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Diritti

Noi, loro, Colonia, la Libertà

di Flavio Pasotti
11 Gennaio 2016

Qui è necessario che sui fatti tedeschi ci si intenda bene perché la confusione genera mostri e noi Kantiani della Pace Perpetua ben capiamo quanto l’immigrazione stia mettendo alla prova sia gli intellettuali che coloro che si credono tali. Soprattutto sta mettendo alla prova il buonsenso scuotendo alle radici l’equilibrio nervoso dei cittadini europei.
Oggi i vertici della Polizei hanno comunicato che non vi era alcuna regia nei raid di Capodanno. Che sono stati compiuti da extracomunitari anche di recente arrivo. Che la reazione di Hooligans e rockettari organizzatisi su Facebook ha portato alla aggressione di alcuni immigrati. Aggiungiamo noi che nei giorni scorsi la stessa Polizei aveva dichiarato che tali accadimenti sono “frequenti”, Oktoberfest compresa, e legati spessissimo a piccola delinquenza.
Io che ho a cuore una cosa che si chiama libertà ho una e una sola domanda: dove era la Polizei quella notte? Dove era, sia mentre capitavano gli incidenti, sia mentre per vendetta malmenavano gli immigrati. Possiamo capire i buchi nella Intelligence e le difficoltà nella lotta al terrorismo dei lupi solitari; fatico molto di più ad accettare che ci si sia lasciati trovare scoperti su ordinarie operazioni di ordine pubblico o da missioni punitive “segretamente” organizzate, si legga bene, su Facebook. Questa richiesta di presenza attiva della polizia, tedesca o italiana, è il solo presupposto in forza del quale io posso sostenere i miei convincimenti sulla immigrazione che sono, mi dichiaro, molto meno restrittivi del gran vociare sui social nonché di ciò che i governi possono azzardarsi a dire o fare, vedasi il ritiro del decreto del governo italiano che prevedeva la abolizione del reato di clandestinità sotto la minaccia dei sondaggisti.
Nel mio modo di affrontare l’immigrazione io non ti chiedo chi preghi: ti chiedo cosa vuoi e cosa sei capace di fare, perché il più efficiente metodo di integrazione è il lavoro. Perché dà reddito? No, perché il lavoro è fatto da regole che devi osservare: se sei in un reparto produttivo hai orari, compiti, responsabilità. Devi imparare le regole sulla sicurezza e devi anche fare un corso accelerato di come ci si rapporta con l’altro sesso: sicurezza e rapporti di genere sono i due aspetti sui quali chi non ha mai lavorato in una azienda e proviene, anche scolarizzato, da altri paesi ha le maggiori difficoltà ad adattarsi. Ma se in azienda non c’è la polizia il controllo però funziona bene e queste regole vengono progressivamente fatte proprie, a prescindere dalla religione.
Le aree geografiche dove l’integrazione ha funzionato meglio in Europa e in Italia sono quelle ad alto tasso manufatturiero (questa è la scommessa della Bundeskanzlerin Merkel); molto peggio hanno fatto quelle aree, tipicamente metropolitane, dove piccolo commercio e servizi non certo avanzati sono la prevalente forma di lavoro per gli immigrati. Funziona l’autoimpiego, l’imprenditoria piccola artigiana e commerciale se gli organi amministrativi preposti fanno osservare le regole non in chiave “repressiva” nei confronti degli immigrati ma in chiave “inclusiva”: se noi siamo convinti che le nostre regole siano corrette allora l’inclusione deve passare attraverso il comune rispetto delle stesse, al pari di un italiano e senza sconti . Ho anche la convinzione che, sapendo che molte di queste regole nel commercio sono discretamente assurde ci troveremmo insieme agli immigrati a chiedere di cambiarle.
In sintesi e con terrificante banalità, ciò che dà la cittadinanza non è semplicemente il passaporto della Repubblica ma la accettazione delle sue regole, siano essi in codici, decreti e regolamenti. Non è il nostro un multiculturalismo inglese: quello è figlio dell’Imperialismo di Sua Graziosa Maestà che ti lasciava le tue regole purché cedessi la tua ricchezza. Noi siamo diversi dai Britts, noi siamo per le regole uguali per tutti (regole, non Dei e Profeti). Per questo non possono gli organi di Polizia pensare di gestire l’ordine pubblico con le tolleranze del passato: devono gestirlo alla luce dei nuovi problemi perché, paradossalmente ciò che viene messo in pericolo a Colonia a Capodanno non è (solo) la sicurezza di una donna ma la libertà di ognuno di noi e degli stessi immigrati, quella libertà fatta di regole e diritti (e di doveri) che, ci crediate o meno, è il motivo che spinge un uomo ad abbandonare la sua casa, le sue abitudini, i paesi alla propria cultura più vicini e finire chessò, a Roncadelle (Brescia) o a Täby (Stoccolma, e cito casi che conosco).
Voi dite che invece è la fame a portarli qui? O la guerra? O un oscuro disegno demografico, politico e religioso? Capisco i primi due, il terzo mi fa ridere (non sorridere, ridere proprio). Guardate, vi sbagliate: il più grande dono che noi abbiamo rispetto a loro, ciò che loro vogliono senza forse saperlo ma istintivamente perseguendolo è la Libertà. La Libertà di decidere del proprio destino senza dover risponderne al capo tribù (altro ragionamento che chi non conosce il Medio Oriente non capisce), all’imam, all’autocrate di turno. Questo è ciò che a ragione vedono nell’Occidente perché, molto prima del reddito e del welfare, è la nostra più preziosa e fragile conquista. Provate a pensare: sono un siriano sunnita, mi stanno piovendo addosso bombe che ogni giorno manco so chi me le sgancia tanti sono quelli che vogliono “liberarmi”. Ho studiato, ho una famiglia e ho qualche dollaro per scappare. Posso andare in Giordania, o molto meglio posso andare negli emirati del Golfo (sí lo so, controllano anche lì, ma ci si mette d’accordo con i capi tribù come con gli scafisti). Sarei in un paese ricco dove come islamico avrei anche un welfare che mi aiuta, certamente un lavoro visto che danno impiego a mezzo mondo, con la mia moschea vicino e nessuno che dica nulla su come va in giro vestita mia moglie.
No. Decido di fare insieme alla famiglia un viaggio avventuroso e rischiosissimo, decido di andare in una terra che mi è straniera per costumi, per religione, per cibo, per clima dove pure mi accettano malvolentieri e forse mi rispediranno indietro. Certo, oggi ho fame. Certo, oggi mi bombardano e devo salvare la pelle. Ma domani, là, a Stoccolma, io non lo capisco ancora bene questo concetto, ma sarò libero.
Non solo dobbiamo offrirgli la libertà, dobbiamo insegnargli a difenderla insieme a noi perché come è noto “Freedom Is Not Free”

immigrazione
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