggio, oggi salari insufficienti e condizioni di lavoro sempre più dure spingono molti a licenziarsi, le aziende non trovano aspiranti autisti e sono costrette a introdurre bonus di varia natura. Oppure tagliano le corse.
Un accordo sindacale per tamponare l’emergenza autisti, che conteneva, tra l’altro, un aumento da 164 euro lordi, sottoscritto solamente da due sindacati, Cisl e Faisa, e bocciato dai lavoratori di Dolomitibus martedì. È solo l’ultimo episodio di un’emergenza, appunto, che va avanti ormai da anni. “Tranvieri”, il canale Telegram di PuntoCritico.info che ogni settimana pubblica una rassegna stampa dedicata al Tpl, da almeno un anno registra il problema, l’epicentro del quale è in Veneto.
“In provincia di Verona, tanto per fare un esempio, stanno saltando mediamente 200 corse al giorno. – scrive Barbara Ganzi sul suo blog sul Sole24Ore – Anche a Padova il problema è molto simile. Le cause sono riconducibili a due punti in particolare: la carenza di autisti, diventata cronica a livello nazionale; e il calo degli utenti, reso evidente dopo il Covid (di fatto, non sono mai tornati i livelli pre-pandemia). La conseguenza è che le aziende di trasporto pubblico locale hanno minori introiti da tariffa e una dotazione di personale inferiore a quanto sarebbe necessario per coprire tutte le corse”.
La situazione si aggrava all’avvio dell’anno scolastico: “Autisti introvabili e passeggeri a piedi: in Veneto il trasporto pubblico è al collasso” titolava il Corriere del Veneto il 22 settembre e l’occhiello: “La fuga in Alto Adige che paga mille euro di più. E così in regione le aziende sperimentano con bus sostituiti da sevizi ‘a chiamata’”. “Padova, Busitalia, una raffica di disagi: studenti a terra e genitori infuriati”, la sintesi de Il Gazzettino il 4 ottobre. La giunta regionale del Veneto, per correre ai ripari, a fine ottobre è ricorsa a una deroga alle regole sulla sicurezza: gli studenti potranno viaggiare in piedi sui bus, ma “al massimo per 15 chilometri, non in autostrada o su strade montane” spiegava il 26 ottobre il Messaggero Veneto.
Ma il problema non è soltanto veneto. “Scuola al via, incognita autobus – ‘Mancano sessanta autisti’” titolava il 14 settembre la Gazzetta di Reggio. Due giorni prima a Monza, per la stessa ragione, Autoguidovie, la società privata che gestisce il trasporto pubblico locale della città lombarda, aveva anunciato che avrebbe sospeso le corse domenicali e festive della linea Z222, che serve i popolosi quartieri di San Fruttuoso e Triante (40.000 residenti su 120.000). “Sui bus di Milano, Monza, Lodi e Pavia mancano 373 autisti; corse tagliate” confermava a fine settembre il quotidiano milanese Il Giorno. Mentre per il Giornale di Brescia, a causa della carenza di un settantina di autisti, nel bresciano “Negli orari di punta delle scuole sono tutti fuori: gli autisti, i controllori, ma anche chi di norma è in officina ed è abilitato alla guida degli autobus”. Ancora più a ovest, ad Aosta, le aziende Svap, Vita e Arriva Italia, filiale italiana della controllata di Deutsche Bahn che gestisce il 5% del mercato italiano, denunciano la carenza di 15 autisti ciascuna, il 12% dell’organico regionale. A Bologna, invece, ne mancano 150; in Friuli 120, il 10% del personale.
All’origine del problema il fatto che sono sempre meno coloro che aspirano a guidare un autobus, anzi in molti si licenziano. Ma come è possibile che una professione, che ancora fino a qualche anno fa veniva considerata un miraggio, una porta di accesso a quella che un tempo veniva definita “aristocrazia operaia”, oggi non sia più attrattiva? “Tranvieri” a ottobre ha effettuato un sondaggio da cui risulta che per il 50% dei lavoratori lo stipendio basta appena per pagare tutte le spese, mentre per il restante 50% è insufficiente. Per il 53%, inoltre, se ne va per pagare l’affitto o il mutuo di casa una quota tra il 20% e il 40% dello stipendio; per il 20% tra il 40% e il 60% dello stipendio; mentre per il 6% siamo addirittura sopra il 60%. Risultato: solo il 31% riesce a far quadrare i conti col solo stipendio; il 47% ci riesce solo grazie agli stipendi dei familiari (moglie, figli ecc.); il 5% grazie a un prestito bancario e il 15% col sostegno di genitori o suoceri.
Accanto al salario, tuttavia, c’è anche il problema delle condizioni di lavoro. A Padova, a settembre Stefano Pieretti, sindacalista dell’Adl Cobas al Corriere del Veneto raccontava: “L’altra sera gli addetti della cooperativa che si occupa della pulizia dei mezzi hanno trovato alcuni autisti della Tribuzio di Frosinone, ossia una delle società a cui Busitalia ha appaltato la copertura di alcune linee extraurbane, che dormivano col sacco a pelo all’interno degli stessi mezzi. E, cosa ancora più stupefacente, quando Busitalia è venuta a saperlo, ha offerto a questi autisti una sala all’interno del deposito di via Rismondo in cui dormire sempre col sacco a pelo”. Una situazione che ha spinto una ventina di autisti a licenziarsi. In Emilia-Romagna, anche la Cisl, sindacato certo non massimalista, denuncia: “Turni di 14 ore e anche di più per uno stipendio che a malapena supera 1.200 euro al mese. E chi ha una famiglia se la può scordare. Nasce così l’abbandono degli autisti Seta che mette a rischio i collegamenti con i Comuni e rende un gigante di carta la spa concessionaria del tpl a Reggio Emilia, Modena e Piacenza, forte di 900 mezzi, oltre un migliaio di dipendenti e quasi 70 milioni di passeggeri all’anno”.
Da qualche mese la rabbia dei cittadini ha messo i sindaci sotto pressione costringendo le società di TPL a correre ai ripari. Tra le prime misure adottate la copertura del costo per il CQC, la patente necessaria per guidare gli autobus. In Veneto, grazie anche allo stanziamento di fondi regionali, la fondazione Enac veneto, l’ATV di Verona e altri soggetti all’inizio del 2022 hanno cominciato a organizzare corsi di formazione gratuiti, 400 ore di formazione, più 400 di stage, propedeutici al conseguimento del titolo. L’ATM di Milano, qualche mese dopo ha firmato una convenzione con 30 autoscuole in tutt’Italia per permettere agli aspiranti autisti di conseguire il titolo senza spese. Ee lo scorso settembre ha stanziato 500.000 euro per l’assunzione di 300 nuovi conducenti, affiancando alla copertura dei costi per la patente anche un contributo affitto: 33 voucher dal valore di 3.000 euro lordi erogabili direttamente in busta paga in importi rateizzati.
La scelta più eclatante arriva ancora dal Veneto: Busitalia ha introdotto un bonus d’accesso da 3.000 euro per i neoassunti provenienti da fuori regione, con la clausola che non si licenzino prima di due anni, pena la restituzione del contributo. Insomma, mentre un tempo in molti avebbero pagato per essere assunti, oggi sono le aziende che pagano per trovare candidati disponibili a farsi assumere e non licenziarsi troppo presto.
Come riporta il sito Autobusweb, citando un rapporto dell’IRU, l’Unione Internazionale Trasporti su Strada, in Europa “mancano 105.000 posti di guida, il 10% della popolazione totale di autisti professionisti”, +54% rispetto al 2022, e “Oltre l’80% delle aziende che operano nel settore degli autobus incontra gravi difficoltà a coprire le posizioni. Inoltre, si prevede che la carenza di autisti sarà più che raddoppiata in cinque anni, raggiungendo le 275.000 unità”. Insomma si tratta di un fenomeno internazionale. In Italia l’ANAV, una delle associazioni di categoria delle aziende di Tpl, già due anni fa chiedeva un piano di assunzioni di 15.000 unità nel triennio successivo. Ma i casi più eclatanti riguardano le regioni del nord e, in particolare, quelle dove si è proceduto più speditamente a privatizzare il servizio pubblico. Arriva, Autoguidovie, Busitalia, Seta: sono tutti nomi di aziende gestite integralmente o partecipate da capitale privato (o comunque da enti di diritto privato), italiano o straniero, dove la naturale risposta al calo degli introiti sono i tagli.
È’ennesima conferma che oggi per i lavoratori europei l’emergenza salariale dovrebbe essere l’alfa e l’omega dell’azione sindacale, come del resto è in Europa e negli USA. Un’idea potrebbe essere promuovere alcune mobilitazioni locali nei territori più colpiti, coinvolgendo lavoratori, ma anche studenti e pendolari, come primo passo per una mobilitazione più ampia. Invece due anni fa le maggiori organizzazioni sindacali, creando un precedente inedito nella contrattazione collettiva, hanno accettato che l’una tantum di 680 euro lordi prevista nel rinnovo contrattuale fosse spezzata in due tranche, l’ultima di 250 euro, subordinata alla situazione economica delle aziende, che, alla scadenza prevista, lo scorso novembre, hanno comunicato che non l’avrebbero erogata. Uno schiaffo in faccia al sindacato e a 100.000 lavoratori, in maggioranza autisti. Inoltre l’introduzione del salario minimo, anche se nel Tpl le paghe orarie sono perlopiù superiori ai 9 euro lordi, farebbe lievitare i salari più bassi, portando un beneficio anche a questi lavoratori.
Articolo tratto dalle newsletter di PuntoCritico.info del 3 novembre. Immagine: Kaga Tau (CC BY-SA 4.0).
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