Dominique, l’autodeterminazione del fine vita e lo stato di diritto

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24 Dicembre 2015

Non la conoscevo. L’ho vista per la prima volta nell’intervista rilasciata nei giorni scorsi a Servizio Pubblico. E mi ha colpita la sua serenità. Non posso fare a meno di confrontare lo stato d’animo con cui Dominique Velati ha affrontato il suo percorso verso una morte dignitosa e frutto di una libera scelta con quelli di altre persone che vorrebbero, come Max Fanelli per fare un nome su tutti, poter porre fine alle loro sofferenze e sono invece costrette a vivere. Sembra paradossale, ma non lo è. A volte la morte può sembrare più dolce e desiderabile della vita, come ben sa chi si è trovato ad assistere malati gravi e senza speranza di guarigione. O peggio, chi si trova intrappolato in un corpo che non riconosce più, che non risponde ai propri comandi e procura sofferenze insopportabili. Ci sono tante, troppe storie, di dolore e sofferenza dovuti ancor più all’impossibilità di porre fine alle sofferenze che alle sofferenze stesse, come i celebri casi di Piergiorgio Welby o dei genitori di Eluana Englaro.

Chi può decidere quale sia la soglia di sofferenza che ciascuno di noi è in grado di sopportare? E, soprattutto, chi può imporci di sopportare qualcosa che per noi è insopportabile? Di sicuro non lo Stato, almeno stando a quanto si legge nell’articolo 32 della Costituzione: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Quali siano questi limiti dovrebbe deciderlo, caso per caso, il cittadino (o chi gli è vicino, se lui non è in grado di deciderlo). E lo stesso cittadino dovrebbe avere la possibilità di agire di conseguenza. Non si possono imporre né la morte né la vita, pena il cadere in estremisti sbagliati sia in un senso sia nell’altro. Come l’accanimento terapeutico, che considero probabilmente la più estrema violazione del rispetto della persona, soprattutto quando viene imposto al malato contro la sua volontà, per convinzioni morali o religiose o semplicemente perché non è facile lasciare andare qualcuno che si ama e rimanerne privi.

Vorrei invitare chi si permette di giudicare queste scelte in modo superficiale e distaccato e chi si rifiuta di affrontare il tema scomodo del fine vita in Parlamento, a mettersi nei panni di chi è costretto a compiere queste scelte o di chi, peggio, non le può neppure compiere perché quello che si definisce sulla carta uno stato di diritto non è in grado di garantire una delle libertà fondamentali dell’individuo: l’autodeterminazione della fine della propria vita. Non è mai facile prendere certe decisioni, soprattutto senza ritrovarsi davvero nelle condizioni di doverle prendere. E sapere di non avere la possibilità di scegliere è devastante.

Sinceramente non so, qualora dovesse capitare a me, cosa farei, ma sono certa che tutti debbano avere il diritto sia di restare sia di andarsene secondo quello che loro, e solo loro, considerano un livello accettabile di dignità.

L’estrema generosità di Dominique mi commuove. Fino all’ultimo anziché pensare a sé (cosa che ha fatto solo una volta a Berna, nell’intimità della sua stanza prima d’albergo e poi di ospedale) ha pensato agli altri e al solo modo che aveva per fare in modo che non dovessero incontrare le difficoltà che lei ha incontrato: condividere con il mondo intero un fatto così personale della sua vitacon la piena consapevolezza di esporsi a critiche e giudizi impietosi.

Anche la generosità di Marco Cappato, che si è autodenunciato rischiando di incorrere in una condanna penale, per aiutare lei e altri malati nella loro battaglia, mi commuove.

Mi indignano invece certi giudizi “cattobuonisti” che ho letto in questi giorni e soprattutto la chiusura e l’ottusità del nostro Parlamento, che rischia di lasciare a marcire la migliaia di firme raccolte per mesi da Marco Cappato stesso, da Mina Welby (che conosce molto bene cosa significhi tutto questo), da Filomena Gallo, Gustavo Fraticelli e tanti malati e cittadini comuni per una progetto di legge di iniziativa popolare sul fine vita. I tempi sono più che maturi, come testimonia l’eco che la vicenda di Dominique ha ricevuto soprattutto sui social media, che sono il vero specchio dei bisogni e del pensiero della società del nostro tempo. Parlamentari, se ci siete battete un colpo! Fatevi vivi e fateci liberi.

E intanto noi, comuni cittadini che crediamo nel valore della libertà, facciamoci vivi e facciamoci liberi, parlandone!.. parlandone!… parlandone! come Dominique ci ha invitato a fare, augurandole, anche noi, che la terra le sia lieve.

TAG: Dominique Velati, eutanasia, Marco Cappato
CAT: diritti umani

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